a cura di Chiara Mariani
Nulla è più complesso della semplicità. Dopo aver intervistato Silvia Cancellieri, fornaia e proprietaria di Tondo a Milano ho pensato alla “O” di Giotto. Un gesto apparentemente semplice che è il risultato di processi e competenze. Un cerchio perfetto disegnato a mano, tondo come la pagnotta del suo logo. Anche il pane di Silvia, apparentemente “solo pane”, è il risultato di un insieme di fattori che spaziano tra politica, economia, sociologia, biologia e agronomia, uniti dalla ciclicità della natura ed espressi da un mix di acqua, farina e lievito.
Laureata in Scienze gastronomiche all’Università di Pollenzo, passata per le botteghe di importanti maestri fornai da cui ha preso il meglio per costruire la sua, Silvia ci racconta: “Ho iniziato a Cuneo con Nicolas Verdickt, un fornaio francese che mi ha insegnato a mettere le mani in pasta partendo dal lievito madre. Poi ho lavorato con Davide Longoni per un periodo breve e molto costruttivo, lì ho aperto la mente sulle tipologie di farine e sull’importanza dei grani antichi. Infine ho trascorso cinque anni a Cascina Sant’Alberto dove la squadra produceva al
giorno 500/1000 kg di pane spezzato a mano prodotto solo con lievito madre”. La semplicità di un grande pane.
Perché, nella complessità del panorama enogastronomico italiano, hai scelto il prodotto più semplice?
La sua stessa semplicità è stata la chiave di attrazione primaria. Il fascino del pane è dato dal fatto che è composto da pochissime materie prime strettamente legate alla terra: il grano, diventato farina, e l’acqua. Inoltre, in tutte le sue declinazioni più o meno fermentate o con diversi cereali, accomuna i popoli e le epoche, ed è l’alimento base per eccellenza. In questa scelta ha avuto un ruolo anche la consapevolezza che è diventato un alimento disconosciuto a cui si dà poca importanza, sminuito nel suo valore nutrizionale. La somma di questi fattori mi ha spinto a unirmi a quella nuova generazione di panettieri che lo riscoprono e affermano “questo pane ha un valore nutrizionale, simbolico e storico”.
Nella sua semplicità compositiva si nasconde, poi, una grande complessità produttiva. Richiede presenza e un coinvolgimento sensoriale molto forte; impone la considerazione della componente tempo e l’attenzione che si deve a un alimento vivo. Nella produzione con il lievito madre, lo ritrovi trasformato dopo 24 ore. Panificare è un lavoro in cui il tempo e la vitalità di quello che stai manipolando sono fattori determinanti.
Già dalla prima risposta di Silvia intendiamo che non si parla “solo di pane” e che il sapore, il profumo e la consistenza che decide il consumatore, sono il risultato di scelte consapevoli e di una visione molto chiara che Silvia riassume così:
Se dovessi definire il mio pane in tre parole direi: sano, etico e radicale. Sano perchè usiamo materie prime vive e intere che lo rendono nutriente, digeribile e ricco di carboidrati complessi; etico per il rispetto, la condivisione e la valorizzazione del racconto della filiera delle materie prime, che per noi è un presupposto imprescindibile. Le scelte che facciamo in termini di filiera sono un impegno quotidiano logisticamente faticoso che richiede conoscenza e ricerca. Il risultato non è solo la qualità del prodotto, ma significa entrare in un circuito virtuoso a supporto di un’economia piccola e concreta. Inoltre quest’anno abbiamo fatto una scelta politica importante: nonostante i costi di produzione siano aumentati causa la maggiorazione dei costi di carburante, energia e trasporti, abbiamo deciso di non avere un rialzo dei prezzi su tutta la linea ma di mantenere una selezione di pani a prezzo invariato.
La coerenza delle scelte etiche di Tondo si esprime anche nell’escludere l’utilizzo di quelle piattaforme di delivery che non distribuiscono valore e dignità del lavoro.
Radicale perché abbiamo consapevolmente deciso di fare una scelta produttiva mirata alla purezza del prodotto. Abbiamo una linea di pani che non sono di facile vendita, ma che danno maggiore soddisfazione quando conquistano il cliente. Sono pani che esprimono le diversità del grano, lavorati in purezza per esaltarne le differenze.
Farina e lievito: quali sono le caratteristiche fondamentali che devono avere e perchè?
Utilizziamo tutte farine non raffinate, biologiche, macinate a pietra e provenienti dall’acquisto diretto dei piccoli produttori. Abbiamo scelto di escludere i grandi distributori e mulini che producono farine tecnologicamente molto stabili, e dunque più semplici da lavorare, ma che spesso non possono garantire la reale provenienza del grano. La mia farina ha dei volti e dei territori di origine; il mio ruolo è trasformare le materie prime per raccontarli attraverso il mio pane e connettere due mondi: chi produce la terra e lavora il grano e chi consuma. Fondamentali sono le garanzie della salubrità della farina, che la rendono un ingrediente vivo e completo nutrizionalmente, e l’integralità delle farine che, macinate in un certo modo, mantengono i loro benefici. Il chicco di grano è ricchissimo di proteine, sali minerali e vitamine, quindi la farina integrale, biologica, perché offre nutrimento completo. Trasformandolo in farina si ottengono delle parti indigeribili ed è lì che entra in gioco il lievito madre, che le rende disponibili alla digestione; con il lievito di birra, ottenuto da una popolazione di lieviti selezionata e unica, non avviene questo processo. Il lievito madre è come un essere vivente, nel mantenimento del suo equilibrio, prende sapori e sfumature diverse che incidono
sui profumi, sulla struttura, sulla longevità e sulla fermentazione del pane. Detto questo, non voglio demonizzare il lievito di birra. Nella focaccia stile ligure e nel pane da hamburger ne uso un pizzico per conferire sofficità. Dal mio punto di vista, utilizzare il lievito di birra per ridurre i tempi senza lasciar lievitare il pane è un errore dal principio.
