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La saggezza delle alghe

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A cura di Maria Luigia Vurro

Siamo abituati a considerarle un intralcio, il motivo principale per cui scivoliamo sugli scogli e sui ciottoli quando cerchiamo di camminare sul fondale marino per raggiungere il largo durante le nostre vacanze al mare. A volte, con sommo terrore, le scambiamo addirittura per viscide meduse che ci sfiorano piedi e gambe. Altre volte ancora sentiamo parlare di “alghe tossiche”, microrganismi colpevoli di causare intossicazioni e problemi dermatologici ai bagnanti.
In poche parole, non abbiamo una grande opinione delle alghe e sicuramente molti di noi inorridiscono o restano confusi all’idea di utilizzarle in cucina. Eppure, ci sorprenderemmo nel sapere che non solo questi inestimabili prodotti del mare accompagnano l’uomo nella sua evoluzione da migliaia di anni, ma anche che intere filosofie culinarie si sono sviluppate proprio all’utilizzo delle alghe, determinandone la fama di “cibo del futuro”, a pari merito con gli insetti.
Delle alghe è quasi impossibile delineare una storia. Questo perché il rituale della raccolta, dell’essicazione e del consumo delle alghe, crude o cotte, si perde nella notte dei tempi. Secondo gli archeologi, l’uomo di Neanderthal si nutriva delle stesse specie di alghe di cui noi ci nutriamo al giorno d’oggi: loro direbbero che non hanno subito evoluzioni, noi invece che non sono invecchiate di un giorno. Ed è sorprendente immaginare che le “verdure di mare” condividono in qualche modo parte del loro DNA con le verdure di terra che consumiamo ogni giorno. Dai nomi delle alghe più famose (Nobu, Wakami e Kombu, tra i tanti) è facile comprendere che la maggior parte di loro proviene dall’Oriente e, nello specifico, dal Giappone, che è sempre stato –
e lo è tuttora – il primo consumatore ed esportatore di alghe del pianeta. Questo è probabilmente uno dei motivi che ci rende difficile pensare di integrare la nostra dieta con questi microrganismi. Ma è anche importante sottolineare che il rapporto tra l’uomo e le alghe non ha preso piede solo nella terra del Sol Levante: alcuni paesi europei, tra cui la Francia e la
Danimarca, avevano una tradizione antica di prodotti tipici a base di alghe e a partire dagli anni ’80 le hanno incorporate nella loro cucina popolare e nella nouvelle cuisine, dimostrando di poter stare al passo coi paesi asiatici.
Ma perché questa ossessione per le alghe? Cos’hanno di così speciale?
Per quanto visivamente non sembrino esattamente gli alimenti più invitanti di sempre, tutte le alghe notoriamente utilizzate nella cucina giapponese, e ultimamente europea, sono alimenti bilanciati che forniscono un buon apporto di proteine, vitamine (soprattutto vitamina B), clorofilla, calcio, magnesio, fosforo, Omega 3 e, naturalmente, iodio. In particolare, molte alghe contengono acido alginico, un detossificante che cattura i metalli in eccesso nell’organismo e ne coadiuva l’espulsione. Nella cucina orientale vengono utilizzate, come le spezie, per addolcire o smussare il sapore dei cibi, mentre nelle diete degli sportivi di tutto il mondo spuntano spesso integratori in polvere o in capsule a base di alga laminaria, di spirulina o di alga wakame. Attenzione, però: non tutte le alghe che conosciamo sono adatte per essere mangiate. Di solito, quelle utilizzate in cucina sono contraddistinte dal loro colore, che va
dal bruno al rosso, passando per il verde-azzurro.
Una delle alghe più conosciute al mondo, inscritta nella sacra triade delle alghe giapponesi insieme alla Wakame e alla Kombu, l’alga Nori, è di colore bruno. È difficile non trovarne traccia in un piatto di onigiri o, ancora meglio, di hosomaki, i famosi involtini di riso, verdura e pesce rivestiti da quest’alga che spesso ordiniamo nei nostrani ristoranti di sushi. La Nori è
una tipologia di alga molto esigente che necessita dei gelidi mari di Hokkaido, poco distanti dalla Russia, e di lunghe tempistiche di crescita, ma una volta raccolta, essiccata e tostata diventa determinante per la cucina orientale: non la troviamo solo nel sushi, infatti, ma anche nel ramen, dal momento che contiene una buona quantità di acido glutammico,
l’amminoacido che conferisce ai cibi il ricercatissimo gusto umami.
Quando pensiamo ad alghe verdi o azzurre, ci viene quasi automaticamente in mente la famosa e succitata alga spirulina. Ma un interessante aspetto delle alghe di questo colore è che è facile trovarle nella nostra cucina. A Napoli esiste un antipasto tipico che si sta silenziosamente costruendo un’ottima reputazione nell’ambito dello street food autoctono: le zeppoline di alghe o zeppulelle, in cui la pastella è arricchita dalla lattuga di mare e fritta in abbondante olio di semi. La lattuga di mare arricchisce le ricette di tutto il Mediterraneo, ma in particolare sembra avere una certa presa sulla tradizione culinaria del nord Europa: in Scozia è l’ingrediente principale delle insalate estive e d’inverno arricchisce le zuppe di carne e verdure, mentre in Scandinavia e Irlanda si mangia cruda, come se fosse semplice lattuga.
Anche le alghe rosse non sono tanto lontane dalle nostre cucine: tra le tipologie di alghe commestibili, si distingue la cosiddetta “alga rossa siciliana”, ormai rarissima. Sulle coste orientali della Trinacria non è inusuale sentir parlare di un piatto chiamato “’U Mauru” (che significa “il magro”), un’insalata a base di alghe rosse sottili, filamentose, dal sapore ferroso
che contraddistingue sangue e fegato e fortemente sapido, condite con abbondante pepe, olio, sale e limone. Purtroppo, come già anticipato, trovare quest’alga sta diventando un’impresa: la sua raccolta e il consumo non sembrano essere regolamentati da alcuna legge locale e molti ristoratori e venditori di articoli ittici ritengono che quest’alga possa assorbire tossine dall’acqua del mare, rendendone impossibile il consumo.
Negli ultimi anni persino l’Onu è intervenuta in materia di allevamento delle alghe a scopo alimentare: le “verdure di mare” possono sfamare popolazioni che al momento non dispongono di risorse alimentari adeguate, possono riqualificare l’economia dei paesi costieri in tutti i continenti e possono innegabilmente apportare benefici importanti all’ambiente, dal momento che proteggono le barriere coralline, ospitano molluschi e piccoli pesci e diminuiscono sensibilmente l’acidificazione degli oceani. Ma un grave rischio per la coltivazione e la semplice
sopravvivenza di questi delicati ecosistemi di alghe è l’innalzamento della temperatura degli oceani data dai cambiamenti climatici in atto.
Cosa possiamo fare nel nostro piccolo? Riconoscere che le alghe detengono una profonda saggezza e, magari, maledirle di meno la prossima volta che le incontriamo in spiaggia o nel piatto di un ristorante stellato bretone. Provare per credere.

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