pino-cuttaia-intervista-foodlifestyle-1

Pino Cuttaia. Sapori semplici che parlano un linguaggio straordinario

Pubblicato da

Una carta bianca che porta la sua firma in calce: questo è il menù che Pino Cuttaia mostra ai suoi ospiti prima di condurli in un viaggio sensoriale fatto di memorie visive, ricordi, tradizioni ma soprattutto di sapori domestici. Così il cuoco, verso i propri clienti, si trasforma nella mamma amorevole e attenta che sprigiona incondizionatamente passione e cura nei piatti che prepara per i propri pargoli. Quest’immagine così autentica è quella a cui si ispira lo chef nel suo ristorante “La Madia” per stupire e accompagnare i suoi commensali alla scoperta di quei gusti semplici come quelli di casa ma resi eleganti, inconsueti e presentati in maniera originale.
Scale dei turchi, sole e vento, nuvola di caprese, sono solo alcune delle proposte le cui note poetiche si possono distinguere una ad una negli ingredienti sapientemente lavorati dallo chef per richiamare e imprimere ricordi indelebili nei palati più esigenti. Due stelle Michelin e tanti riconoscimenti, non lo fanno sentire né “arrivato” né tantomeno un cuoco di successo. Non ama guardarsi in TV e il luogo dove si sente più libero in assoluto è la cucina della “Madia” dove ogni giorno insieme ai suoi ragazzi impasta, cucina, rivisita ma soprattutto cerca di stupire i suoi clienti con l’effetto WOW.

PINO-cuttaia-foodlifestyle-2

I clienti sono sempre disposti a farsi stupire?
In realtà non sempre, perché manca ancora una cultura culinaria in questo senso. Spesso i clienti fanno fatica a lasciarsi andare a un’esperienza degustativa a tutto tondo, tendono sempre a voler condurre loro il gioco, soprattutto quelli più adulti. I ragazzi invece sono più curiosi, più attenti forse perché hanno una cultura più moderna e perché hanno sicuramente viaggiato di più. Mi fanno sempre emozionare con la loro facilità a uscire dagli schemi, a lasciarsi andare a esplorare nuovi sapori, nuovi accostamenti a volte anche insoliti. Andare al ristorante è vivere la tavola come un sentimento da condividere con una persona cara, lasciandosi guidare in quest’esperienza da chi lo fa impercettibilmente grazie alla sua professionalità e maestria. Qui alla Madia abbiamo un menù firmato solo da me perché la cosa bella è l’effetto sorpresa. Dobbiamo crescere e far crescere questa nuova cultura del mangiare che non è fatta solo di ingredienti conosciuti e accostati secondo i desideri e le aspettative dei clienti, ma sono re-interpretati e proposti in chiave contemporanea sfiziosa. I nomi dei nostri piatti sono come i titoli delle canzoni, perché il cuoco è come un cantautore che quando gli arriva l’idea la immortala: così come hai sempre voglia di ri ascoltare una canzone che ti piace perché ti crea un’emozione, anche a tavola hai voglia di ri-mangiare ciò che ti ha smosso un ricordo, un attimo della tua infanzia, un sapore rinchiuso nella tua memoria che improvvisamente si è sprigionato nel tua palato. Per questo le nostre portate si chiamano uovo di seppia, nuvola alla pizzaiola, scala dei turchi, sole e vento perché richiamano alla memoria emozioni vissute che si schiudono solo assaporando quel preciso boccone, richiamando così la poesia degli ingredienti e creando quell’effetto sorpresa che non si può spiegare a parole ma si deve vivere liberamente come una canzone.

piano-cuttaia-foodlifestyle-3

“Uovodiseppiamare” è un traguardo o una nuova partenza?
Uovodiseppiamare lo definisco un ”prêt-à-porter”, perché è un concept di cucina meno formale dove si gustano prelibatezze dalla colazione alla cena ma in un’atmosfera da bistrot sul mare. C’è meno formalismo sia per gli ospiti che per lo chef, che deve utilizzare la sua professionalità in maniera invisibile, senza ostentazione, mettendo a proprio agio le persone. Come facciamo alla “Madia”, dove spesso sono in sala tra gli ospiti come a casa, perché anche in un ristorante stellato è necessario che le persone si sentano rilassate e coccolate.

Qual è il tuo ingrediente segreto?
É la memoria perché abbiamo bisogno di avere un’identità, di sapere da dove arriviamo, chi siamo e che cosa cerchiamo.

Qual è la responsabilità più importante per un cuoco che come hai definito tu è l’interprete e non il protagonista in cucina?
Partiamo dal fatto che il cuoco è generoso per natura perché in ogni piatto dona un po’ di sé stesso. La responsabilità del cuoco è quella di preservare la tradizione, riproponendola in maniera anche creativa, diventando così l’ambasciatore del proprio territorio.

Sei stato scelto per cucinare al G7 di Taormina. Cosa volevi che ricordassero di questa esperienza i tuoi ospiti?
Ho preparato dei cibi domestici perché non volevo stupirli con i soliti piatti conosciuti come l’aragosta o l’astice che puoi mangiare ovunque. Volevo che assaggiassero la cucina casalinga, autentica come la pasta con i tenerumi e la cucuzza o un’arancina con il ragù di triglia. Il messaggio è stato quello di aver cucinato gli ingredienti unici della nostra terra e credo che sia la migliore ospitalità. Dovevamo solo interpretare la cucina che offre il nostro territorio e raccontarla.

