Roberto è un ragazzone che nasconde dietro una folta barba scura un animo gentile e sincero. E se i suoi occhi comunicano limpidezza, le sue parole raccontano l’umiltà, quella che, sola, può donare a un progetto ali salde e forti. Perché solamente passione e verità possono vincere su tutto.
Il progetto è ovviamente legato al mondo della ristorazione. È il Jamantè di Polignano, nuovo format made in Puglia nato nel 2020.
La passione, quella di Roberto Pisciotta, che del Jamantè è l’anima della cucina, ha invece radici più lontane.
“Tutto ebbe inizio quando avevo 13 anni – racconta -. Mia sorella studiava alla scuola alberghiera e io sono stato affascinato e coinvolto, per non dire travolto, dalla sua passione per la pasticceria. Cominciai a preparare torte, senza alcuna pratica e formazione, e da lì capii di voler studiare le tecniche (anche io finii quindi tra i banchi della scuola alberghiera, al Perotti di Bari) e voler essere determinato per distinguermi. Dopo la scuola, frequentata con risoluzione e massima dedizione, iniziai a lavorare in sala, perché non riuscivo a trovare un posto in cucina. La prima vera e influente esperienza fu poi ad Alberobello, dove, in seguito ad un infortunio dello chef, mi ritrovai in mano la responsabilità della cucina. Avevo solo 17 anni”.
La sete di conoscenza ed esperienza inizia da qui. Roberto “vola” in tutta Italia, da Riccione alla Val d’Aosta passando per Milano. Ma resta forte il legame per la propria terra, per quella Puglia dove le tradizioni della civiltà contadina si fondono e si confondono con il fascino del mare, tanto che sono i due anni trascorsi come chef all’iH Hotels Bari Grande Albergo delle Nazioni quelli che lui annovera come i più risolutivi verso la consapevolezza che la cucina era ed è l’unica cosa che Roberto vorrebbe fare nella vita. E la consapevolezza, quando arriva, alimenta la voglia di sapere ancora, di più…
“Decisi di partire per l’Australia e fu una scelta che subito si rivelò fortunata. Gli anni trascorsi lì hanno contribuito moltissimo alla mia formazione, e soprattutto a far crescere la mia autostima; una spinta fondamentale per tutto quello che è venuto dopo” – rivela Roberto.
E infatti quando, valigia in mano, è volato, e questa volta letteralmente, a Sydney ad attenderlo c’erano esperienze nella gestione di ristoranti importanti, l’Ormeggio e il d’Albora Marinas: Head Chef di una cucina che è l’unione delle abitudini culinarie dei coloni, in maggior parte di origine inglese. A fare da padrona sulle tavole è la carne, ma anche il pesce è molto diffuso, grazie alla pescosità dei mari che offrono pesci e crostacei sconosciuti al Mediterraneo. E poi i frutti tropicali, e ancora, per la natura cosmopolita di Sydney, i piatti sia di tradizione cinese che italiana… Un portafoglio di sapori che ha arricchito il bagaglio personale di Roberto in maniera talmente unica da far sì che oggi la sua cucina sia così peculiare da renderlo protagonista di una proposta esclusiva.
Il Jamantè vuole infatti essere un incontro tra la tradizione e la proposta gourmet. Il riferimento resta la Puglia, rimangono i sapori e i profumi di una terra tanto semplice quanto ricca, ma la sostanza si veste di bellezza. “Ciò da cui parto – spiega Roberto – sono i profumi e i sapori che portava in tavola mia nonna: le polpette di pane, l’uso della terracotta, che dona sentori e sapori tipici ed unici… Quel gusto autentico voglio che resti, perché la nostra cucina deve raccontare la nostra terra. Ma poi c’è l’evoluzione. Ed ecco allora che parto da un prodotto e lo lavoro cercando di regalarne agli ospiti tutte le sue sfaccettature. La cipolla, per esempio, viene usata e lavorata come se fosse una proteina. Sperimento così l’evoluzione dei prodotti tipici. Il polpo: lo ho destrutturato ricreandolo poi all’interno di uno stampo a forma di tentacolo. Oppure il peperone ripieno con le polpette della nonna. I ricordi che scaturiscono all’assaggio sono quelli dei piatti contadini, ma il vestito e le lavorazioni cambiano. Il peperone viene fritto con all’interno la polpetta e poi viene finito e guarnito con una salsa al perone e sedano rapa. E ancora il cantuccio salentino: ho preso come base la ricetta tradizionale ma ho abbinato la freschezza del mandarino e una bagna di latte di mandorle…”.
Jamantè, il cui nome suggestivo rivela in realtà l’identità dei tre soci, Giampiero, Antonio e Teresa, accoglie con uno stile retrò, ad ingannare un po’ il palato che poi invece viene sorpreso dalle contaminazioni con cui Roberto Pisciotta riesce ad esaltare la tipicità pugliese. Ci sono tocchi orientali e influssi spagnoleggianti che vestono a nuovo sapori conosciuti, che con grazia ed eleganza assurgono a nuovi encomi. Gusti e profumi sono quelli genuini, le tecniche e la presentazioni, invece, sono originali. Così la frisa diventa un antipasto e l’oliva è servita su una polvere di pomodoro.
All’occhio colpisce la bellezza delle composizioni, al palato esplode la pugliesità. I prodotti locali si abbinano al recupero di prodotti antichi, o all’utilizzo di materie inusuali. A fare da certezza è l’esaltazione di ogni singolo prodotto, perché i prodotti si fondono sì, ma restano perfettamente distinguibili.
Insomma, Jamantè, grazie alla cucina creativa di Roberto, è una proposta gourmet che racconta la Puglia, quella vera, attraverso ricette innovative. Si fa notare per il recupero di prodotti semplici, come i pesci poveri, il pesce azzurro, che ritrovano dignità attraverso un equilibrio perfetto tra antico e nuovo.
Se chiedi a chef Pisciotta di raccontarti la sua cucina lui ti risponde con tre aggettivi: funzionale, saporita e contrastante. Ed è questo, in sole tre parole, il segreto del successo di questa nuova proposta culinaria. Va aggiunta assoluta menzione ai colori, che sono vividi ed esplosivi nei piatti di Roberto, a creare quadri emozionali che quasi ti dispiace rompere. Sono frutto di esperienza, ma soprattutto di infinito amore per quel mestiere da cui più di una volta (ce lo ha confessato) ha provato ad allontanarsi, ma poi non ce l’ha fatta perché è l’unica cosa che lo fa stare bene. E infine non dimentichiamo il genio e la tecnica, tanta. Ma non aspettatevi che Roberto ne faccia menzione, tanto meno se ne vanti. Perché a prevalere, nei suoi racconti sulla sua cucina, è sempre e ancora l’umiltà.
E se provate a chiedergli di svelarvi un sogno lui non ha alcun dubbio: “Cercare di essere un ideale per i giovani d’oggi è quello che mi fa star bene, perché voglio che i giovani capiscono il sacrificio che questo mestiere richiede, comprendano che in cucina bisogna essere umili e non accontentarsi mai di quello che si sa, ma continuare a imparare, sempre, proprio come faccio io a 34 anni”.
È proprio vero: la bellezza è un vestito impossibile da far indossare a un piatto se non la hai dentro.