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Finchè c’è Prosecco c’è speranza. Una storia tutta italiana

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É un film del 2017 di Antonio Padovan, tratto dall’omonimo romanzo di Fulvio Ervas, presentato alla Festa del Cinema di Roma del 2017. Un’indagine intrigante e coinvolgente ambientata tra le affascinanti colline venete con cui il film ha ottenuto una candidatura ai Nastri d’Argento.
La storia si svolge tra le colline di Conegliano e Valdobbiadene, terra natìa del Prosecco, dove traspare la bellezza della provincia italiana, minacciata dagli interessi economici e dalle grettezze che rischiano di soffocarla. Un giallo che racconta il fascino della terra, l’effervescenza delle bollicine, il conflitto tra avidità e rispetto. Una storia che ci deve far riflettere sull’eredità della bellezza, sul valore del rispetto della natura e della qualità di ciò che mangiamo e beviamo. Sembra inizialmente un semplicissimo caso, quello affidato al vice-ispettore Stucky, impacciato ma pieno di talento, interpretato da Giuseppe Battiston, che dovrà fare i conti con le proprie paure e un passato ingombrante. Per metà veneziano e per metà persiano, con il suo fare pacato e pacioso, cerca di conquistare la fiducia della gente del posto per scoprire la verità sul “plateale” suicidio del ricco e stravagante conte Desiderio Ancillotto, interpretato da Rade Serbedzija, proprietario di una bellissima villa e di un vasto terreno dedicato alle vigne, con cui ha sempre prodotto un ottimo Prosecco, unico nel suo genere per l’eccellente qualità, risultato di quel suo modo ancestrale di lavorare la terra senza pesticidi, facendo “risposare” parte del terreno ogni anno.
Apertamente in contrasto con il direttore del cementificio sorto negli ultimi anni, il conte da tempo cerca di dimostrare l’inquinamento ambientale che il nuovo business ha creato e che ha fatto morire, secondo lui, molte persone del piccolo paesino. La vicenda è ricca di personaggi misteriosi e curiosi, che si svelano poco a poco, ognuno serbando un ruolo importante nel finale del film. C’è il “matto del villaggio”, Teco Celio, che preserva la memoria dei morti di Conegliano grattando via ogni giorno la ruggine dalle tombe e parlando con loro ricorda i loro vizi e le loro virtù; lo zio di Stucky, affettuoso ma invadente, che accompagna il nipote nel suo viaggio interiore; la bella prostituta custode dei piani segreti del conte; la fedele domestica, guardiana della villa e delle memorie della famiglia del conte; la figlia “riconosciuta” ma mai vissuta di Desiderio Ancillotto e l’ispettore-capo, ansioso di ritirarsi in pensione senza troppi problemi, che accanto al suo sarcasmo e alla sua impazienza, alla fine svelerà anche un lato umano irreprensibile. Tuttavia il caso ben presto si complica, perché al suicidio di questo conte che amava la sua cantina e le sue vigne, fa seguito la morte del direttore del cementificio e alcuni dei suoi corrotti colleghi a cui proprio il conte aveva giurato vendetta. Ma chi ha
preso sul serio la “maledizione” di Desiderio? Stucky dovrà indagare tra enigmi, segreti del passato, dolori inconfessabili, personaggi strani e battaglie per la difesa del territorio e delle sue tradizioni. Un giallo, intriso di calore umano e di ironia sottile, ambientato nelle bellezze rurali d’Italia e nella vicina Venezia con il suo fascino iconico. Nel film compaiono anche i cavalieri della Confraternita del Prosecco, un’associazione nata nell’immediato dopoguerra per evitare l’abbandono dei vigneti da parte dei viticoltori della Docg, ipotesi oggi senz’altro ampiamente scongiurata. “Dopo aver passato un terzo della mia vita a New York” dice Padovan il regista, “l’ispettore Stucky è venuto a prendermi e mi ha riportato alla mia terra: un piccolo arcipelago di dolci rilievi trapuntati di vigne, che si sta trasformando velocemente in un frenetico luna park eno-finanziario: Proseccolandia.
Finché c’è Prosecco c’è speranza vuole essere un giallo, ma al tempo stesso un modo per puntare la lente d’ingrandimento su una realtà geografica poco esplorata dal cinema italiano. È un’indagine impregnata di riflessioni sul futuro che vogliamo. Un inno all’andare piano, assaporando la vita. Un ritratto di un territorio ingarbugliato tra progresso e tradizione, tra eccellenze e vergogne. Una lettera d’amore”.

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