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La terza stella Michelin? Mi piace un bel po’: l’intervista a Mauro Uliassi

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Con quell’aria eternamente scanzonata, i cappelli arruffati, il sorriso accogliente stampato sul viso, Mauro Uliassi con tutto il suo insostituibile staff si è guadagnato la terza stella Michelin. Lo abbiamo incontrato e ci siamo fatti raccontare tutto su di lui, sulla sua famiglia, sul suo lavoro, e sul suo ristorante.
Dietro parole semplici ma profondissime si sono delineati i tratti salienti che lo caratterizzano: umiltà, spirito di ricerca, passione, talento, volontà e determinazione. Perché come dice lui: “Il cibo apre le porte e se tu sei bravo, hai enormi possibilità di incidere profondamente nel cuore delle persone”.

 

Secondo la guida Michelin, “Uliassi” è tra i primi 11 ristoranti italiani che meritano il viaggio in Italia. Cosa vorresti che ricordassero i tuoi clienti dell’esperienza culinaria vissuta qui a Senigallia?
Vorrei che si ricordassero di quanto noi gli siamo piaciuti, di quanto siamo riusciti a farci amare e quanto gli siamo rimasti dentro. Farsi amare è un insieme di cose che non è solamente quello che tu hai mangiato. É nell’insieme il capolavoro che tu hai creato dato dall’ospitalità, dalla bellezza del locale, dal clima che si respira, da quello che hai mangiato, da quello che ogni piatto può raccontare partendo dagli ingredienti per arrivare alla storia di un artigiano o di un fornitore locale. Dal fatto che in cucina c’è un team di venti persone, di dodici camerieri che sono tutti carini, tutto questo insieme fa diventare questa esperienza una sorta di opera d’arte, che ti entra dentro. Perché il cibo è come l’eros, sono le uniche due attività che coinvolgono tutti quanti i cinque sensi per cui tu hai delle enormi possibilitá di incidere profondamente nel cuore di una persona.

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Come funziona il mondo delle stelle Michelin e che garanzie offre al cliente e al ristorante che ne è insignito?

La Michelin assegna una stella per una determinata caratteristica, la seconda stella per standard più elevati e vale per esempio l’uscita dall’autostrada. Per la terza stella invece l’impegno è più importante perché significa che vale il viaggio, ossia la Michelin si fa garante per te che tu vali il viaggio.
La terza stella è un brand internazionale che ti fa entrare nel gotha della ristorazione mondiale per cui in tutto il mondo sanno che tu hai preso la terza stella. C’è proprio un mercato di gente che parte soltanto per venire a mangiare da te. Se per esempio tu parti da New York per venire a Senigallia a mangiare qui da noi, tu sei tranquillo di farlo perché, essendo « stellati », noi possiamo darti un’esperienza gastronomica talmente alta che questa soltanto vale il viaggio. E quindi c’è gente che decide di fare un giro gastronomico in Italia. Non viene solo da te perché c’è proprio un mondo che ruota attorno alla terza stella. In genere si organizzano per mangiare prima da Pinchiorri, poi da Crippa, da Bartolini, dai fratelli Cerea, da Norbert Niederkofler e dai Santini oppure fanno la parte piu a sud partendo da Beck, a seguire da Romito, Uliassi, Alajmo, Bottura e poi ripartono. C’è gente che organizza le proprie vacanze con questi tour gastronomici dedicati: ovviamente si tratta di un turismo di un livello economico più elevato che se lo può permettere sia in termini economici sia in termini di tempo.

Qual è il miglior complimento che vi hanno fatto e quanto è incentivante essere gratificati?

