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Kokumi, il (non) gusto che dà sapore agli alimenti

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Alcuni lo hanno già definito come il quinto gusto dopo dolce, salato, amaro e aspro. Arriva direttamente dal Giappone il ‘kokumi‘, quel (non) sapore che in effetti non è un aggettivo, ma un sostantivo. In Oriente, infatti, con questo termine vengono indicate tutte quelle sostanze senza un vero e proprio gusto, ma che in realtà servono a esaltare il sapore di altri cibi. Se da un lato c’è ancora da disquisire sull’umami, il glutammato monosodico, dall’altro il kokumi sta già facendo parlare di sé anche oltreoceano, negli Stati Uniti.

Sano e completamente privo di grassi

Si tratta, secondo quanto appreso, di un esaltatore del gusto di difficile spiegazione, ma il cui effetto lo si può notare solo gustando i piatti nei quali è utilizzato. La sua capacità, così come riportato da tgtourism.tv, è quella di rendere persistenti tutti gli altri sapori. È anche un alimento molto più sano di altri prodotti (come ad esempio il burro), dal medesimo compito di insaporire, ma con un carica di grassi molto alta.
Il kokumi, al contrario, è completamente privo di grassi e in grado di dare maggior carattere a pietanze prive di sale e molto leggere. È oggi considerato il sapore principale nelle cucine giapponesi, le stesse molto amate in Occidente, motivo per cui questo non gusto è destinato a ritagliarsi uno spazio importante anche al di fuori del Giappone.

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È impiegato così tanto nel suo paese di origine che le zuppe come il ramen hanno acquistato un gusto diverso, più intenso. Questo grazie anche al glutatione, forse la sostanza principale contenuta in tutti quei cibi che danno l’ormai famosa sensazione del kokumi.
Secondo uno studio condotto da Yuzuro Eto, per l’Istituto di Scienze della Vita della Ajinomoto (una compagnia privata), è questo il meccanismo fisiologico attraverso cui si può spiegare la funzione de kokumi: pare che il glutatione si vada a legare ai recettori del calcio sul nostro palato, gli stessi considerati fondamentali per percepire i diversi sapori che vengono trasmessi dagli alimenti.

Il Kokumi per una cucina più internazionale

I dettagli dello studio, comparsi sul Journal of Biological Chemistry, dimostrerebbero che comprendere a fondo gli effetti del kokumi potrebbe aiutare la cucina giapponese e comunque quella di tutto il mondo a produrre pietanze con meno sale, meno grassi e meno zuccheri. Si tratta degli stessi studi volti alla prevenzione di malattie cardiovascolari attraverso l’alimentazione, che mostrano una certa correlazione fra i cibi dal gusto amaro e questo genere di malattie: chi sopporta poco il gusto amaro tende ad assumere infatti più grassi.

A quanto pare, il trend del kokumi è in continua crescita. È già entrato nella cucina del 20% degli americani, mentre il 66% dei consumatori occidentali continua a essere attratto sempre più dai menù del Medio Oriente. Anche gli italiani stanno man mano cambiando i propri gusti, sempre mantenendo la base tradizionale della cucina nostrana: le nuove tendenze vanno verso un maggior apprezzamento delle spezie africane e dei piatti orientali, magari proprio a base di kokumi.

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