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Speciale Puglia. Primitivo: il re dei vini pugliesi, tra storia e “parentele”, tutte da scoprire

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a cura di Maria Luigia Vurro

Primitivo” è un aggettivo che spesso guardiamo con sospetto. Lo utilizziamo quando vogliamo etichettare un comportamento, un oggetto o addirittura un individuo, definendolo implicitamente
rozzo, rudimentale e persino arretrato. In fondo, il cosiddetto “uomo primitivo” di memoria scolastica ai nostri occhi non è altro che un cavernicolo, un progenitore dell’odierna umanità che di essa non ha l’intelligenza, la tecnologia e la raffinata cultura.
Il significato di questo aggettivo cambia radicalmente quando dal mondo socio-culturale passiamo a quello enologico. “Primitivo”, in questo caso, è associato a prestigio, eleganza e qualità.
Quando nella seconda metà del Settecento un parroco e biologo in erba, don Francesco Indellicati, scoprì che tra i vitigni sui suoi terreni a Gioia del Colle (BA) ne esisteva uno, dai grappoli dolci e purpurei, che maturava prima degli altri, lo privò del nome con cui i vignaioli gioiesi lo chiamavano abitualmente (zagarese) per affidargliene un altro: primativus, un termine ben lontano dal concetto di “primitivo” già citato. Lungi dall’essere “in ritardo” rispetto agli altri, il Primitivo in Terra di Puglia e in ogni regione italiana in cui è coltivato, taglia ogni anno per primo il traguardo della maturazione dei suoi grappoli, anticipando la sua vendemmia alla seconda metà di Agosto. Ancora più curioso è il fatto che il Primitivo non è solo precoce, ma anche molto produttivo: un mese dopo la raccolta dei grappoli principali dalla pianta, questo vitigno consente una seconda raccolta di grappoli, i racemi, che maturano su tralci secondari
della pianta.
Ormai il Primitivo viene considerato a tutti gli effetti un vitigno autoctono pugliese, ma la sua storia, in parte ancora avvolta dal mistero, sembrerebbe avere radici un po’ più lontane: dei recenti studi delineano un racconto dai tratti quasi mitici, che inizia in Illiria, sull’altra sponda dell’Adriatico.
Che fosse un dono di Dioniso al genere umano oppure no, i Greci avevano contribuito alla diffusione delle tecniche di viticoltura nelle loro colonie spingendosi fino alle isole di Vis, Hvar e Korčula, nel sud dell’attuale Croazia. Queste isole sono ritenute non solo la culla della viticoltura croata, ma anche il primo sito di apparizione di un particolare vitigno a bacca scura, lo Crljenak Kaštelanski: ormai molto raro e spesso incrociato con altre varietà autoctone più rigogliose, tra cui il Dobričić, per produrre uno dei vitigni cardine della cultura enologica croata, il Plavac Mali, lo Crljenak sembrerebbe essere stato il primo vitigno europeo a portare in Italia il fortunato DNA del Primitivo tra il XV e il XVI secolo.

Secondo gli storici, fu l’immigrazione delle popolazioni greco-albanesi (poi divenute arbëreshë), fuggite dalla morsa dell’Impero Turco-Ottomano, a condurre le barbatelle di Crljenak nel sud Italia e, nello specifico, in Puglia. Nei due secoli che seguirono, lo Crljenak prese il soprannome di zagarese o morellone, per via dei suoi grandi grappoli scuri, e non venne particolarmente elevato a vitigno del territorio: prima che don Indellicati lo ribattezzasse Primitivo, e contribuisse alla diffusione della sua monocoltura nell’ambito delle Murge, la viticoltura pugliese privilegiava di gran lunga i vitigni a bacca rossa come uva di Troia, Bombino Nero, Aleatico e Amanera. Il Primitivo murgiano diventò una risorsa così preziosa per la nobiltà locale da diventare anche parte di una dote nuziale. Nel 1881 la Contessa Sabini di Altamura, in occasione del suo matrimonio con un nobile di Manduria, Don Tommaso Schiavoni- Tafuri, gli regalò delle barbatelle di questo vitigno, che nel giro di poco meno di 10 anni produsse la prima etichetta di quella che è tuttora l’unica DOCG di Primitivo pugliese: il Primitivo di Manduria Dolce Naturale.
Ma la storia del Primitivo non è ancora finita. Mentre quello pugliese si preparava a collezionare futuri successi (tra cui una Medaglia d’Oro ad un’esposizione a Praga alla fine dell’Ottocento), le coste dalmate, che avevano fatto parte della Repubblica di Venezia, vennero assoggettate all’impero asburgico e numerose piante di Crljenak croato finirono nelle serre imperiali di Vienna, dove vennero coltivate ed esportate negli Stati Uniti tra il 1820 e il 1830. La prima menzione “americana” del nuovo vitigno lo descrive come Black Zinfardel of Hungary, con riferimento ad un vitigno tedesco particolarmente amato dagli intenditori americani, lo Zierfandler: da lì il peculiare nome del parente più famoso del Primitivo, lo Zinfandel.
Guai a dire ad un californiano che quello che ha nel calice, sotto il sole settembrino della Napa Valley, è Crljenak o Primitivo: per i wine lovers dello stato, lo Zinfandel (che loro chiamano affettuosamente Zin) è ormai un vitigno autoctono a tutti gli effetti. Vale lo stesso anche per alcune zone del Sudafrica e per la costa neozelandese, naturalmente. Il fortunato DNA del Primitivo beneficia di climi caldi e di territori collinari baciati dal sole, e sono proprio questi i fattori che rendono questo vino (che si chiami Plavac Mali o Crljenak o Zinfandel) particolarmente riconoscibile a livello organolettico.
Il Primitivo è un vino che da giovane si veste di un raffinato color rubino, che tende al granato con il tempo e l’evoluzione, dall’incredibile potenza olfattiva e dal gusto caldo e avvolgente. Sentori di uva passa, confettura di mirtilli e ribes nero, ciliegia nera, pepe, liquirizia, cannella e, a volte, una leggera nota salmastra rimandano ai grappoli baciati dal sole e cullati dal vento mite di Manduria, di Sonoma e dell’isola di Hvar. Dai racemi di questa prodigiosa pianta i produttori pugliesi ricavano vini rossi da bere giovani e rosati delicati ed eleganti.
La gastronomia tradizionale pugliese non si limita ad usare il Primitivo solo per accompagnare una pietanza, ma permette a questo vino prodigioso di entrare nel ragù della domenica per sfumare le brasciole al sugo, oppure di produrre capolavori culinari come il Caciocavallo ubriaco, immerso nel vino per 40 o 50 giorni dopo sei mesi di lenta stagionatura.
Abbiamo ancora tanto da scoprire del viaggio del Primitivo fino a noi e nel resto del mondo, ma conoscendo questo vitigno “itinerante”, c’è da sospettare che il suo viaggio non si sia ancora
concluso.

 

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