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Il Vermouth: Il vino ippocratico tornato di moda

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Dici Vermouth e, quasi erroneamente pensi ad un cocktail. Sì, perchè questo vino aromatizzato per molto tempo è stato surclassato a “ingrediente” della mixology, per preparare i più famosi Negroni o Manhattan, e che solo di recente, complice il fatto del riconoscimento da parte dell’Unione Europea della paternità alla città di Torino, è tornato in voga riacquistando una propria identità. Un vino dalla storia lontana e incerta, il Vermouth pare sia stato protagonista di antichi racconti palestinesi, dove si parla di un vino reso più gradevole dall’aggiunta di assenzio.

Secondo un’altra tesi, pare sia stato inventato da Ippocrate, che usava aromatizzare il suo vino con erbe, spezie e miele. Un costume diffuso tra Greci e Romani per conservare più a lungo il nettare di Bacco, poi arrivato anche nel Medioevo. E se furono i tedeschi a produrre un vino molto simile all’odierno Vermouth nel 1600, mettendo in infusione nei vini alcune erbe e radici tra cui l’assenzio, da cui il nome Wermuthwein ovvero vino dell’assenzio, bisognerà aspettare il 1786, quando a Torino, Antonio Benedetto Carpano, nella bottega in piazza Castello del noto liquorista Luigi Marendazzo, diede vita a un vino bianco moscato, mescolato ad altri vini e arricchito con uno speciale infuso di una cinquantina di erbe e radici. Diffuso poi in Francia dove era consumato più secco e amaro di quello piemontese, il Vermouth ha una preparazione particolare. Parte da ottimi vini di base, come il moscato, mescolato a vini bianchi secchi, lasciati riposare in particolari vasche da taglio, successivamente filtrati. Il momento importante è quello dell’infusione delle erbe
aromatiche, che avviene in particolari infusori di rame, dove le erbe vengono lasciate a macerare nell’alcol, a differenza degli altri aromi che vengono distillati in laboratorio. L’estratto aromatico passa nelle botti di rovere prima di essere mescolato al vino, cui viene aggiunto anche dell’alcol che ne rialza la gradazione. Gli ultimi passaggi prevedono un processo di chiarificazione, con l’azione depurante dell’albumina e il passaggio prima in grandi vasche per la refrigerazione a circa 5 gradi C. e successivamente attraverso dei filtri per essere brillantato. Dopo anni di successo del Vermouth, negli anni ‘70 per il vino aromatizzato inizia il declino. Cambiano le mode e le nuove generazioni pare non apprezzino questa “bevanda” che finisce così nel dimenticatoio, pur essendo molto apprezzato, invece, nel resto del mondo. Da qualche anno si sta riscoprendo un ritorno al Vermouth e Il Grande Libro del Vermouth e dei Liquori Italiani di Giustino Ballato, appassionato e conoscitore della materia, apparso nel 2018, ha dato ampio spazio a quello che sembrava essere un vino appartenente ormai ad un’epoca passata e destinata a non tornare più. Il Vermouth è una filosofia di vita, un vino che racchiude proprio nei suoi aromi una storia antichissima, fatta di curiosità, leggende, stili e mode di altri tempi eppure sempre attuali. Soprattutto racchiude il profumo di un’anima nobile e aristocratica, quella di una Torino che ha dettato legge in materia di cultura, non solo gastronomica, e di lifestyle. Una magia racchiusa in un tambler basso, una scorza d’arancia e due cubetti di ghiaccio.

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