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La cucina circolare: la nobilitazione del buon senso

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a cura di Mafalda D’Onofrio

Il concetto era chiaro anche alle nostre nonne: il cibo non si spreca. Un tempo era una questione economica che il boom degli anni 80 e la modernità del prêt-à-manger hanno fatto dimenticare, ma l’idea che riutilizzare le materie prime laddove avanzano, senza sprechi, e combinare gli stessi ingredienti in modi diversi, per averne il massimo vantaggio in termini di benefici e di risparmio, è una filosofia che dovrebbe andare al di là della salvaguardia del portafoglio e fare leva sulla correttezza e moralità del buon utilizzo di risorse che sono nostre in quanto acquistate ma che rientrano in modo più ampio in un discorso di sostenibilità ambientale. Igles Corelli ha dato un nome alla prassi sana dell’utilizzo di tutte le parti delle materie prime: la sua “cucina circolare” intende declinare lo stesso ingrediente in diversi modi in base ai vari metodi di preparazione e cottura che permettono di ottenere tante consistenze, gusti e aspetti.

Con un’ottima materia prima fresca, ad esempio un gambero di Porto Santo Spirito, si possono usare le teste, frullandole, per creare una maionese, con acqua gasata e olio, e usarla in un risotto, con i carapaci si può realizzare un brodo, e utilizzare lo scarto essiccato per aromatizzare il sale. Con un ottimo prodotto è possibile utilizzare tutto senza scarti.

Massimo Bottura ne ha fatto una campagna culturale, col progetto Food For Soul, in cui mercati, produttori e fornitori donano eccedenze alimentari che i volontari trasformano in pranzi di tre portate deliziosi e salutari, destinati a mense comunitarie aperte, con l’obiettivo secondario di rivelare il potenziale degli ingredienti in ogni fase della loro vita.

Ma sempre più spesso grandi chef sposano la filosofia “zero sprechi” nei propri ristoranti fine dining: non solo per l’abbattimento del foodcost, ma per un’urgenza etica destinata a fare sempre più proseliti tra gli addetti ai lavori.

Franco Aliberti, giovane chef da poco approdato al Tre Cristi a Milano, punta ad utilizzare ciascun prodotto nella sua interezza, dai tagli di carne un po’ meno richiesti e pregiati e perfino ai fondi di caffè, sfruttando le bucce – delle patate, ad esempio, fritte o come ingrediente del brodo – o i gambi delle verdure – famoso il suo amuse-bouche a base di gambo di broccolo – combinando tecnica, conoscenza e innovazione per dare una seconda vita ai prodotti di scarto.
Agli chef, si affiancano da poco anche i barman, che fanno propria la parola d’ordine “recupero”: Carsten Steinacker, nel suo cocktail bar Scarto a Bologna, propone, ad esempio, Negroni a base di amaricato di melanzane (ottenuto dalle bucce dell’ortaggio) o Spritz con scorze di cocomero e zenzero.

Sulla spinta dell’alta ristorazione, i principi della cucina circolare stanno tornando nelle case, come una piccola e vantaggiosa rivoluzione nell’economia domestica che induce a fare bene la spesa, scegliere i prodotti giusti e di qualità, a privilegiare gli acquisti a chilometro zero, e l’autoproduzione, anche nell’ottica di un consumo più consapevole. E in rete si moltiplicano i suggerimenti casalinghi per realizzare centrifugati e marmellate, dolci e pasta fatta in casa con foglie, bucce, acqua di cottura di legumi e verdure, si pubblicano ricettari fantasiosi, si propongono ricette che utilizzano il “quinto quarto” anche del pesce, e si propongono idee per utilizzare gli scarti alimentari anche fuori dalla cucina: dalle tavolozze di acquerelli realizzati con scarti di frutta e verdura, ai concimi biologici per il giardinaggio.
La nuova circolarità fa rima con qualità, efficienza e sostenibilità. Che sono anche le tre caratteristiche di un qualunque processo economico sano.

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