Ascoltare Silvia parlare del pane e dei ragionamenti che guidano le sue scelte quotidiane, conferma che non rappresenta solo la nuova wave di panificatori consapevoli, ma quell’universo di
persone che accrescono il settore agroalimentare ed enogastronomico con una visione olistica e complessa del cibo, che credono nel ciclo naturale di cui tutti facciamo parte e dove abbiamo un
ruolo e la possibilità di fare la differenza per creare circuiti virtuosi dove tutti vincono: terra, contadino, produttore, trasformatore, cuoco, bottegaio, consumatore.
Silvia chiarisce il concetto: “Nella scelta dei produttori della farina faccio ricerca in tutta Italia, un po’ per trovare grani con diverse attitudini, e un po’ per la varietà dei produttori che trovo.
Ad esempio, in Sardegna sono incappata in un microscopico mulino e ho scoperto che la regione era vocata al grano duro prima di essere convertita in allevamenti e grano tenero. Fanno un gran lavoro di ricerca, di riconversione delle terre e coltivano solo in biologico, quindi, nonostante le difficoltà logistiche e la variabilità dei volumi, mi è sembrata una bella realtà da supportare per l’unicità della materia prima che offre la cooperativa Mulinu – la macina di Barbagia. Il contadino fa fatica a vivere del solo prezzo del grano, ma riesce grazie alle sovvenzioni europee e a meccanismi al di fuori del semplice mercato vendo/acquisto. Per fortuna ci sono mulini virtuosi che pagano al contadino prezzi maggiorati rispetto al prezzo di mercato del grano per incentivare gli agricoltori a non rivolgersi ai grandi compratori.
È un lavoro che richiede fiducia e costanza. Mulino Sobrino addirittura paga più del prezzo di mercato affinché i produttori possano mantenere il regime biologico, perché è una coltivazione che ha più rischi”.
Cosa significano biologico e biodiversità per te e come li esprimi nel tuo lavoro?
Sono valori fondamentali per chi si occupa di alimentazione e cultura del cibo. Biologico, come metodo di produzione agricolo in salvaguardia della biodiversità, significa mantenere la vitalità e la salubrità dei cicli vitali della terra e degli ecosistemi intorno a noi. Ogni generazione sa cosa ha trovato e cosa lascerà, è un sistema di cui tutti facciamo parte. Ad esempio, molti grani antichi, seppur meno produttivi, sono più resilienti e sopperiscono in modo autonomo a condizioni esterne senza necessità di fitofarmaci ed elementi di sintesi chimica. Non è una
questione di romanticismo, è un modo di coltivare necessario per fronteggiare il cambiamento del clima che, a prescindere da quali siano le cause e le colpe, si sta modificando. Abbiamo bisogno che le colture si adattino a questa condizione. Biodiversità significa anche rendere il terreno fertile e permettere che ci sia la possibilità di adattamento e di autoevoluzione dei grani rispetto al territorio per preservare la vitalità e la produttività della terra.
Passiamo agli assaggi: cosa c’è nel paniere di Tondo?
Con il desiderio di far conoscere alla clientela sapori meno facili e consistenze meno comuni, tre pagnotte sono fisse e accontentano tutti, ma ogni giorno viene onorato un grano integrale differente: il martedì quello di segale, il giovedì il farro, il mercoledì un grano duro e via dicendo. Per stuzzicare ci sono le focacce in stile ligure, le torte di verdure e una piccola offerta dolce.
Nelle scelte quotidiane che compie da Tondo, Silvia è ben supportata dal suo socio Renato Nassini, che supporta la sua visione e condivide il desiderio di non essere ‘solo’ fornai, ma persone che scelgono di fare parte del gioco decidendo con quali regole e obiettivi giocare.
Sono scelte che si pagano?
Sì. Il nostro pane costa più di quello del supermercato perchè ha prezzi di produzione e di materie prime più alti, ma non costa troppo. Se costa molto poco significa che nei passaggi precedenti della filiera qualcuno non è stato pagato il giusto e che in quel pane lì, anche in termini di salute, c’è meno valore in quanto non ha prodotto la giusta redistribuzione della ricchezza, neanche alla terra. La diffusa coscienza alimentare cui assistiamo oggi porta a comprare meno, ma meglio in termini di filiera e qualità della materia.
E allora il pane non è più solo simbolo di condivisione, ma di cooperazione, perché con acqua e farina si possono fare grandi cose.
ph. Barbara Torresan