Tris Di Gusto: tartufo umbro, peperoncino calabrese e Bitto Dop valtellinese

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a cura di Nicola Carbonara

1. Il tartufo dell’Umbria.

Le sue origini dal buio della terra gli infondono un alone di mistero. Alcuni popoli gli hanno attribuito qualità divine, altri gli hanno affibbiato qualità afrodisiache, altri ancora, nel Medioevo, lo hanno accantonato perché credevano contenesse veleni mortali o che fosse il cibo delle streghe. Il tartufo, nato dalla terra umbra, ha una lunga storia piena di apprezzamenti di personaggi celebri: Camillo Benso di Cavour lo utilizzava come mezzo diplomatico in politica, Lord Byron amava inebriarsi col suo profumo mentre Gioacchino Rossini, autore del Barbiere di Siviglia e del Guglielmo Tell, lo ordinava direttamente da Parigi.

Esistono 4 tipologie di Tartufo in Umbria. Il tartufo nero pregiato cresce nelle aree collinari e montane, specie nelle zone di Norcia e Spoleto. Tondeggiante con verruche poligonali, emana un profumo intenso, aromatico e fruttato. Particolarmente utilizzato nella cucina internazionale, il suo valore commerciale è secondo solo al tartufo bianco. Il periodo di raccolta del Tuber Melanosporum vitt (nome scientifico) è da dicembre a marzo.

Nello stesso ambiente del tartufo nero pregiato nasce il tartufo invernale, tipico dei climi temperati sotto le latifoglie. Profuma di noce moscata e commercialmente ha un valore di molto inferiore al tartufo nero pregiato.

Esteticamente simile ai precedenti, se non per il colore, il tartufo bianchetto cresce nei terreni di tipo calcareo, spesso nei boschi di latifoglie e conifere. Presenta un odore tenue e gradevole all’inizio, per poi diventare aglioso e nauseante in un secondo momento. Il suo periodo di raccolta è da gennaio a marzo.

Meno pregiato degli altre due tipologie è il Tuber Aestivum Vitt, volgarmente chiamato “Scorzone”. Il suo habitat naturale sono i terreni sabbiosi o argillosi, i boschi di latifoglie e le pinete, dove viene raccolto tra Maggio e Dicembre. Viene spesso utilizzato per la produzione di insaccati e salse.

2. Il peperoncino di Calabria.

La storia narra che il primo occidentale ad assaggiare il peperone rosso piccante fu il medico della seconda spedizione di Cristoforo Colombo. Fu, infatti, l’esploratore italiano a portarlo in Europa. La storia del peperoncino ci porta indietro di 7 mila anni, quando le popolazioni del Centro e Sudamerica iniziarono la coltivazione di questa spezia ancora sconosciuta a molti. Diffusasi nel mondo, la Calabria lo adottò aumentandone sempre più le coltivazioni, agevolata anche dal clima caldo tipico dei paesi sudamericani.

Gli chef calabresi, ormai, lo usano nella maggior parte dei piatti, abbinandolo sia a pasta, carne, pesce e zuppe, sia utilizzandolo come ingrediente principale per produrre marmellate, liquori e cioccolata. Il peperoncino calabrese, inoltre, ha numerose proprietà salutari che portano benefici alla pressione sanguigna e alla circolazione.

L’importanza di questo prodotto in terra calabra ha portato addirittura alla nascita dell’Accademia Nazionale del Peperoncino, una Onlus con sede in provincia di Cosenza, che ha come obiettivo la diffusione della cultura del piccante in Italia e che organizza ogni anno il “Festival del Peperoncino”.

3. Il Bitto Dop della Valtellina.

Il tipico formaggio valtellinese ha origini antichissime, risalenti addirittura alle popolazioni celtiche che in questa zona si insediarono per fuggire dai Romani. Un territorio montuoso e pieno di pascoli, ideale per la produzione di questo prodotto composto da latte di mucca con una minima aggiunta di latte di capra (circa il 10%).

Simbolo della produzione casearia lombarda, il suo nome deriva dall’omonimo fiume che da Gerla scende verso la Valtellina e in celtico vuol dire “perenne”. Un significato che, probabilmente, si riferisce alla capacità del formaggio di conservarsi per lungo tempo, anche 10 anni, se stagionato bene. La maturazione deve durare almeno 70 giorni e inizia nei caseifici alpini.

Dal gusto dolce e delicato, con la maturazione diventa più intenso con un aroma sempre più piccante e deciso. Degustato in purezza, viene spesso associato al miele di corbezzolo o alla polenta di castagne, ma resta sempre il protagonista indiscusso di due piatti tipici della tradizione valtellinese: i pizzoccheri e gli sciatt.

Nel 1996 è stata riconosciuta al Bitto la Denominazione di Origine Protetta.

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