Spesso i clienti ci dicono che siamo come un orgasmo al palato!
É più che fare l’amore, sembra un po’ eccessivo ma, in effetti, hanno le stesse similitudini. C’è un libro bellissimo di Willy Pasini che si intitola “Cibo ed eros” dove racconta perfettamente come anche le patologie che sono legate all’affetto e al cibo, come l’anoressia o alla bulimia, hanno una valenza molto potente nelle persone. Questo significa che se tu sei bravo e sei capace di comunicare e capisci quanto questo è potente, tu entri nel cuore delle persone. É incredibile come il cibo apra le porte e sia molto gratificante. Ma devi fare anche molta attenzione perché quando sei continuamente gratificato sotto questo punto di vista e questo avviene almeno due volte al giorno da più persone, tu devi stare attento con te stesso perché a un certo punto puoi pensare di essere diventato onnipotente quasi un dio e quindi puoi diventare insopportabile. Devi continuamente pensarci a questa cosa e mantenere un equilibrio con te stesso. Devi considerare che, comunque sia, la gratificazione è legata a quel momento lì e basta e che domani lo dovrai ripetere un’altra volta e non è detto che ci riuscirai come ci sei riuscito oggi. Insomma tutto quello che hai fatto in quel momento lì vale esclusivamente per quel momento lì. Il giorno dopo si ri inizia da capo.

Che indice di gradimento ha Uliassi? Percepisci se un cliente è più o meno soddisfatto?

Quando tu cucini e non hai soddisfatto il tuo cliente, lo percepisci subito e a volte per fortuna succede (ride)! Dopo una vita che faccio questo mestiere, capisco benissimo da come uno sta seduto a tavola o da come mi parla, qual è il livello di piacevolezza che lui ha avuto. Lo leggi immediatamente e quando tu non riesci a soddisfare appieno le aspettative di qualcuno dei tuoi clienti provi una sofferenza e ti dispiace molto. Anche se quel giorno tu hai fatto bingo con settanta persone, ma a uno non gli è piaciuto, a te quell’uno non ti fa dormire la notte, nel senso che ci pensi, cerchi di capire il perché, il percome e comunque ti dispiace tantissimo.
Noi facciamo sempre molta attenzione tant’è che abbiamo un range di piacevolezza molto alto perché abbiamo diversi strumenti di controllo. I nostri camerieri ai tavoli, mia sorella Katia in sala e anch’io che sono qui da quando inizia il servizio fino alla fine: saluto tutti quanti i clienti prima del pasto, poi passo a metà e alla fine per sapere com’è andata. In quei momenti lì, io ho già una percezione perfetta di quello che sta succedendo in sala. Poi c’è mia sorella Katia che praticamente è cresciuta qui con me e che ha le antenne anche lei. Siamo sintonizzati su questo tipo di cose. Poi ci sono tutti quanti i camerieri, a cui, tu hai insegnato questa sensibilità, e poi c’è Filippo, mio figlio, che anche lui è cresciuto qui dentro e anche lui percepisce abbastanza bene quanto un cliente può essere stato più o meno a suo agio. E questa è la nostra percezione. Poi ci sono tutti i riscontri sugli strumenti quali Instagram, Facebook, Tripadvisor, i food bloggers e gli articoli che in genere scrivono su di noi. Questi sono strumenti importanti perché sono quotidiani. Mentre le guide ti riconoscono una volta l’anno e quindi dicono, bravissimo sei tra i primi dieci però finisce lì, con gli altri invece tutti i giorni hai la possibilità di verificare se quello che hai fatto ha funzionato. Per questo noi adesso abbiamo una persona che controlla solo questo: controlla tutte quante le prenotazioni, le persone da dove vengono e attraverso una ricerca su internet capisce se è una persona che è stata anche in altri ristoranti e qual è il suo interesse effettivo nel venire qua. Pr esempio c’è differenza tra il cumenda che arriva con il suo bel Maserati e scende con la bionda, e vuole semplicemente passare una serata piacevole mangiando bene e chi invece prima di venire qua è stato da Niko Romito, da Massimo Bottura oppure ha mangiato da ALinea a Chicago o dai fratelli Rocha a Girona. Quindi tu sai che quello viene apposta per te ha delle aspettative molto alte. Tutto questo a noi serve per capire come rispondere. Tutti questi strumenti ci danno la possibilità di capire il livello di piacevolezza che noi abbiamo sul mercato. In questo momento abbiamo visto su Google che è intorno al 98% quindi è molto alto perché comunque, il servizio che diamo e il cibo che produciamo, nonostante ci sembra sempre di essere un branco di somari e ci fustighiamo (ride) è che sul mercato siamo percepiti bene. La nostra percezione è quella di un’azienda che sta surfando le onde più alte della gastronomia ben in equilibrio.

