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Verso un nuovo modello di ristorazione. L’Italia punta sempre sulla qualità e a una consapevolezza diversa

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Il made in Italy a tavola, dall’agricoltura fino ai servizi della ristorazione, è ancora,
nonostante la Pandemia che ci ha attanagliato negli ultimi anni, la prima ricchezza
del nostro Paese: un quarto del Pil nazionale, quasi 600 miliardi di euro, tanto per
inquadrarla in cifre. Allo stesso tempo, il mondo della ristorazione, in questa prima
metà nel 2022 e nel prossimo futuro, deve fare i conti con l’aumento dei prezzi di
moltissimi ingredienti e con la mancanza di personale. Due fenomeni che inevitabilmente stanno segnando un cambio di passo storico.
I ristoranti sono le vetrine prestigiose della nostra immensa risorsa gastronomica e
ora è necessario ripensare tutto il modello della ristorazione italiana.
L’ottica, inutile dirlo, è quella della sostenibilità, a 360 gradi, anche quella delle
persone, sì. E mentre, di necessità grande virtù e inimitabile acume italiano, si stanno
riscoprendo i valori e il potere nutrizionale di ingredienti antichi come il grano
Khorasan o le carrube, molti ristoratori riescono a fare del “poco ma indispensabile
personale” un valore aggiunto e a dare vita a progetti unici, anche a livello
esperienziale, in linea con ciò che i clienti, le persone, oggi cercano.
Ed ecco allora l’Unforgettable di Torino, di Christian Mandura, con un unico tavolo
per dieci coperti e il vegetale al centro. Un vegetale capace di farci scoprire la terza
dimensione della materia e di portare a “casa Mandura” la prima stella Michelin.
Prodotti locali, e principalmente vegetali, anche per l’Osteria degli Assonica, dove,
immersi nelle colline bergamasche, i fratelli Manzoni fanno del “no scarto” la loro
filosofia e del recupero di varietà autoctone la loro missione. Perché oggi vince un
mondo gourmet più tradizionale.
La ristorazione oggi è e deve essere un continuo equilibrio tra passato e futuro. E allora
via a tutte quelle idee ristorative che al pubblico piacciono proprio tanto, come il
Jamantè di Polignano dove, grazie alla creatività di chef Roberto Pisciotta, il made in
Puglia si veste a nuovo. Oppure l’Officina dei Sapori di Gubbio, coi giovanissimi fratelli Ramacci capaci di raccontare le tradizioni familiari attraverso piatti che vestono i colori dell’innovazione ma i sapori propri della cultura gastronomica umbra.
È il tempo della creatività e della scommessa. Ma è anche il tempo della
consapevolezza. Menu essenziali ma non per questo meno sorprendenti: addio alle
carte con 20 portate e via al racconto vero della materia prima.
Una cucina che deve coinvolgere così tutti i sensi, che deve farci giocare per
ritornare allo stupore fanciullo. Come accade seduti a tavola dalla famiglia Alajmo, dove gli ingredienti si fanno espressione dei principi che muovono l’esistenza; una materia che è un’espressione massima compiuta la cui meravigliosa energia bisogna
fare attenzione a non interrompere. E giochi nel piatto che con leggerezza diventano
messaggi straordinari di consapevolezza.
In questo numero abbiamo voluto raccontare, mettendoci come sempre il naso e
ascoltando le voci dei protagonisti, la ristorazione in un mondo che cambia, che è già
cambiato. Con la certezza che i sommi cuochi italiani sanno rivendicare e tengono
ben stretto il “bello e buono” e che la nostra Italia è la prima nella classifica europea
per investimenti in ristoranti di qualità.
Buona lettura.

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