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Mirko Ronzoni, un autentico esteta in cucina

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Vincere Hell’s Kitchen nel 2015 lo ha portato alla notorietà, ma Mirko Ronzoni, classe (e che classe!) 1990, è una di quelle persone che non avrebbe tardato comunque a farsi notare.
Un ragazzo raffinato, eccentrico e dall’aspetto compiaciuto. Il classico Dandy insomma: bei vestiti, baffo estroso e sempre perfettamente curato, un amore viscerale per l’eleganza. E l’aspirazione per il bello, nel senso più ampio del termine; quell’aspirazione che ha trasposto in cucina, diventando l’Aesthetic Chef.

Mirko Ronzoni non è un personaggio costruito, e bisogna incontrarlo per capirlo davvero. Mirko è autentico, stravagante nell’anima, con un carattere forte e un modo di fare travolgente. Il suo aspetto è lo specchio di come lui è da sempre e ciò che ha raggiunto è frutto di una spinta imprenditoriale che lo ha portato a scommettere su di sè con sacrificio, cercando di imparare sempre di più, di crescere giorno dopo giorno. Ed è questa determinazione che, in ogni caso, lo avrebbe reso conosciuto.

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Ma come e quando Mirko ha deciso di trasferire e applicare in cucina la sua ispirazione al bello? Quand’è che ha capito che voleva fare il cuoco e, dopo, il consulente e formatore?
Sono sempre stato molto creativo e molto propenso all’eccentricità: la moda, l’eleganza, i colori. Il “là” culinario nacque alle elementari, quando frequentai un corso di cucina e mi trovai a sporcarmi le mani. Mi si accese una lampadina, che fino ad allora avevo un po’ sopito. In casa mia non c’era una grande cultura culinaria. Certo mia madre cucinava benissimo quei quattro o cinque piatti tipici di una comune famiglia di Bergamo, ma nulla più. Dopo quel corso mi rimase in testa la voglia di imparare a cucinare e finita la terza media decisi di intraprendere la strada dell’istituto alberghiero. Fu una prima avventura: una scuola che distava più di un’ora di pullman da casa. Mi diplomai a andai a lavorare all’Accademia del Gusto di Bergamo. In quegli anni in Accademia passarono davvero moltissimi cuochi e pasticceri; iniziai a prendere contatti, a rubare idee e capii che volevo lavorare nella ristorazione di livello medio alto, che mi piaceva l’attenzione alla presentazione del piatto, l’accostamento armonico di colori e sapori.

Rubare idee… ecco il tuo carattere vulcanico!
Sì, io sono un super affamato di nozioni, di idee, di progetti, amo incontrare tante persone. Chi legge il mio curriculum nota subito che non sono mai stato fermo in un posto tanto a lungo; il mio è un curriculum fatto di progetti dentro i progetti. Mentre lavoravo facevo molti corsi, e nel frattempo mi tenevo in contatto con uno chef, che ne so il Mainardi della situazione. Andavo da lui e lo aiutavo. Poi partii per Bucarest; e ancora andai vivere a Londra e ci rimasi per un anno. Una volta rientrato mi misi a studiare cucina molecolare, perché mi affascinava. A New York, dopo, mi occupai del restyling di un ristorante italo romano. E proprio mentre ero a New York mandai la candidatura a Hell’s Kitchen.

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E arrivò la notorietà…
Esatto. Vinsi quell’edizione e gestii per una stagione il ristorante di Hell’s Kitchen a Forte Village, in Sardegna; un’esperienza bellissima. Quello fu l’anno zero, la vera partenza, o comunque una ripartenza diversa. Arrivarono gli show cooking, eventi pubblici, progetti all’estero: in Olanda, Giappone, Nuova Caledonia… Iniziarono le collaborazioni con brand, l’Advertising on line, eccetera.

Secondo te questa tua eccentricità nell’aspetto e nel carattere haù contribuito al successo?
Forse sì. Ma io sono un personaggio vero, nel senso che io sono fatto così! A Hell’s Kitchen tutto è stato veloce, non c’è stato il tempo di costruire nulla, ma soprattutto non c’è stata la volontà di farlo. Mirko Ronzoni non è artefatto, non lo avrei mai accettato; ho sempre cercato di essere la persona che sono sempre stata. Qualcuno si stupisce quando mi conosce perché si aspetta di incontrare una persona diversa da quella che ha visto sugli schermi, invece io sono proprio così!