Ma alla fine ne vale la pena di lavorare così duramente, stare attenti a tutti i dettagli, far felici tutti questi clienti a volte anche difficili?

Ovviamente si riscontrano sempre 1000 difficoltà e queste a volte ti possono anche stressare. Però ti dico che sì ne vale la pena fintanto che tu desideri qualche cosa. Non ne vale la pena quando tu non lo desideri più. E questo vale per tutte le cose: il desiderio è il fondamento di qualsiasi tipo di relazione o di rapporto di lavoro che tu hai. Il desiderio è un qualche cosa che ti muove e ti spinge oltre rispetto alla ragione per cui lavori. Senti che desiderando le cose hai la possibilità di elevarti a un qualche cosa di superiore rispetto a quello che è il quotidiano perché il quotidiano può essere anche noioso.

Cosa fa Mauro Uliassi quando non cucina?

Io sono uno che potrebbe sprofondare nella noia e nella pigrizia per questo odio stare davanti alla televisione anche se mi piace poi mi sembra di aver fatto un torto grosso a me stesso anche se magari mi sono divertito ma mi fa incazzare un bel po’ così evito.
“With care” come dicono, questo non vuol dire che non mi piaccia guardare un film però l’idea dell’ozio totale mi spaventa. Mi piace molto crearmi degli spazi cioè lavorare e poi sapere che posso prendermi durante la giornata un’ora o due ore, di ozio totale, dove stare semplicemente seduto con gli occhi chiusi oppure sotto il sole leggendo un libro. Non devo mai avere mai la percezione che la mia vita sia sprecata ora più che mai visto che sono diventato un po’ grandicello!
C’é un film bellissimo “La grande bellezza” dove a un certo punto il protagonista dice: “Io ho capito una cosa molto importante che a 65 anni non posso perdere tempo”.
Non posso fare cose che magari facevo prima ma non voglio che il tempo scorra inutilmente.

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Perché ti piace fare questo mestiere e in che cosa ti arricchisce?

Perché questo mestiere mi ha messo in contatto con un sacco di gente. Questo lavoro mi ha dato la possibilità di potermi costruire un’economia che non mi ha fatto preoccupare delle cose che stavo facendo perché, senza diventare ricco, ho avuto la possibilità di vivere senza pensare ai soldi e quando tu non pensi ai soldi sei già ricco. Altrimenti fai la corsa del sorcio cioè corri corri sempre e questo diventa estremamente stressante, una trappola in cui si può cadere facilmente. Chi è molto ricco dovrebbe sapere che ha l’opportunità di essere 100 volte migliore di altri perché può fare contenta un sacco di gente; altrimenti il fatto che tu accumuli e basta non serve a niente. Essere ricchi può essere questo può essere avere l’opportunità di condividere con gli altri lo stato di felicità che tu in qualche modo hai raggiunto.

Adesso che sei conosciuto a livello mondiale da dove hai avuto la prenotazione più lontana?

Viene un sacco di gente dalla Corea, dal Sud America, dal Venezuela, dall’Argentina, dal Messico tutte persone che non hanno problemi. Un gruppo di sei amici che ritornerà perché gli siamo piaciuti tantissimo che sono arrivati da Bruxelles con l’aereo privato. Sono partiti alle 11 da Bruxelles, sono atterrati a Falconara, sono arrivati qua con l’auto privata, hanno mangiato poi andavano a Catania per un’altra cena e poi ripartivano. Il cibo ti dà la possibilità di entrare in contatto anche con dei mondi di ricchezza e di cultura a cui tu non avresti mai potuto accedere La terza stella ti mette a contatto con il mondo dell’eccellenza e non soltanto in Italia. Tu sei identificato come qualcuno che è capace di creare un prodotto di alta gamma così come si fanno le Ferrari, il cashmere, le grandi scarpe o i grandi abiti sartoriali. Tu sei uno che ha prodotto una cucina tre stelle che viene parimenti percepita. Ed è bellissimo ma ti riempie di responsabilità e di stress. Tanti a un certo punto mollano perché la tensione è sempre molto elevata, tu devi produrre una macchina perfetta sempre pronta per fare le corse in Formula 1 perché corri con altri corridori di Formula 1.

