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Vini israeliani: le radici bibliche della viticoltura

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a cura di Gianna Bozzali

È emozionante viaggiare attraverso l’antica terra di Canaan, culla e luogo di diffusione della coltivazione della vite, ben due millenni prima che la cultura del vino arrivasse in Europa. Israele può considerarsi il paese vitivinicolo più antico e più giovane al tempo stesso. Le radici bibliche della viticoltura risalgono a 3000 anni a.C. Già nella Bibbia vi è una lista di suggerimenti necessari da compiere per coltivare una vigna.

Il vino è speciale per gli ebrei come il caffè per i musulmani ed il tè per i buddisti. Israele si identifica nella vigna come proprietà di Dio: il Messia stesso viene paragonato alla vigna e nell’Islam, nonostante il vino sia proibito sulla terra, nel Cielo è permesso. Sebbene Israele abbia però una lunga storia di vinificazione, il paese non ha vitigni autoctoni. Durante il periodo Romano e Bizantino la Giudea e le città portuali di Ashkelon e Gaza erano considerati centri vitali per la produzione di vino.

Questo splendore iniziò a scemare durante il dominio musulmano in Terra Santa poiché la legge proibiva ai credenti musulmani di bere alcolici. Gli ottomani, quando ottennero il controllo della Palestina, permisero solo la semina di vigneti designati a produrre uva da cibo, il che portò a fermare la vinificazione per centinaia di anni. È probabile che molti vitigni locali siano scomparsi proprio durante questo periodo. Tra il XII e il XIII secolo, i crociati provarono a reimpiantare le viti ma fu più semplice importare vino dall’Europa e così ben poco fu fatto. Il rinnovamento della vinificazione in Israele avvenne alla metà del XIX secolo e si sviluppò verso la fine del 1880.

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È affascinante aggirarsi con lo spirito del vino in corpo tra Golan, Giudea, Galilea: è un viaggio nella storia di una tradizione che ebbe dei momenti importanti. Nel 1848, ad esempio, fu costruita da Rabbi Itzhak Shorr la cantina di Zion a Gerusalemme; nel 1852 arrivò Rabbi Abraham Teperberg che non solo fondò una nuova cantina ma decise di realizzare una scuola di agricoltura nei pressi di Giaffa; nel 1882 fu avviato il progetto più rappresentativo, la Carmel Winery, una cooperativa che ebbe come padre il barone Edmond de Rothschild, leggendario banchiere nonché produttore bordolese di origine ebraica, che contribuì molto allo sviluppo dell’attività agricola in Israele: egli finanziò iniziative vitivinicole in Terra Santa sperando che diventasse il cuore produttivo dei vini Kosher per gli ebrei di tutto il mondo. Non andò però molto bene in quanto un’ondata di caldo bruciò il primo raccolto mentre l’arrivo della fillossera aggravò le cose.

Un secondo periodo di sviluppo della storia vitivinicola locale è datata 1982 con la nascita della Golan Heights Winery, che puntò sull’offerta di un vino di qualità, a prezzi accessibili, di ispirazione californiana. Tutto ciò fu dovuto ad un professore di enologia della California University, Cornelius Ough, che giungendo in Terra Santa e indicò il territorio del Golan Hights il più vocato per clima, altura e posizione. Iniziò la rivoluzione perché questa cantina non fece altro che spianare la strada alla moderna produzione vitivinicola. Così comincia la storia recente della viticoltura in Israele.

Verso gli anni ’90 nascono le prime boutique wineries e da allora e soprattutto negli ultimi 30 anni si è registrato un enorme progresso nella coltivazione di viti in Israele mentre il mercato del vino ha compiuto un grande passo in avanti. È cresciuto in modo esponenziale il numero di cantine che oggi sono circa 300 ed il cui stile enologico è spesso influenzato da quello dei Paesi di formazione. “In questi anni ho avuto modo di assaggiare al Concours Mondial de Bruxelles, che prevede campioni da 50 nazioni al mondo, diversi vini di Israele – ci racconta Luigi Salvo, giornalista enogastronomico e giudice in molti concorsi enologici-. I vigneti sono estesi per circa 6.200 ettari e sono a netta prevalenza di bacca rossa con 75% e 25% di bacca bianca. Vengono prodotti in media 350.000 ettolitri di vino all’anno.

Tra i migliori vini i campioni bianchi da Chardonnay, Sauvignon Blanc e Riesling, Roussanne, Viognier, Colombard, Gewürztraminer, Grenache blanc, i rossi Cabernet, Carignan, Merlot, Syrah, Carignan, Barbera, Mourvèdre, tra gli autoctoni i sorprendenti Marawi e Argaman. Il vino che più mi ha impressionato è il Tzora Misty Hills, 2013. Ottenuto da Cabernet Sauvignon e Syrah è una grande espressione di piacevolezza, ha profilo olfattivo intenso e profondo con mora e amarena, fiori appassiti, chiodi di garofano, potpourri di spezie dolci, balsamo e vaniglia.

Palato pieno, sorretto da tannini fini e rotondi e lunga scia speziata. Fantastico!”. Per quanto piccolo sia il comparto del vino israeliano, presenta una notevole variabilità di zone e climi, con alcune macro aree come la Galilea, la Samaria, il Samson, le Colline della Giudea e il deserto del Negev, ciascuna con microclimi molto variabili, anche ogni 2 o 3 km. Si passa dal mare alle montagne, con incursioni tra valli e deserto. Per Israele, infine, il vino non è solo una bevanda, ma ha un suo profondo significato: simbolo di gioia, è stato considerato un atto di nascita dopo il diluvio universale. In Israele ha anche un valore numerico: infatti, in ebraico, la parola “vino” ha lo stesso numero di lettere della parola “segreto”, a significare che fa scoprire i segreti, proprio come il proverbio latino In vino veritas. Un altro valore importante è dato dal ruolo che ricopre durante le funzioni religiose, in particolare nella santificazione chiamata Kiddush, dove viene bevuto vino rigorosamente kosher, cioè vinificato secondo alcune precise regole tra cui l’assenza di caseina perché, secondo la religione ebraica, carne, latte e derivati non possono essere consumati insieme. Va detto che non tutto il vino kosher è prodotto in Israele e non tutto il vino israeliano è kosher, ossia puro e certificato in base alle regole del Kashrut. Oggi quasi tutti i paesi produttori di vino nel mondo producono vino kosher e in Israele molte delle cantine più nuove e più piccole producono vino non kosher. Tuttavia, essere kosher è molto importante: la maggior parte del commercio si sviluppa proprio attraverso il canale religioso e anche chi non è credente vede nella produzione kosher un segno di qualità e garanzia. Eppure leggendo le regole del Kashrut, si capisce bene che in fondo anche se esse vengono rispettate non possono incidere sulla qualità di un vino. Tra le regole ad esempio quella che stabilisce che l’uva non può essere utilizzata per la vinificazione prima che le piante non abbiamo “compiuto” i quattro anni di età dal primo raccolto, quella che stabilisce che i terreni devono risposare ogni sette anni o ancora dal momento in cui le uve raggiungono la cantina, solo gli ebrei osservanti shabbat sono autorizzati a entrare in contatto con il vino.

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