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La Gubana, spirale di dolcezza

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I dolci delle feste li amiamo perché hanno un carattere evocativo, quasi nostalgico. Fugace. Li mangiamo per amore della nostra famiglia, per rispetto alle tradizioni. Tendono a coinvolgere quantità generose di frutta secca, uova e burro e ogni morso è un meraviglioso ritorno all’infanzia. A differenza del panettone milanese a Natale (ogni sua briciola è un arrivederci all’anno dopo), la Gubana delle Valli di Natisone, un dolce di pasta lievitata con ripieno di frutta secca, appariva sulle tavole in tutti i momenti di festa delle famiglie e il suo dono simboleggiava augurio di prosperità e ricchezza perché veniva preparato con quanto di meglio il territorio aveva da offrire.
È la sua particolare forma a chiocciola a dare il nome al dolce; Gubat, infatti, nel dialetto di queste valli significa “avvolgere”. Un dolce antichissimo le cui origini sono da ricercare nel 1409 quando compare tra i doni che i cittadini di Cividale fanno a Papa Gregorio XII in occasione di un concilio. Nei secoli passati, per tradizione, la Gubana si preparava soltanto tre volte l’anno; in occasione della Pasqua, del Natale e della festa del Santo patrono, poiché la ricetta richiedeva tre giorni di lavorazione. Si faceva un unico grande impasto e un unico ripieno per poi cuocerle tutte insieme e poterle conservare in dispensa per altre occasioni come matrimoni, battesimi e compleanni.
La sua popolarità cresce negli anni settanta, insieme al boom economico, quando, da requisito delle feste, diventa il dolce degli incontri, del fine pasto, delle trattorie e dei ristoranti. Al termine di un pranzo o di una cena, si serviva una fettina del dolce della grande festa agli ospiti, come simbolo di buon augurio e al tempo stesso come testimonianza del benessere raggiunto. Fu così che le persone iniziarono a chiedere ai fornai di lasciare i forni accesi nel pomeriggio per poter cuocere le gubane e di lì a poco di poterle acquistare direttamente da loro.
“Plen come una guban” dice un detto friulano.
La sua ricetta richiede una enorme pazienza ma sono semplici gli ingredienti che la rendono eccezionale.
Si comincia la mattina con una biga composta da farina, acqua e lievito. Dopo una prima lievitazione si aggiungono il burro, i tuorli e lo zucchero, si aspetta che il suo volume triplichi e poi si aggiungono ancora la margarina (che ha sostituito lo strutto), gli albumi e il miele per dare morbidezza ed elasticità all’impasto. La mattina del giorno seguente i panetti vengono stesi a mano e spalmati con il ripieno; un ripieno denso di nocciole e noci, pinoli, uvetta, grappa, rhum e zucchero, poi avvolti e arrotolati a forma di chiocciola.
Solo il pomeriggio del secondo giorno si potranno cuocere nel forno. “Ponetelo entro a una teglia di rame unta col burro avvolto intorno a sé stesso come farebbe la serpe” scriveva l’Artusi nella ricetta dello Spritzer, un dolce tedesco che nacque ispirandosi alla Gubana.
Quando le fragranti torte escono dal forno, vengono fatte raffreddare naturalmente; in questo modo il ripieno si amalgama ancora e trasferisce il suo sapore all’impasto oltre a mantenerlo umido. La sostanza alcolica, inoltre, fa sì che il dolce si possa mantenere a lungo senza il bisogno di conservanti.
Ricca, senza essere burrosa, quando la mordi, ogni suo strato sottile e dorato si confonde con la ricchezza del ripieno fino a quando non ti rimane altro che il suo gusto aromatico.
Vogrig era un panificio nel piccolo paese di Clodig, nelle Valli di Natisone, che negli anni settanta, con l’aumento della richiesta di questo dolce, si specializzò nella sua produzione. La sua storia continua tutt’ora.
Quando chiesi a L. Vogrig (il figlio degli allora proprietari) il segreto della loro Gubana, rispose orgogliosamente “Mantenere la ricetta”.  “Ancora oggi” continua “salvo piccolissime variazioni abbiamo mantenuto gli ingredienti e la lavorazione di in tempo. Questo perché la Gubana non è un’invenzione della nostra famiglia ma una ricchezza del territorio. Quello che abbiamo cercato di fare, è stata quella di cercare quasi ossessivamente di mantenere il prodotto tradizionale.”
Quando assaggi la Gubana, non assaggi solo un dolce, ma un pezzo dell’identità e della cultura di quelle valli al confine con la Slovenia, terre di commercio e di passaggio. Usiamo il cibo come un modo per mantenere viva la storia, la tradizione. Il cibo tradizionale è fatto di racconti e mescolanze, è territorio, religione, potere, povertà. È amore.

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