Hai detto che preservi la leggerezza nella tua vita o almeno ci provi. É legata alla tua cucina o al fatto che riesci comunque ad avere anche una tua vita privata in un lavoro così impegnativo?

La leggerezza è legata un po’ a tutto. La cucina che noi facciamo, sicuramente, è una cucina molto light perché mangi 10-15 piatti ed esci che sei leggero come una piuma. Nel nostro modo di cucinare, che è evoluto e moderno, non si saziano più le persone come si faceva una volta, la gente non viene qua con la fame contadina viene qui perché vuole un’esperienza di piacere quindi quando tu esci dalla necessità ed entri nel piacere ti si aprono mille mondi. Il piacere è fatto di sfumature, di piccole cose ma la leggerezza è fondamentale per far sì che tu possa giocare con 10-15 piatti uno diverso dall’altro e quindi far vivere un’esperienza gastronomica di tipo diverso. Anche la leggerezza nel gestire il ristorante nella possibilità di rimanere chiusi due giorni alla settimana che in quest’ambiente anche d’estate è fantastico. Leggerezza anche in relazione ai risultati che tu hai: dovresti fare in modo di dimenticarteli immediatamente appena raggiunti! Se vuoi andare avanti bisogna che ti scordi subito delle cose che hai realizzato e allora tu hai questa leggerezza per poter progredire. Non ti devi far fregare dal tuo ego che è sempre lì pronto a farti fare le cazzate più grosse. Se stai sempre molto attento a questo allora ecco la vivi in modo molto più leggero e te la godi.

Come vedi il tuo futuro?

Bisogna pensare a come andare avanti, ma anche al fatto che tutto questo potrebbe finire. Se tu non hai chi replicherà con lo stesso entusiasmo le cose che hai creato, devi pensare a come farla finire bene: pensare a un finale alla Platinì mi ritiro prima che non gliela fo più! (ride)
Mi toglierei dal gioco se mi rendessi conto che fra tre anni non riuscirei più a giocare le partite come un tempo e nello stesso tempo non voglio caricare i miei figli, avendo un immagine così alta, così importante. I figlioli magari si sono rotti le palle di essere i figli di Uliassi perché può essere un po’ pesante come situazione! (ride) Allora penso che se nei loro occhi ci sarà la luce dell’entusiasmo e della voglia di continuare a fare questa cosa qui anche se rischiosa, pericolosa, molto difficile e complicata si può andare avanti. É stato un grado di eccellenza a cui io e mia sorella siamo arrivati senza nessuna imposizione, una cosa che è cresciuta naturalmente, costruita pezzo per pezzo. Noi avevamo delle regole da mantenere rispetto ai nostri genitori che ci hanno insegnato delle cose. Mio padre ci ha prestato i soldi per aprire il ristorante quella era la nostra responsabilità nei suoi confronti ma finiva lì. Invece i nostri figli si trovano ad avere un’altra responsabilità più complessa e anche li vorrei creare la leggerezza: fargli capire che se vogliono questo che abbiamo creato dal nulla può durare tutto il tempo che vogliono, ma se loro non lo vogliono, sognano un’altra cosa o vogliono far cose completamente diverse oppure fare la stessa cosa ma partendo da zero lo possono fare. Per cui la leggerezza diciamo che è importante per volare, per stare tranquilli. É più bella della pesantezza che non ti fa dormire la notte !

