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Cantina Placido Volpone. Una favola che si chiama vino

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C’erano una volta due famiglie molto unite. E ci sono ancora. Sì, perchè questa che inizia quasi come una favola di altri tempi, è in realtà la straordinaria storia di più generazioni, unite da una profonda e autentica amicizia e dal rispetto e dall’amore per la propria terra.
E come sempre accade quando si uniscono autenticità e buoni sentimenti, il risultato non può che essere unico, corposo, ricco di profumi, piacevole, persistente.

Come i vini della cantina Placido Volpone, frutto del lavoro, dell’entusiasmo dell’incontro tra le due famiglie che portano questi cognomi.

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La prima è nota per Michele e Violante Placido, che certo non hanno bisogno di presentazioni. L’altra è la famiglia di Mimmo Volpone, che dall’età di ventunanni lavora i campi nella zona di Ascoli Satriano.
Siamo in un’area selvaggia del Tavoliere delle Puglie, quella che prende il nome di antica Herdonia, dove il sole e il caldo afoso estivo, le escursioni termiche tra il giorno e la notte e il vento liberato dalle alture, disegnano il paesaggio, che produce uve dalle caratteristiche straordinarie.
È qui che la leggenda narra che Diomede, vincitore della guerra di Troia, portò con sé dall’Asia Minore, i tralci di vite, che hanno fatto nascere uno dei vini tipici della regione, il Nero di Troia.
Ed ecco che la favola si arricchisce di storia, quella del IV-III secolo a. C., i cui resti, situati in un’area archeologica protetta, raccontano di antiche città romane e di un importante punto di incontro tra le vie Traiana, Eclanese e per Venosa.
Nove vini (tre bianchi, tre rossi, un rosato e due blend), che raccontano, dall’etichetta al contenuto, storie e aneddoti di famiglia: pomeriggi passati in campagna a chiacchierare al tramonto mentre i bambini giocavano spensierati in una dimensione che oggi sembra quasi inimmaginabile per molti, di spettacoli di vendemmia, con l’eccitazione di una festa che si ripete sempre unica ogni anno, di sogni e progetti riflessi in calici colmi di speranze e attese oltre che di sudore gratificante, di sguardi persi in un orizzonte accogliente che per tutti è casa.
La storia di questa cantina si arricchisce di significati, con le diverse etichette che raccontano un pezzo di storia del territorio.

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Su Calce Viva è ad esempio raffigurato l’opus reticolatum che costituiva la muratura degli edifici di Herdonia.
Una danzatrice campeggia invece sull’etichetta di Rosàntica, a voler richiamare la figura presente nel macellum di Herdonia, mentre sul Nero di troia, cavallo di battaglia della cantina, è raffigurato il rosone della cattedrale di Troia, l’unico al mondo ad avere undici spicchi anziché dodici. E poi ancora i cinque simboli raffiguranti l’uccello herdonico, rappresentazione dell’infinito, è associato al vino Cinque Figli, a testimoniare la volontà dei padri, Mimmo e Michele, di unire i figli in un progetto comune che portasse il territorio a crescere e ad affermare le proprie bellezze.
Faragola è il vino che porta il nome della villa romana tardo antica che si trova a pochi chilometri dalle vigne, le cui terme sono le più grandi in Italia: il simbolo raffigurato sull’etichetta è quello presente proprio nei mosaici. Beniamino è l’aglianico in barrique, che porta il nome del papà di Michele Placido che era originario proprio del Vulture, area autoctona del vitigno.

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Il simbolo raffigurato è quello dei grifoni policromi di Ascoli Satriano, paese in cui viveva la famiglia Placido. Altomare è il nome della falanghina ma anche della moglie di Mimì, mamma dei cinque figli Volpone. La trama presente nelle etichette dei vini saggi, invecchiati in barrique, richiama il primo ricamo tessuto ritrovato in Italia, proprio ad Herdonia, appartenuti a un guerriero dauno del primo quarto del IV secolo a.C.
Quella di Mimmo Volpone e Michele Placido è la storia di una bella amicizia, cominciata da ragazzi e alimentatasi negli anni, distribuendosi, come “linfa di vite”, nella generazione successiva, creando una grande unica vigna, in cui si coltivano affetti e relazioni.
Quell’amicizia è racchiusa, oggi, nel logo Placido Volpone che non poteva che essere il simbolo di due mani che si stringono e che riproducono nelle linee, le vigne viste dall’alto.
Abbiamo raccolto la storia dei vini della cantina e di queste famiglie in un’intervista che non poteva che essere “corale”.
Se vi piacciono le favole sorseggiate con delicatezza davanti a un paesaggio che profuma di terra e di storia, fermatevi un attimo e “ascoltate”.

