storia-white-russian-food-lifestyle

White Russian. Il Cocktail “non sovietico”, caro a Drugo

Pubblicato da

Non lasciatevi ingannare dal nome: il White Russian è il cocktail meno sovietico che possa esistere. Anzi, la sua origine ci porta in Belgio dove il barman Gustave Tops pare lo realizzò nel 1949 all’Hotel Metropole di Bruxelles in onore di Perle Mesta, l’allora ambasciatore americano in Lussemburgo. L’aggettivo, che richiama la fredda terra sovietica, si deve all’utilizzo nella ricetta della vodka, il tradizionale superalcolico russo, mentre il colore del cocktail, lungi dall’essere bianco come si può pensare, è scuro, per la presenza del liquore al caffè, il Kahlùa o la Tia Maria, di origini messicane o, nella versione italiana, il Caffè Borghetti.
Nivea è invece solo la panna liquida (in alternativa il latte) precedentemente montata con lo shaker e messa in aggiunta in un bicchiere old fashioned, largo e basso, con il fondo spesso e resistente, come il rocks glass o tumbler.
Dal sapore dolce e delicato, il White Russian, viene anche servito come dessert, nonostante la sua gradazione alcolica, che si attesta intorno ai 20% vol., non deve certo essere trascurata, soprattutto da chi non è avvezzo ai superalcolici.
Due parti di panna, cinque di vodka e tre di Kahlua: è questa la ricetta del White Russian, conosciuta fino agli anni ’60. Da lì in poi si diffusero tante varianti, localizzate e ben conosciute, come il White Canadian (preparato con latte di capra), il Blind Russian (fatto con la crema irlandese Baileys), il White Mexican (fatto con l’horchata, un latte vegetale molto energetico), il White Cuban (con rum al posto della vodka) e il White Indian (con il gin al posto della vodka).
Non da ultimo, il Black Russian, una versione senza crema, decorata spesso con scorza di limone, proposta dal Diner’s Club Drink Book nel 1961. Nessuna decorazione invece per il White Russian, che non va neanche miscelato, ma servito con una cannuccia corta per poterlo mescolare mentre lo si sorseggia lentamente.
Anche il Black Russian ha le sue varianti, quali ad esempio l’Australian Black Russian o Colorado Bulldog, servito in bicchieri da long drink con aggiunta di cola, e il Black Magic, con qualche goccia di succo di limone e guarnito con scorze di limone. Anche se nato in Belgio, il White Russian è diventato famosissimo negli States, dove molti amano berlo al mattino al posto del caffè.
Inoltre, il cocktail ha dato il nome a un brano musicale dei Marillon, band britannica di prog rock, attiva dalla fine degli anni Settanta. Ma nell’immaginario comune, il White Russian è associato a lui, Jeff Bridges, nei panni del Drugo nel film cult “Il Grande Lebowski”. I suoi tumbler, inseriti all’interno del variegato mondo messo in scena dai fratelli Coen, fatto di sale da bowling e strade di Los Angeles, e con i suoi personaggi leggendari a comporre un ritratto generazionale scanzonato e decadente, ci propone una filosofia pacifica, pigra e indolente. Un eroismo al contrario, un affascinante modo di sorseggiare la vita.

POTREBBERO INTERESSARTI