C’è chi sa già a tre anni cosa farà da grande e chi invece cerca di capirlo per tutta la vita. Uliassi quando ha capito cosa avrebbe fatto da grande?

Io non ci pensavo per niente anche se ho fatto un percorso che chiaramente era quasi prevedibile che finisse così. Vengo da una famiglia che ha gestito un bar dal 1958, un bar che aveva origini dai primi del ‘900 dai miei tris nonni. Mia nonna, da parte mia madre, aveva una trattoria per cui ho sempre vissuto il mondo del pubblico esercizio. Mia mamma che mi diceva di sorridere e di salutare, mi insegnava l’importanza di soddisfare soprattutto i clienti più difficili per forgiare le mie capacità, azzerando le loro spigolature, seducendoli. Mia mamma era una grande seduttrice: tutto il potere di seduzione che io e mia sorella abbiamo imparato deriva tutto da lei. Il babbo era la mente contabile, mentre mamma era la seduttrice seriale con un gran sorriso perché è una donna molto solare, canta e balla sempre, ama la gente. Aveva un modo molto naturale e carino di fidelizzarti, mamma l’avrebbero studiata all’Università (ride) per come riusciva in modo del tutto naturale a entrare in sintonia con i clienti fidelizzandoli per sempre. Quando incontri un cliente difficile è lì che ti metti alla prova perché è facile essere bravo con uno che sorride e che è carino mentre è difficile conquistare uno tosto. Il bar poi è una palestra perché è trasversale perché può venirci dal farmacista, l’operaio, il barbone, l’immigrato per cui era un continuo modificare, modulare il tuo modo di essere perché in pochi secondi dovevi gestire la questione. E quindi sono vissuto in quest’ambiente qua. Però se poi tu mi chiedevi che lavoro avrei voluto fare da grande io non avrei saputo assolutamente risponderti perché non ne avevo la più pallida idea. Ho fatto i primi tre anni all’ITIS che era una scuola, per me un pò triste, non c’era neanche una donna e poi era una scuola cupa con una sorta di nonnismo con episodi un po’ da caserma.
Dopo mi volevo ritirare e partire per i grandi viaggi in India e in Nepal che erano molto in voga negli anni ’70… fortuna che non sono mai partito altrimenti non sarei più tornato non so manco come sarei finito (ride).
E così siccome mio padre voleva che terminassi gli studi ho fatto la scuola alberghiera ma solo per far contento lui. Era una scuola comunque divertente, c’erano un sacco di ragazze e poi c’era il cibo, c’era il bere, era una scuola allegra. Come formazione culturale era molto ridotta infatti con quello che avevo studiato all’ITIS andavo via come il vento, su una gamba sola non dovevo fare nessun tipo di sforzo e ho preso la maturità senza neanche accorgermi. La cosa fantastica è che ti metteva subito in contatto con il mondo del lavoro per cui io a 17 anni facevo il barman nelle discoteche. Nel momento in cui ti emancipi dalla tua famiglia, e l’unico modo è quello economico, diventi una persona libera. Io ho litigato con i miei genitori perché loro avevano il bar e per loro non era una cosa ragionevole che io lavorassi in un altro bar, ma alla fine l’ho vinta io e ho cominciato a lavorare in giro e questo mi ha permesso di sentirmi indipendente e di avere la sensazione che la mia vita fosse piena. E poi a scuola ti sentivi figo un bel po’: io andavo a scuola con la macchina di mio padre che allora era il Giulia 1300, la chitarra dentro il fodero che ogni tanto si tirava fuori e poi lavorando di notte, avevo sempre storie da raccontare. Poi ho iniziato a fare le stagioni estive dove ho lavorato con cuochi molto importanti dell’epoca ma presto mi sono accorto che il lavoro del cuoco era veramente duro e così mi è venuta una gran voglia di studiare di nuovo. Ero tre anni in ritardo con tutto. Avevo preso la maturità a 21 anni e poi avevo fatto il militare quindi ero “indietro”. Però ho avuto sempre una gran fortuna: sono convinto che il desiderio che tu hai delle cose, ti crei le situazioni da cogliere e quindi si genera la fortuna. La prima grande fortuna è stata quella di diventare il Prof. Uliassi due mesi dopo il diploma, grazie a una legge ministeriale che aveva cambiato completamente le regole dell’insegnamento a scuola a vantaggio di chi aveva terminato i cinque anni e a discapito di chi invece si era fermato a tre. Mi sono trovato quindi a 22 anni con uno stipendio fisso lavorando solo 18 ore alla settimana che tra scioperi, bombe e feste poi erano anche molto meno. Nello stesso tempo mi ero iscritto all’università perché comunque avevo deciso che non sarebbe stato quello il mio lavoro definitivo, era soltanto un mezzo per poter continuare a studiare. Finché non mi sono innamorato. E qui c’è stata la mia secondo grande fortuna quando mi sono innamorato di Chantal, un vero coup de foudre, mi ha cavato letteralmente il cervello! É stata una cosa che io non ho gestito, ha gestito tutto quanto lei: io mi sono messo in questa corrente appassionata che questa donna, più grande, aveva creato in me. Quando lei mi ha chiesto di cucinare per il suo compleanno io chiaramente ho cucinato ma ho cucinato in modo completamente diverso perché ho cucinato con il cuore e con amore. È lì che io ho cominciato a cogliere le cose: quella sera quando tutti erano tuti quanti strafatti, felici tra l’alcol che avevano bevuto e quello che avevano mangiato perché io avevo fatto una roba incredibile ai loro occhi perché erano abituati a mangiare nelle trattorie e nelle pizzerie non sapevano niente di quello che fosse una cucina professionale. L’ho fatta soltanto per lei perché il mio cuore in quel momento mi muoveva in quella direzione lì. Ed erano veramente tutti sconvolti e lei ancora più sconvolta di tutti quanti perché ero io che avevo fatto questa sorta di pranzo di Babette. In quel momento lì ho colto, anche se poi ci sono state altre situazioni, quanto era bello sconvolgere la gente con il cibo. Questo ti metteva in condizioni di esser visto in un altro modo e di essere subito molto amato. E allora ho percepito che io dovevo usare il mio talento, dovevo seguire quello che la natura in qualche modo mi aveva donato.

