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Speciale Puglia. Senza complicare il pane: storia di un’eccellenza in continua evoluzione

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a cura di Maria Luigia Vurro

Per quanto le ferree diete a cui ci sottoponiamo mesi prima dell’arrivo dell’estate possano dirci il contrario, una cosa è certa: non possiamo fare a meno del pane. I prodotti da forno rappresentano una colonna portante della cucina italiana, a tal punto che difficilmente diciamo di no a una pizza margherita e, altrettanto difficilmente, possiamo resistere alle lunghe attese al ristorante senza quel provvidenziale cestino di pane e grissini al centro della tavola.
Il pane segue la naturale evoluzione umana da millenni e trascende culture, climi e tradizioni diverse: dai bretzel tedeschi al pane di segale svedese, dal pane azzimo ebraico alla baguette francese, questo prezioso impasto di farina, acqua e cereali ha sempre un volto diverso, ma mantiene la fondamentale funzione di accompagnare con grazia e discrezione ogni pasto.
Non tutte le tipologie di pane, però, sembrano essere state create a questo scopo. La nostra penisola, infatti, dal 2003 vanta tra le sue DOP un pane particolare, duro fuori ma morbido dentro, che a prima vista ricorda il paesaggio aspro e rude della Murgia da cui proviene: il Pane di Altamura. Non sappiamo con certezza quando il primo esemplare di questo pane di semola di grano duro sia stato creato ed infornato, ma sappiamo con certezza che i Romani lo conoscevano e lo apprezzavano particolarmente: non per nulla Orazio, nativo della colonia romana di Venosa, a cavallo tra Basilicata e Puglia, ne scriveva nel Libro I delle Satire definendolo “il pane migliore al mondo”.
Dai tempi di Orazio, poco e nulla sembra essere cambiato in questo speciale pane. Anzi, pare che la ricetta tuttora in uso sia stata definitivamente stabilita nel Medioevo: risalgono al Quattrocento, infatti, i primi forni pubblici della città di Altamura. Uno dei più antichi, l’Antico Forno Santa Chiara, venne aperto nel 1423: lì le donne della città portavano grandi
pezzature di pane “accavallato” (chiamato in dialetto u sckuanéte) o schiacciato (a cappidde de prèvete) che avevano precedentemente impastato in casa. Un decreto del tempo stabiliva che non era permesso a nessun cittadino, qualunque fosse il suo stato, di cuocere in casa il pane o altri prodotti da forno, pena un’ammenda particolarmente salata. Nel Seicento, erano ben 26 gli impianti di trasformazione del pane in attività ad Altamura, e la notizia dell’infornata del giorno risuonava per le strade all’alba.
La chiave del successo del Pane di Altamura risiedeva (e risiede tuttora) nella sua incredibile capacità di durare per molto tempo: dotato di una crosta molto croccante e spessa e di una mollica gialla e soffice, questo pane era indispensabile per chiunque lavorasse i campi e portasse le pecore al pascolo sulle colline della Murgia barese, stando fuori casa per molti giorni. Paradossalmente, da un sondaggio sul pane della Klaus Davi & co. del 2021 è venuto fuori che durante la pandemia di COVID-19, che ci ha costretti in casa per lunghi periodi di tempo, il Pane di Altamura è stato complessivamente il pane più comprato e più apprezzato dagli italiani, naturalmente sempre per la sua durevolezza.
Ma come si ottiene un pane così durevole?
Essendo una DOP, il Pane di Altamura segue un disciplinare molto rigido, a cominciare dai grani duri utilizzati: Appulo, Arcangelo, Duilio e Simeto sono le varietà che danno maggiormente forma e carattere all’impasto, tutte provenienti dalla Murgia (in particolare dai comuni di Altamura, Spinazzola, Minervino Murge, Poggiorsini e Gravina di Puglia). Come già detto in precedenza, la ricetta di questo pane è rimasta la stessa sin dal Medioevo, così come gli ingredienti necessari: sfarinato di grano duro, lievito madre, sale ed acqua. Impastamento, formatura, lievitazione e modellatura sono anch’esse caratteristiche del processo produttivo molto antiche, che permettono di ottenere un prodotto difficile da contraffare. Ma la parte più importante è la cottura,
che non solo deve sempre essere effettuata nei forni a legna in pietra, ma deve prevedere solamente l’uso di legno di faggio o di castagno, proveniente perlopiù dal comune di Spinoso, in provincia di Potenza.
Quello di Altamura può sembrare solo pane, ma in realtà è un caposaldo della gastronomia pugliese, tanto da spingere la Regione Puglia a richiederne lo status di patrimonio dell’Unesco e convincere le autorità della città di Altamura ad assecondare il sogno di uno dei produttori altamurani di maggior successo, Vito Forte, di aprire nel 2019 un museo cittadino dedicato proprio al Pane di Altamura.
E non è un caso che negli ultimi due anni la Puglia abbia cominciato ad assistere ad un nuovo fermento legato al pane, quello dei PAU (Panificatori Agricoli Urbani): quasi tutti millennials, quasi tutti messi in crisi dalla pandemia, tutti uniti dal bisogno di ritrovare sé stessi nel pane, attraverso la ricerca e la salvaguardia di grani antichi e di tecniche di lavorazione innovative e, in alcuni casi, fusion. È tutta farina del sacco di un grande pane, quello di Altamura, che ha avuto l’incredibile capacità di durare nel tempo e di ispirare un’intera generazione a riprendere tra le mani uno dei cibi più semplici al mondo.

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