Dopo tutto questo tuo sperimentare, questo far entrare un progetto in un altro, come si è caratterizzata la cucina di Mirko?
La cucina di Mirko vuole legarsi a quello che è il mio modo di essere, il mio motto, che è poi diventato il mio brand: l’Aesthetic Kitchen. Ovvero una cucina gourmet con una ricerca smodata della materia prima, dei colori, della bellezza: dalle forme dei piatti alle presentazioni. Però non è solo quello. La mia cucina non vuole essere nobile, e non solo esclusiva, per un certo tipo di persone. Sui social e nei Cooking non porto sempre una cucina concettuale, stravagante, difficile da replicare, ma propongo anche cose semplici, ricette alla portata di tutti, anche se sempre con qualche nozione tecnica.

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Una cucina inclusiva, quindi…
Esatto! Inclusiva ma anche bella. E soprattutto una cucina internazionale, perché non mi sono mai voluto chiudere nel concetto di regionale, di scelta di ingredienti troppo autoctoni. Certo se c’è la possibilità, l’occasione, lo faccio molto volentieri. In questo momento di riapertura dopo l’emergenza Covid per esempio forse faremo meglio ad avere nei prossimi mesi un occhio di riguardo per la nostra filiera di prodotti italiani. Però la mia è una cucina aperta a sperimentare con ingredienti del mondo. E allora magari faccio il casoncello bergamasco, ma lo reinterpreto con una influenza internazionale.

Parlaci del progetto Aesthetic Kitchen.
Il progetto è nato circa quattro anni fa. Avendo un laboratorio di cucina ho pensato di proporre il servizio di cene a domicilio e catering. Non parliamo di grandi numeri, si tratta di piccole inaugurazioni, rinfreschi per aziende e locali, o feste private. Non è un servizio standard, né c’è un menu fisso, ma tutto viene disegnato e costruito su misura assieme al cliente. Questo permette di realizzare progetti unici, curati in ogni dettaglio.

A questo servizio poi hai abbinato le consulenze…
Sì. Seguo aziende, ristoratori che vogliono fare il restyling delle loro strutture: dallo studio del locale, alla costruzione di un nuovo menu, dalla formazione dello staff all’arredamento delle cucine, dal marketing alla comunicazione… Non faccio tutto da solo eh! Mi sono creato uno staff di collaboratori, ognuno esperto in un determinato settore.

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Un amante della cucina che ha poi deciso di dedicarsi al mondo dei servizi, della consulenza. Perché? E come è vista questa tua scelta?
Qualcuno pensa che la mia sia una scelta contraddittoria, perché molti credono che lo chef debba stare chiuso in cucina, spadellare e probabilmente morire all’interno della cucina – ride –! La mia è stata un’evoluzione molto naturale; dopo anni di giornate infinite in cucina, l’esperienza di Hell’s Kitchen mi ha aperto le porte a nuove e diverse opportunità, che hanno dato spazio alla mia indole imprenditoriale. Certo non sono mancati dubbi e paure quando ho intrapreso questa strada. E poi la voglia di stare in cucina mi manca a volte, perché in cucina dò libero sfogo alla mia indole creativa più innata. Ma credo sia sbagliato pensare che le due cose non possano coesistere. Forse in Italia la consulenza è arrivata più tardi rispetto ad altri Paesi e fino a pochi anni fa i ristoranti erano ancora per la maggior parte a conduzione familiare. Ma le cose stanno cambiando.

E poi c’è il Mirko “insegnante”, quello che tiene corsi di cucina, anche per la nostra Italian Food Academy per altro.
Mi è sempre piaciuto essere un po’ professore – ride ancora -! In verità tenere corsi mi piace moltissimo. Adoro condividere con gli altri quello che negli anni ho imparato; e poi insegnare è insieme sempre anche un po’ imparare. Mi stimola ad approfondire tecniche, a studiare cose nuove per poi portarle in aula. E non ultimo, è una bellissima occasione per fare nuovi incontri, creare nuove collaborazioni.

Che altri progetti hai in cantiere?
Sto pensando di creare un nuovo brand, un luogo dove le persone possano trovare la mia cucina. Ecco, magari tornerò un po’ di più in cucina… ma prima dobbiamo affrontare questo momento di rinascita.

Come pensi che debbano muoversi i ristoratori in questo momento difficile?
All’inizio avevo pensato a formule come i Food Bond: prenota e paga ora e quando usufruirai del buono questo avrà un valore maggiore. Era un modo per avere delle entrate così da affrontare l’emergenza, soprattutto per le piccole realtà. Però non è sufficiente, servono introiti maggiori. Si possono inventare tante cose e noi Italiani siamo dei creativi nati, abbiamo storicamente dimostrato di saperci adattare e rinascere. Anche in questa circostanza lo abbiamo dimostrato: sono stati moltissimi i ristoratori che si sono subito organizzati col Delivery e il Take Away. Ma credo che ora ci sia bisogno davvero di una formula incisiva che arrivi dall’alto!

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