Qual è il talento di un cuoco?

Il talento di un cuoco è uno soltanto: la bocca. Tu puoi essere tecnico, aver conosciuto i più grandi chef ma se non hai la bocca è come un musicista senza orecchio. Io ho un palato e un olfatto che poteva dirsi eccellente e quindi mi sono convinto che questa potesse essere la mia strada e allora ho iniziato a studiarci dietro e dopo 4 o 5 anni ho aperto il ristorante. Grazie all’innamoramento per Chantal, io ho scoperto quanto era bello cucinare per gli altri con amore. In più ho scoperto la differenza tra talento e passione che sono due cose completamente diverse. É possibile che tu sia appassionato di cose per cui non hai il benché minimo talento per cui spendi una valanga di tempo per poterti esprimere in quel modo lì ma non ti viene bene perché non hai il talento. Invece il talento è quella cosa che a te viene naturalmente senza nessun tipo di sforzo, è quello che tu sei portato a fare e siccome sei portato a farlo e ti viene bene c’è anche la possibilità che tu ti possa appassionare. A quel punto cambiano tutte quante le regole del gioco proprio perché nel momento stesso in cui tu ti appassioni a qualcosa la passione ti fa salire dentro una sorta di identità nuova che ti rigenera ogni giorno e che ti fa vivere molto nel qui e adesso. Tu non pensi a com’era ieri, a come sarà domani, perché la passione ti sconvolge completamente tutti quanti i piani e tu sei pronto a concentrarti fortissimamente su quello che stai facendo. Queste cose mi hanno portato a fare quello che faccio adesso.

Pensavi alle stelle Michelin quando hai aperto il ristorante?