Quando è arrivata la “chiamata” alla tua vocazione?
Ho iniziato questo lavoro prima del militare, poi sono andato a lavorare per l’Olivetti anche se la cucina non l’ho mai abbandonata, facendo sempre gli extra nei ristoranti. Quando ho capito che la fabbrica non faceva per me, ho avuto il coraggio di lasciare il posto “fisso”, nonostante a casa questa decisione non fosse molto ben vista. Questa scelta è avvenuta proprio in maniera vocazionale perché tagliando una cipolla in un ristorante mi sono sentito libero di tagliarla come volevo. E lì ho capito che quello era il lavoro che volevo fare e che dovevo investire in questo mestiere. Ho fatto la scelta più giusta, anche perché oggi l’Olivetti non esiste più.

cuttaia-chef-intervista-foodlifestyle

Che cosa racconti nel tuo libro “Per le scale di Sicilia”?
L’idea è nata da Marco Bolasco, noto giornalista enogastronomico e mio amico, che mi ha proposto di scriverlo. E così mi sono lanciato in questa nuova sfida raccontando storie dietro alle ricette perché non volevo che fosse l’ennesima raccolta di ingredienti e procedimenti, ma che dietro a ogni ricetta ci fosse una memoria da raccontare.

Perché dal Piemonte dove sei praticamente cresciuto hai deciso di tornare in Sicilia?
É stato un voler tornare a casa perché quando sono partito a 13 anni dopo la morte di mio padre ero un bambino già formato perché ero cresciuto qui dove ero andato a scuola fino alle medie. Quindi questa per me era la mia casa e quando parti da bambino vuoi solo tornare. Ho avuto la fortuna di poterlo fare.

Com’è nato “uovo di seppia” il piatto simbolo dell’edizione 2014 di “Identità golose”?
La creatività non sai mai quando nasce, sostengo che Il cuoco sia sempre “incinto” (ride). Però la creatività nasce in un momento preciso e te ne accorgi quando parte ma non sai mai dove ti porterà. In questo caso, era il periodo delle seppie e una sera pensavo alla seppia ripiena con il sugo come la facciamo noi, perché a me quel piatto fa impazzire e quindi volevo interpretarla, ingentilirla, renderla più elegante. Sono partito dall’idea di proteggere il suo manto bianco e così ho pensato all’uovo, qualcosa me l’ha richiamato alla mente. E poi passo dopo passo, prova dopo prova, è nato uovo di seppia.

Sei multitasking, perché oltre a stare in cucina, hai partecipato a Masterchef in TV, fai le dirette Facebook con le tue ricette, hai scritto un libro. In quale ruolo ti trovi più a tuo agio?
Ti svelo un segreto: non mi sono mai guardato in TV e non mi guardo mai! Nel lockdown ho fatto anche le dirette su Facebook perché me l’hanno chiesto, ma se devo essere onesto, è la cucina il luogo dove mi sento a “casa”, perché mi sento libero.

Quanto è cambiato il concetto del ristorante e del cibo? Da semplice nutrizione corporea/fisica a nutrimento emotivo/sensoriale…
Oggi la prima necessità è nutrire la parte sensoriale ed emotiva, il così definito effetto WOW. Quando un piatto tocca i sensi, quando ti fa scappare una lacrima, quando vince l’emozione su tutto allora non c’è più un valore per quel piatto. C’è solo quello che sei riuscito a creare nel ricordo delle persone. Questo è quello che cerca la gente nella cucina d’autore: l’effetto WOW, la parte emotiva, la parte di teletrasporto temporale delle emozioni.

Come interpreti “la scala dei turchi” in cucina?
Quando mangi questo piatto è come se facessi un’immersione in acqua mangiando i ricci di mare: ti richiama il caldo che sprigiona la roccia, il refrigerio dell’acqua fresca quando ti tuffi e il profumo dei ricci di mare. Infatti lo serviamo con il cucchiaio caldo proprio per vivere la sensazione del calore prima del conforto del tuffo.

pino-cuttaia-foodlifestyle-4

Cosa significa per te cucinare?
Cucinare è un linguaggio. É il modo con cui trasmetto le mie emozioni ai miei ospiti guidandoli a scoprire il nostro territorio grazie ai nostri aromi, profumi e ingredienti. Scoprire un territorio passa soprattutto attraverso la cucina e le sue tradizioni. Ho scelto di fare questo lavoro perché mi veniva naturale farlo e ho interpretato il gesto domestico perché mi veniva più facile comunicarlo. Sono stato anche fortunato nel capire quello che volevo fare da grande molto presto. Se fai un lavoro dove ti senti libero e la mattina ti alzi con il pensiero che sei in ritardo e la voglia di iniziare, allora questo è il lavoro che ti piace e devi fare. Ogni giorno è una sfida e non è certo una professione facile cercare di stupire sempre e accontentare, anche i palati più difficili. Però ti dà anche tante soddisfazioni in termini di complimenti e riconoscimenti e nel tempo diventi più forte, ti superi, ti consoci e ti costruisci un’identità solida e unica.

Ph. Credits: Davide Dutto

POTREBBERO INTERESSARTI