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Speciale Puglia. La tiella barese: Storia e curiosità di un piatto a cavallo tra identità territoriale e radici lontane

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a cura di Maria Luigia Vurro

In una celeberrima puntata di Love Bugs, diventata ormai virale, l’attore barese Emilio Solfrizzi spiega istericamente a Giorgia Surina, milanese doc, in cosa consiste la preparazione del suo piatto preferito, considerato il top tra le prelibatezze baresi. L’isteria di Solfrizzi è ben motivata: la sua fidanzata nella serie, Giorgia Surina appunto, cucina i componenti di questa pietanza, ovvero riso, patate e cozze, separati, per poi unirli in un unico piatto. Peccato che la tradizione barese imponga che i tre ingredienti principali debbano necessariamente essere cucinati insieme. Citando lo stesso Solfrizzi, “patateriseccozze è un titolo unico”, una trinità pagana inscindibile che costituisce il banco di prova delle casalinghe pugliesi da generazioni.
La vera e propria curiosità riguardo a questo piatto è il suo dualismo: patate riso e cozze, che per comodità chiameremo col suo nome scientifico, ovvero tiella, è diventato nei secoli un piatto identitario, una “DOCG alimentare senza corona” della terra di Bari, con un disciplinare rigidissimo e una zona di produzione d’elezione, ovvero Bari vecchia, ma ha contemporaneamente salde radici culturali che abbracciano tutto il bacino del Mediterraneo, tra Spagna, Arabia Saudita, Libano, Marocco e persino Palestina. Una storia ricca e complessa, quella della tiella, che parte proprio dal suo nome.
Il nome tiella indica il recipiente, ossia una teglia di acciaio o terracotta, in cui la pietanza viene cotta, in forno nei tempi moderni ma originariamente sui carboni accesi. Per correttezza, anche se ciò potrebbe comportare una forte diatriba con la comunità barese, è necessario sottolineare che in Salento esiste la taieddha, la cui ricetta è praticamente identica alla tiella barese, compreso il condimento di dissertazioni filosofiche sull’aggiunta della zucchina. Non solo: in Calabria col nome tijeddra vengono identificati numerosi piatti di pasta al forno, con carne, pesce e verdure di stagione. Dunque, il nome non è esattamente un’esclusiva pugliese, tantomeno barese.
Infatti, sembrerebbe che il nome derivi dal greco tagenon, che significa semplicemente “casseruola”.
Una parola da cui derivano una moltitudine di nomi di pietanze mediterranee, tra cui il sayyadiyye libanese, un piatto di riso con orata fritta e una salsa di crema di sesamo, succo di limone e pinoli, o la famosa tajine berbera, un seducente guazzetto di totani, pesce spada e gamberi arricchito con spezie, pomodori e olive nere. Viene estremamente facile, dal punto di vista
etimologico, tirare una linea che unisca la tajine, la tiella/taieddha pugliese e la paella spagnola nelle sue innumerevoli varianti, dal momento che tutte queste pietanze prendono il nome del contenitore in cui vengono cucinate. Ma mentre nella tradizione pugliese la tiella può essere fatta di vari materiali e in varie forme, la paella dev’essere tonda e bassa, con due manici laterali per sollevarla e portarla direttamente in tavola, mentre la tajine è fatta di terracotta e ha un alto coperchio conico. Oltre il confine della somiglianza nominale, le differenze si moltiplicano.
La paella de marisco, che molti identificano come la “progenitrice” della tiella barese, presenta una moltitudine di prodotti ittici oltre alle semplici cozze, come del resto la tajine: calamari, gamberi, scampi, uniti a fumetto di crostacei, zafferano, paprika dolce e peperoncino si fondono in un piatto che ha il sapore dell’incontro tra la cucina di pesce delle coste
spagnole e la cultura delle spezie mediorientale. Una caratteristica, quella delle spezie, che nella tiella, arricchita dall’intrigante semplicità di un pizzico di cipolla, pomodoro, pecorino, prezzemolo e una spolverata di pepe nero, non ha alcun riscontro. Sono assenti nella “paella de marisco” le patate, che però ritroviamo in molte altre varianti regionali di questo famosissimo piatto spagnolo e in qualche variante della tajine. Cambia anche il tipo di riso utilizzato: la paella è arricchita dal cosiddetto “riso bomba”, chiamato così per la sua forma arrotondata. La
tajine si cucina senza riso, ma in alcune varianti si accompagna al basmati bianco.

