Ristorante Gellius

Ristorante Gellius: il cuore della cucina batte forte anche in sala

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Un castello medievale, ex carcere, le cui pietre narrano la storia di una città dell’XI secolo a.C.: Oderzo; al suo interno, i resti di un’abitazione patrizia romana, oggi area archeologica. Sono queste le presenze millenarie attorno alle quali vive il ristorante Gellius, dove i piatti vengono serviti avvolti da un’elegante magia che profuma di antico, di sogni realizzati: quelli del proprietario Genesio Setten, che infatuatosi del luogo decise di ristrutturarlo per farlo abitare e vivere da chi ama la buona cucina.

Alessandro Breda porta una Stella Michelin al Ristorante Gellius

E poi c’è lui, lo chef e gestore, Alessandro Breda, che con amore per il suo lavoro, passione e determinazione, ha incoronato il sogno del sig. Setten portando a casa una stella Michelin. A casa è il termine giusto, perché quando entri al Gellius, se la prima percezione che ti avvolge è la raffinatezza degli ambienti, l’accuratezza dei dettagli e la signorilità del personale, non appena ti siedi a tavola tutto questo non si trasforma in eccessiva e disagiante ricercatezza, ma in gentilezza e delicate attenzioni, quelle di un ospite che ti fa sentire come a casa.

Mentre sorseggi un buon bicchiere di vino, scelto tra l’ampia selezione delle migliori etichette italiane e straniere presenti nella cantina, ti guardi intorno: i restauri moderni non intaccano la storia del luogo. Paiono anzi dare maggior enfasi alla magia antica che riempie l’atmosfera curata in ogni particolare, dalle luci alla musica di sottofondo, dal bianco delle tovaglie che contrasta con le pietre a vista, fino alla scala in legno e vetro che conduce nello spettacolare angolo archeologico, o al Nyù: bistrot più informale, ma non meno elegante.

Una cascata di posate dal soffitto: il cuore della cucina batta forte anche in sala

Al centro della stanza, una cascata di posate attaccate a fili che scendono dal soffitto, in un meraviglioso gioco dove l’antico rimanda al moderno, con la cucina che fa da cuore pulsante, vivendo in perfetta sintonia con la sala. Lo percepisci dall’aria di serenità che regna tutto intorno, lo vedi nei sorrisi sinceri dello staff, nella competenza di chi ti porta il piatto in tavola e te lo racconta come se lo avesse cucinato lui.
Eccola lì la cascata di posate: il cuore della cucina che batte forte anche in sala. Niente guerre fredde tra cuochi e camerieri, tra chef e sommelier: questo è l’algoritmo perfetto che regala ai clienti ciò che desiderano: un’esperienza indimenticabile.

Gualtiero Marchesi diceva: l’arte è il porsi in opera della verità.
Il cuoco deve creare, senza necessariamente inseguire il nuovo e il mai visto, perché la novità può coesistere sia con lo sconosciuto che col conosciuto, l’importante è che attinga dalla verità. Alessandro Breda – che della brigata di Marchesi ha fatto parte – regala a chi siede al suo tavolo un’esperienza che parte da una cucina sempre calata nella stagionalità della terra, dove i sapori e la qualità dei prodotti restano inalterati.
Tradizione e semplicità, trasformati dalla sua arte in portate che suonano sul palato ogni volta con bassi e acuti diversi, toni di dolce, salato o acre, sempre differentemente mescolati; con le giuste pause e silenzi, proprio come in un concerto.

Stagionalità degli ingredienti e del menu

Se in autunno l’acidulo tannico e il timbro croccante della melagrana contrastano con la dolcezza della crema di castagne, in primavera il pesce spatola nuota fiero di sapore in una mousse di zucchine, impreziosita da fiori eduli e popcorn di pane che scricchiolano piacevoli ad ogni boccone. Il ritmo a volte è dettato dal contrasto delle temperature, così i caldi spaghetti al nero di seppia sono serviti con del crudo freddo di capasanta, avvolti da salsa al basilico a temperatura ambiente, mentre il riso mantecato al branzino scioglie delicatamente col suo calore il festoso gelato alla cipolla. E poi c’è l’uovo cremoso, accompagnato a ogni stagione da ciò che la terra offre: funghi e tartufo nero, oppure asparagi e uova di aringa, o ancora pesto di dragoncello e mandorle.

A ogni portata un contenitore speciale, porcellane diverse per forma e misura, perché anche qui il dettaglio fa la differenza e la presentazione, la bellezza del piatto, fa parte dell’esperienza vissuta dai commensali. Niente virtuosismi però, solo un delicato equilibrio. Alessandro Breda non è esecutore né interprete, ma indubbiamente un compositore, esattamente come Gualtiero Marchesi definiva i veri cuochi.

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