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Pastori per sempre. Cau & Spada custodisce la memoria e i profumi del Montefeltro

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a cura di Chiara Mariani

Quando ci si trova davanti a qualcuno che ama quello che fa, lo si vede subito. Gli occhi di Alessandra, membro infaticabile del giovane team di Cau&Spada, brillano quando parla della storia
della sua famiglia, di quale privilegio sia custodire la memoria della pastorizia o l’onore di prendersi cura delle pecore e di scambiare con gli altri pastori i loro saperi e competenze. Sono collaboratori, ognuno fa la sua parte e i fortunati che godono del loro lavoro siamo noi e la terra del Montefeltro, a Sassocorvaro, cui 365 all’anno si dedicano. Dire formaggio, filiera
corta e biologico è riduttivo.

Cosa significa essere “Pastori per sempre”?
Ci sentiamo direttamente responsabili della custodia del territorio e della bellezza di questi luoghi che sono stati fonte di ispirazione per grandi artisti. Non è solo un lavoro o una questione economica, ma la responsabilità di portare avanti una tradizione millenaria: le prime tracce di pastorizia e produzione di formaggio risalgono a 10.000 anni fa; ne parlavano gli dei e ne parliamo ancora oggi e questo ci emoziona tantissimo. Siamo pastori da sempre e per sempre perché, scavando nella storia della nostra famiglia, erano tutti pastori, e dalla Sardegna hanno calpestato chilometri per arrivare qui negli anni ‘70 e continuare ad esserlo. Quello che facciamo appartiene al nostro DNA e a quello umano. Nello stereotipo, si pensa che la vita del pastore sia solo rinunce e sacrifici, ma non è epico né eroico perché noi siamo innamorati di questo mestiere, che ogni giorno ci insegna ad applicare gli insegnamenti del tempo e dell’esperienza. A volte la mattina, mentre faccio la strada che sembra il letto di un fiume sulle colline dolci, mi emoziono.

Filiera non corta, cortissima…
La filiera la gestiamo tutta. Il formaggio per noi è un progetto che nasce nel campo perché lavoriamo a latte crudo quindi, a seconda di quello che mangiano le pecore, scegliamo come esaltare i profumi del latte che troveremo nel formaggio. Se ad aprile il gregge pascola in campi fioriti, ci dedichiamo a produrre il San Giorgio, per esaltare la freschezza e l’acidità sprigionata dai fiori in quel periodo; se il pascolo è secco quell’aridità la valorizziamo in un formaggio che stagiona 5/6 mesi e che ritroveremo a dicembre. Passeggiamo con le nostre pecore tutto il giorno e le vediamo brucare le margherite accarezzate da tutti i venti che passano di qui. Siamo a 600 metri sul livello del mare e nei giorni tersi e ventosi si sente la salsedine. Abbiamo 1.600 pecore che pascolano allo stato brado. Il gregge esce alle 6, dopo essere stato munto, e rientra alle 18 per essere munto di nuovo, ricevere comfort ed eventuali trattamenti e protezione. Questo aspetto del rapporto tra uomo e animale è fortemente etico e poetico. Da secoli la pecora offre al pastore l’agnello e il suo latte, e il pastore offre alla pecora la sua protezione. Il senso del lavoro che facciamo è dato dal far parte di un ciclo insieme alle nostre pecore, infatti non potremmo mai avere un allevamento intensivo con gli animali fermi alla mangiatoia, trattati come macchine che mangiano e producono. Non è etico e non otterremmo un prodotto di qualità. Gli animali che mangiano in maniera forzata vivono pochi anni, noi in stalla abbiamo animali di 15 anni.

Leggi l’intervista completa a pagina 73 del magazine. Sfoglia il pdf cliccando sull’immagine qui sotto

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