Quando noi abbiamo aperto non pensavamo certo di arrivare a prendere tre stelle. Non pensavamo a niente. Noi pensavamo soltanto a far vedere intanto ai miei genitori, che per l’investimento che avevano fatto, potevano star tranquilli Perché mio padre mi ha detto: “ questa è la bicicletta, fa che nessuno mai venga da me a chiedermi cose che tu non hai fatto o detto”. Io sono cresciuto con questo senso di responsabilità, con questi dogmi un po’ contadini “la parola data vale quanto la carta scritta”, “il passo secondo la gamba”, “non ti casca niente dall’alto”. Questi insegnamenti per me sono stati molto importanti perché erano le basi su cui io mi muovevo. E mi dicevo sempre che se io avessi agito bene, avessi fatto sempre bene e avessi cercato di migliorarmi sempre come avrei potuto sbagliare? In fondo è semplice ma richiede costantemente di essere verificata: bisogna che verifichi se stai facendo bene, se ti stai comportando bene e se stai facendo del tuo meglio Allora questo innesca un percorso sia professionale che interiore perché di volta in volta tu scopri qualche cosa di nuovo e ogni volta vedi un orizzonte diverso e ti viene voglia di andare avanti e trovi gente come te. Il tuo forte desiderio emana una sorta di vibrazione che attira altri desideri per cui io lavoro con gente che hanno gli stessi desideri per cui io lavoro. Altrimenti a uno che gliene frega di venire a lavorare qua?
C’erano i ragazzi che quando noi abbiamo aperto mollavano i ristoranti per venire a lavorare qui con noi perché gli piaceva un bel po’! Una banda di ragazzetti che lavorava sodo e che non giocava o meglio si giocava nel senso che il lavoro diventava anche un gioco però era faticoso, si lavorava 16 anche 17 ore al giorno. Infatti Mauro Paolini, che è il mio secondo – non si può neanche dire secondo perché lavora con me da 27 anni ed è diventato anche il marito di mia sorella- dopo due anni che lavoravamo insieme mi ha messo la mano sulla spalla e mi ha detto: ”Mauro io ti voglio bene un bel pò ma se continuiamo così io mollo! E non solo io”.
E allora abbiamo ragionato su come sfruttare il successo del ristorante per ripartire meglio il lavoro. Quindi abbiamo innescato tutta una serie di miglioramenti che piano piano ci hanno spostato in avanti. A un certo punto è arrivato un telegramma dicendoci che noi avevamo preso una stella Michelin!

Quando e come hai avuto la possibilità di comprare questo bellissimo ristorante?

C’erano tre o quattro posti qui a Senigallia che mi piacevano molto: quattro erano inaccessibili per quanto costavano. L’unico che era accessibile era questo che era veramente un disastro, quando mio padre l’ha visto è rimasto scioccato. Io ho avuto diciamo due intuizioni importanti nella mia vita. Hai presente quando John Belushi entra in chiesa e vede la “luce”? Io ho visto la “luce” due volte: quando ho incontro mia moglie e con il ristorante. Conoscevo i proprietari gli dicevo sempre di dirmi se avessero deciso di venderlo perché sarei stato interessato ad acquistarlo. Un giorno era scuola e girava voce che il proprietario aveva venduto. Allora prendo un bidello, facendo anche un atto sconsiderato perché non potevo lasciare la mia classe, e corro con la macchina dal proprietario che mi conferma di aver venduto il ristorante e che l’indomani avrebbe firmato il compromesso. Ma in realtà il ristorante non era ancora venduto sulla carta visto che il compromesso sarebbe stato il giorno successivo. Gli chiedo la cifra e io senza chiamare mio padre rilancio di un 30-40 milioni in più. Allora il proprietario chiama il compratore, lo aggiorna della nuova offerta più alta e l’altro pensando che giocasse al rialzo, molla arrabbiandosi anche parecchio. A quel punto il ristorante era il mio. La cosa carina è stata che dopo 4 mesi che avevamo aperto arriva una persona a mangiare che io conoscevo molto bene, che era stato un compare di mio nonno. Devi sapere che io ho avuto un nonno, il padre di mia madre, che era un uomo dell’immediato dopo guerra di questi uomini un po’ contrabbandiere, affarista, un personaggio un po’ losco che era stato anche in galera che insieme a questo tizio che era lì da me ora si spartivano gli affari, le donne e via dicendo. E quindi questo tipo mi viene a trovare e mi dice che durante la trattativa della compravendita dall’altro capo del telefono c’era lui e mi disse che se avesse saputo che ero io il compratore non avrebbe mai mollato. Però mi disse anche che mio nonno sarebbe stato fiero di me! Questo per dire che se metti insieme questi eventi capisci che in fondo c’è qualche cosa in cui tu puoi credere cioè tu puoi credere in te stesso puoi credere nella possibilità di muovere le situazioni. Con che cosa? Con il desiderio, con la voglia di fare. Perché dico questo? Perché questo è successo. Dico questo perché abbiamo preso tre stelle e chi pensava mai di prenderle? Ogni volta che ci penso mi dico non è possibile tre stelle Michelin, la gente viene d tutto il mondo per mangiare da noi! Magari le perdiamo il prossimo anno però intanto siamo stati per un periodo di tempo una dell’eccellenza a livello mondiale. E nessuno lo aveva mai pensato!