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Come nasce il progetto Placido Volpone? Come è stato l’incontro tra queste due famiglie?
“Il progetto della nostra cantina – racconta il regista Michele Placido – è frutto dell’incontro di due famiglie Placido e Volpone, unite non solo da una forte amicizia, ma anche dalla condivisione della passione per il proprio territorio di origine. Il nostro vino è la prova tangibile di questo forte attaccamento alle nostre tradizioni. L’incontro è avvenuto più di quarant’anni fa, quando accompagnavo mio padre, geometra, a prendere le misure nei campi. L’amicizia di noi ragazzi ha sempre coinvolto le intere famiglie, che si riunivano proprio alla Masseria Volpone. Un’amicizia destinata a durare per anni, o meglio, per sempre, tanto da portarci a fare una promessa: unire i figli che avremmo avuto e le generazioni a venire in un progetto comune, che racchiudesse storia, tradizione, arte e cultura del nostro essere, delle nostre radici, creando la Placido Volpone, un’unica famiglia unita dalla passione per la propria terra e per il suo frutto più pregiato, il vino.”
“Il nostro vino è arte – interviene Mimmo, per tutti Mimì, colui che ha impiantato le vigne e che cura la crescita e l’evoluzione di ogni chicco d’uva- è l’espressione più pura del nostro territorio. Il frutto viene poi trasformato dalle mani di Michele, che riesce ad esprimere ogni singola caratteristica di ciascun vitigno. Il vino è frutto della tecnica che nulla potrebbe senza la sensibilità del cantiniere di dettare tempi e modi”.

Un ricordo legato a questo progetto…
“Il ricordo più bello risale a quando eravamo adolescenti – risponde Camilla che è la seconda dei cinque figli di Mimmo e che in azienda si occupa della contabilità e delle
spedizioni, ma di molto altro ancora – ed insieme a Violante, Michelangelo e Brenno ci divertivamo a tirare due calci ad un pallone in campagna. Un altro modo per stare insieme era cantare e suonare, passione che vedeva coinvolti tutti noi figli, mentre i nostri papà chiacchieravano davanti all’immancabile bicchiere di vino”.

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Come nasce la passione per il vino?
A rispondere è Violante: “Cinema e vino: due mondi inebrianti e complessi, affascinanti e ricchi di storie… In realtà sono due mondi che si incontrano e si raccontano a vicenda. Il pluripremiato film ‘Sideways’ roadmovie attraverso le cantine californiane ne è una prova.
Il cinema come il vino uniscono e raccontano luoghi, culture e persone.
Dopo un bel film o un buon bicchiere di vino ci si sente di aver fatto parte di unica esperienza, e spesso ci sembra di conoscerci un po’ di più. Il buon cinema e il buon vino, entrambi condividono l’artigianalità, la sfida, e l’esigenza di
sapersi distinguere nella loro autenticità, ecco perché il vino, come il cinema, si può considerare un’arte”.
A raccontarci dell’antica Herdonia è prima Michele: “In prossimità delle vigne passava la via Traiana e c’era uno dei centri romani più importanti del sud, Herdonia, un luogo dove si fermavano i legionari a riposare e, perché no, a bere vino”.
Prosegue nel racconto Antonia, quarta dei cinque figli di Mimmo, che si occupa dell’immagine nonché dello studio delle etichette dell’azienda. “Herdonia è la Pompei di Puglia: un diamante raro ancora tutto da scoprire; infatti solo cinque dei trenta ettari sono stati riportati alla luce. I primi ritrovamenti di Herdonia risalgono addirittura al Neolitico.
Una delle figure riportate sulle nostre etichette è l’uccello herdonico, un uccello acquatico speculare con cui si indica anche la barca del Re Sole, che simboleggia l’infinito.
L’accostamento ai nostri vini di questo simbolo, che era anche il marchio di fabbrica delle ceramiche daune provenienti proprio da Herdonia, simboleggia infatti la volontà dei nostri padri di unire noi figli in un progetto che aiutasse il nostro territorio ad emergere, come molte altre bellissime realtà del nostro stivale. Ogni etichetta, proprio con questo scopo, richiama un pezzetto di storia di Herdonia”.

Quale vino rappresenta di più e perchè?
“Puntiamo sul Nero di Troia in particolare, vitigno autoctono, e soprattutto sul vino rosato” – dice Violante Placido – I vini rosati stanno vivendo un momento di riscoperta, con la Puglia in prima linea nella sua rinascita. Questo vino rappresenta l’arte vera e propria in ambito enologico. Più di tutti gli altri vini infatti esprime la capacità del cantiniere di far risaltare le caratteristiche più pure di un vitigno. Mi affascina molto il suo processo di lavorazione che richiede davvero un amorevole attenzione senza la quale il vino rosato più degli altri può non dare i risultati sperati, in sintesi è un vino che racchiude più di tutti il senso di sfida. Il mio orgoglio infatti è proprio il Faragola, rosato da uve di nero di Troia”, adoro poi i sentori di frutti rossi che scaturiscono da questo vino”.

Placido Volpone, ovvero il primo vino a km 0 virtuale. Prende la parola Rocco, il primogenito di Mimmo ed Altomare, che si occupa del marketing e che coordina tutte le fasi del progetto Placido Volpone: “Siamo stati i primi al mondo ad aver utilizzato la tecnologia della Blockchain per poter raccontare al consumatore tutti i passaggi della nostra catena produttiva. Nostro padre Mimmo “pettina” le sue vigne e il racconto di ogni fase viene raccolto in un registro, che viene poi reso pubblico in questa catena immodificabile che è la Blockchain. Michele, mio fratello, nonché il terzo di noi figli, si occupa invece di tutte le fasi di trasformazione dell’uva, descritte anche queste in un registro reso pubblico e immodificabile. La nostra volontà è quella di dare completa trasparenza del nostro prodotto, poiché ci viene naturale. Abbiamo sfruttato la nuova tecnologia della Blockchain, che sta prendendo piede in vari settori della produzione, per poter dimostrare il nostro essere genuini.”

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