Formaggio di Fossa DOP-foodlifestyle

Tra antichi riti, forme e sapori unici, ecco il formaggio di Fossa

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“La formaggeria si presenta come un’enciclopedia a un autodidatta; potrebbe tentare una classificazione a seconda delle forme, a seconda della consistenza, a seconda dei materiali estranei coinvolti nella crosta o nella pasta, ma questo non l’avvicinerebbe d’un passo alla vera conoscenza, che sta nell’esperienza dei sapori, fatta di memoria e d’immaginazione insieme…”.
Così, Italo Calvino narrava dei formaggi. Ma quella memoria da lui citata non è solo arte mnemonica di nomi, sapori, profumi e consistenze. Memoria è quella parola meravigliosa che racchiude in sé le tradizioni di popoli, di terre; memoria sono i racconti che ogni prodotto, in questo caso il formaggio, sprigiona attraverso i suoi profumi, sentori, aromi, fattezze.
C’è una saggezza antica che si tramanda attraverso i cibi; basta guardare oltre, ma anche attraverso, i sapori per coglierla. E ci sono tradizioni altrettanto antiche, sorelle e figlie di quella saggezza: gesti e attenzioni che rendono un prodotto unico e irripetibile. Sono un po’ come dei segreti, ma di quelli che, quando ti si svelano la magia, non muore; anzi, prende una vita più forte e affascinante. La magia diventa incanto.

Vi sarà forse capitato di assaggiare il Formaggio di Fossa di Sogliano DOP, e magari di notare come la sua forma irregolare svela al taglio a volte una pasta bianco avorio, altre volte giallo ambrato. Oppure di cogliere sentori di tartufo, o ancora, inattesi profumi di sottobosco. Queste forme, colori, profumi, dolcezze o piccantezze e intensità sono figli di una di quelle antiche saggezze e tradizioni. Una storia millenaria: centinaia e centinaia di anni, in cui i riti dell’infossatura e della sfossatura si ripetono, attenti e minuziosi, per dare vita a uno dei formaggi più peculiari al mondo.
Affinato nelle fosse a primavera, dove riposa per circa cento giorni, è qui che gode di un sonno “purgatorio”, affinché si liberi di acqua, sali e grassi. E poi viene risvegliato: è il rito
della sfossatura, che letteralmente fa risorgere il formaggio a nuova vita, capace di regalare al palato aromi inconfondibili e inimitabili.
Un rituale che ci porta indietro nel tempo, nel Medioevo precisamente, quando a causa di carestie o pestilenza, i contadini mettevano a riparo il cibo in buche profonde, scavate nella roccia viva di arenaria. Fu così, quasi per caso, che scoprirono che il Formaggio di Fossa, dopo lunghi mesi trascorsi in quelle buche, acquistava un nuovo profumo, piacevolmente terreno. E, assieme al profumo, un nuovo e migliore sapore.
Da allora, il riposo in fossa è d’obbligo, perché solo lui è capace di donare al formaggio la sua caratteristica intensa fragranza. Un obbligo che è anche un Disciplinare. Perché il Formaggio di Fossa di Sogliano Dop si produce unicamente nella provincia di Forlì-Cesena, in parte nella provincia di Bologna e nelle province marchigiane fino ad Ascoli Piceno. E tutte le fasi di produzione rispettano regole inflessibili.
“Il rito dell’infossatura inizia nel caseificio – racconta Gianluigi Draghi, Presidente di Fattorie Marchigiane Consorzio Cooperativo e titolare del Caseificio Fattorie marchigiane di Colli al Metauro – dove le forme di Formaggio di Fossa Dop sono stoccate in particolari sacchi di tela; una volta chiusi con uno spago naturale, sono timbrati per garantirne la tracciabilità. Quindi ci spostiamo nelle fosse, cavità scavate nel tufo a forma di fiasco, che hanno una profondità anche di tre metri. Per la produzione DOP è necessario che queste fosse siano state utilizzate già da 10 anni, perché all’interno si siano formati quelle particolari colonie di batteri che riescono a dare al formaggio le caratteristiche note di profumo e sapore. Prima di mettere a dimora il formaggio, le pareti delle fosse devono essere sanificate con il fuoco, lasciando bruciare della paglia fino all’esaurimento, poi l’intera fossa è foderata con canne e paglia come un coperta che deve avvolgere la preziosa specialità casearia. Solo a questo punto vengono inseriti i sacchi con le forme di formaggio. Nel tessuto dei sacchi sono riportati il numero di protocollo, il peso e il nome del proprietario (Codice Infossatore) per riconoscere le varie partite di prodotto e la loro origine. Ogni piccolo spazio della fossa deve essere utilizzato e quindi ci si deve affidare alla maestria dell’infossatore che, seguendo una procedura tramandata negli anni, dispone i sacchi in modo da incastrarli con precisione. In questo modo la fossa “lavora” al meglio perché si facilita la successiva fermentazione anaerobica. Il “rito” termina con la chiusura della fossa utilizzando un coperchio di legno sigillato con gesso, malta di arenaria calcidrata ed eventuali sassi, sabbia o tavole”.
E poi, ecco la sfossatura! Per recuperare i sacchi pieni di formaggio bisogna attrezzarsi con scalpello e mazzetta. Una volta demolito il sigillo che occlude la bocca della fossa e rimosso il coperchio di legno, si fa “respirare” la fossa.
L’ossigeno che entra fa fuoriuscire man mano l’intenso profumo del formaggio affinato. Le forme cavate dai sacchi rivelano allora la loro peculiare irregolarità e sprigionano tutte le loro essenze, che ritroviamo poi nel sapore. Ecco svelato il segreto dei sentori di tartufo e il profumo ammaliatore di sottobosco. E ora la magia diventa incanto per il palato!

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