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Le Crespelle alle Valdostana. Tous les jours sont “Le Jour des Crêpes”

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a cura di Chiara Almonte

Burro, burro e ancora burro. Quando si parla di cucina valdostana è questo panetto giallo paglierino che racchiude la tradizione gastronomica più autentica. Una cucina ricca e grassa, fatta di prodotti del territorio come patate, pane di segale, cipolle, cavolo e formaggi. Ricette semplici e sostanziose.
Il burro qui profuma e intenerisce anche i ricordi. Il ricordo dei nonni che quando erano piccoli a colazione mangiavano pane e burro prima di andare a scuola nel paese vicino, che magari distava vari chilometri.
Il burro era giallo paglierino perché le mucche mangiavano erba pascolando libere nei prati. Se ne trova ancora di quello non industriale. In questa valle al crocevia tra Francia e Svizzera
le ricette si sono diffuse insieme agli scambi commerciali, radicandosi nel territorio come accaduto per la fonduta, le zuppe, le crêpes.
Una storia francese fa risalire le crêpes al tredicesimo secolo nella regione della Bretagna, nella parte nord-occidentale della Francia, quando una casalinga rovesciò accidentalmente del porridge di grano saraceno nel camino su una pietra piatta di cottura. Secondo altre fonti, invece, nacquero molto tempo prima, nel 472, quando vennero offerte ai pellegrini cattolici francesi in visita a Roma per la Candelora da Papa Gelasio I.
Tutt’oggi, il 2 Febbraio è per i francesi “Le Jour des Crêpes” (“il giorno delle crêpes”) e tutte le famiglie le preparano, sia dolci che salate. Rotonde e dorate, simboleggiano il sole e la fine dell’inverno. Un’antica tradizione contadina vuole che se si riesce a fare volteggiare con la mano destra la crêpe nella padella e nella mano sinistra si tiene una moneta, se non cadono, si avrà un anno di felicità e prosperità.
Le crêpes sono la dimostrazione che solo pochi e semplici ingredienti come uova, farina, latte e burro, combinati, possono diventare qualcosa di straordinario.
Per farle morbide, bisogna mettere un tocchetto di burro nella padella, aspettare che sfrigoli e soltanto allora aggiungere un mestolino di pastella. In pochi istanti le frittatine prendono la forma rotonda della padella e i bordi si arricciano (il nome risale dal latino “crispa” o “crispus” che significa “arricciato”).
In Valle d’Aosta si farciscono con fontina e prosciutto cotto e si chiudono arrotolandole su se stesse oppure “a portafoglio”, poi si coprono con un copioso strato di fonduta e si aggiungono piccoli tocchetti di burro e parmigiano. Non chiedetevi se il ripieno o la fonduta siano troppo. Non sono dietetiche ma vi renderanno felici! Si passano in forno finché la fontina non si scioglie e si forma la crosticina croccante. Vengono servite in piatto o in piccole terrine di terracotta e in questo caso dovrete fare attenzione a non bruciarvi.
Nei locali più tipici, dalla valle di Cogne a quella di Gressoney, si farciscono con il prosciutto cotto alla brace di St. Oyen e fontina valdostana. Questo è un prosciutto leggermente affumicato che viene cosparso di erbe aromatiche e rosolato lentamente allo spiedo su enormi bracieri alimentati da fuoco di legno di abete, pino silvestre, larice, frassino o ontano
della valle del Gran San Bernardo. Durante la cottura viene bagnato da una soluzione di vino bianco e miele che conferisce alla sua cotenna il classico colore dorato. La Fontina qui è un’eccellenza e prende la denominazione Dop. È un formaggio a pasta morbida e fondente in bocca, fatta con il latte di tre diverse razze di mucca.
Nella Valle di Gressoney le chiamavano “ammelette” in Titsch, il dialetto del popolo Walser, molto vicino al tedesco. Molto più spesse delle crêpes ma da non confondere con le francesi omelette anche se il nome le ricorda (i francesi aborrirebbero a sentire invertire i nomi alle loro due prodigiose frittatine). La nonna le faceva belle spesse. Quando entravo in casa dopo
la scuola erano lì, in cucina tutte belle impilate come una torre traballante che profumava di burro. Pronte per la cena. Prendevo una cucchiaiata di marmellata e la spargevo su quella in cima. La arrotolavo e dopo il primo morso la marmellata colava da dietro su tutte le altre.
Erano così deliziose che ancora oggi quando le faccio con la sua ricetta mi affiorano alla mente quei ricordi: la casa che profumava di crêpes, il tovagliolo sporco di marmellata, le mani appiccicose e dico “sono quasi quelle della nonna”.

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