E allora, da dove deriva la tradizione della tiella?
In realtà, tracce della storia di questo piatto si trovano proprio nella cultura gastronomica del riso nel bacino del Mediterraneo. Giunto in Sicilia e in Spagna dopo aver attraversato Iraq, Siria, Palestina, Egitto e Marocco, questo piccolo chicco bianco aveva già alle spalle una storia più grande di lui: inizialmente utilizzato come pianta officinale in Mesopotamia, era diventato un contorno di tutto rispetto per piatti di pollame, pesce e verdure, veniva macinato insieme a sesamo e nigella per farci il pane in Iran e, presso i popoli arabi, veniva cotto nel latte o nel brodo insieme a miele, melassa di datteri e sciroppo d’uva.
Le ricette mediorientali lo vedono anche “sporcato” di giallo e ocra con un insieme di spezie: zafferano e paprika dolce nella kabsa araba o nei piatti di ceci e lenticchie del Marocco orientale. Ma un accenno di somiglianza lo troviamo soprattutto nel maqloubeh palestinese, uno sformato di riso, pollo (o pesce nelle località di mare come Gaza) e melanzane o cavolfiori,
in cui la vera particolarità è la stratificazione degli ingredienti. Maqloubeh in arabo significa “ribaltato”, un nome che rimanda al fatto che prima di essere consumato, questo piatto debba essere rovesciato dal tegame in cui è stato cucinato in un grande piatto da portata. Diventa quindi fondamentale per chi cucina il maqloubeh disporre a strati i suoi ingredienti, in
modo tale che pollo e verdure risultino in cima allo sformato al momento del suo capovolgimento.
Ed è proprio la stratificazione la vera novità della regina delle pietanze baresi. Totalmente assente nella paella spagnola, in cui il riso si mescola e si salta ritmicamente con gli altri ingredienti, molto rudimentale nel maqloubeh palestinese, il sapiente alternarsi di strati di patate, riso e cozze si trasforma in un vero capolavoro di ingegneria gastronomica nella tiella. E qui diventa necessario approfondire il suo “disciplinare”.
La tiella nasce come piatto contadino e marinaro, da preparare possibilmente la sera prima o qualche ora prima di consumarlo (guai a cercare di mangiarlo appena sfornato!) e povero di ingredienti, la cui scelta era inizialmente vincolata alla disponibilità di verdure
di stagione specifiche. Da qui è facile rispondere alla diatriba riguardo alla zucchina, diventata virale con una pubblicità della locale azienda del gas, l’Amgas: mettere la zucchina nella tiella non è un reato e non viola le regole del “disciplinare di produzione”.
Persino nel cuore della città vecchia di Bari, ogni famiglia ha la sua peculiare ricetta della tiella, tra cui spicca quella di una strana variante fusion, poco diffusa, che alla zucchina aggiunge anche un po’ di uovo come collante tra riso e cozze. Ma quest’ultima, mancando di testimoni veri e propri in grado di affermarne l’effettiva esistenza, si perde nella leggenda.
La ricetta di questo piatto dal nome semplice non deve trarre in inganno, come è purtroppo successo per il personaggio di Giorgia Surina in Love Bugs precedentemente citato. Gli ingredienti sono pochi, è vero, ma vanno predisposti con cura. Il riso va sciacquato in acqua fredda per privarlo di una parte del suo amido, le cozze (rigorosamente tarantine) vanno pulite maniacalmente con una paglietta metallica e aperte a crudo con un coltellino. Vanno conservate nel loro stesso liquido per ottenere una cottura ottimale. La teglia va cosparsa di olio extravergine e cipolle, prima di accogliere la base di patate (e zucchine, per i più avventurosi) tagliate a fette omogenee (non più di ½ cm di spessore). La stratificazione prevede un alternarsi di patate, condite con cipolle, pomodoro, prezzemolo e pecorino romano, cozze (munite di valva, ovviamente) e riso, sistemati in modo da essere contenuti dalla valva. Il tutto fino a riempire completamente il tegame, il cui ultimo strato dev’essere di patate e liquidi filtrati dalle cozze. Niente acqua aggiuntiva, niente sale, solo la preziosa salinità del mare e, tutt’al più, del pecorino.
La storia della tiella barese non è del tutto nuova, ma è senza dubbio originale. Riso, patate e cozze, nella loro semplicità, vengono trasformati in un unico piatto che unisce le famiglie e attira chef stellati, food lovers ed esperti da tutto il mondo. È un merito che nessuno può togliere a Bari e ai baresi.

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