Quando inizia il viaggio verso la terza stella?

Cinque anni fa è successo che arriva uno che mangia un menù di selvaggina, otto piatti, paga, e dopo tira fuori il tesserino e mostra di essere un ispettore della Michelin. Difficilmente loro si presentano perché quando lo fanno poi si bruciano per cui non possono più venire da te. Però lui ha avuto voglia di presentarsi e mi dice che il menù di selvaggina che aveva appena mangiato era il miglior menù che avesse mai mangiato in tutta Europa. Noi eravamo già due stelle Michelin, era il 2013. “Se vi date da fare potete arrivare alla terza stella” ci disse.
Ci sembrava un’enormità questo che ci aveva appena detto così. Dopo di che non ne abbiamo saputo più nulla perchè nessuno ti dice che cosa devi fare e come lo devi fare. Però da lì in poi abbiamo cercato di fare sempre meglio e ad un certo punto anche i clienti ci dicevano che eravamo un ristorante da tre stelle Michelin e così abbiamo iniziato a crederci anche noi. Allora abbiamo attivato dei miglioramenti partendo dai dettagli. Abbiamo preso il ristorante e virtualmente lo abbiamo smontato pezzo per pezzo cercando di apportare un sacco di migliorie. C’è stato un lavoro di grandissima attenzione per quattro anni di fila veramente maniacale. Io penso che avremo potuto tenere così per altri 2 o 3 anni dopo di che sarebbe stato impossibile perseverare. Perchè c’è un’attenzione pazzesca che tu metti in ogni dettaglio e se poi non viene compensata con un risultato ti può logorare. E invece improvvisamente è arrivata.

Come è arrivata la terza stella?

Era l’anno 2018 ed eravamo tra i “papabili” insieme a Bartolini- che poi l’ha presa quest’anno – e Ciccio Sultano ed altri 3 credo
Il pomeriggio del 21 giugno, avevamo una serie di prenotazioni come sempre. Era una serata magica. Io esco a salutare gli ospiti e noto tra loro una signora seduta da sola. Siccome era un periodo che stavamo sempre molto attenti perchè sapevamo di essere in “osservazione”, vedo che ordina 4 portate, mangia, mi chiede chiarimenti su uno dei nostri piatti cult: spaghetti affumicati con vongole e datterini arrostiti.
Dopo di che chiede di pagare. Dico a Katia di guardare il nome sulla carta di credito visto che gli ispettori pagano sempre così e lei mi dice che si chiama Juliane Caspar, la nota – almeno di nome – ispettrice Michelin, che nessuno ha mai identificato. Tutt’ora non saprei visualizzarla. Ma la cosa incredibile è stata che la serata era stata assolutamente perfetta. Il ristorante mi era parso più bello del solito con la brezza che soffiava leggera dal mare facendo dondolare dolcemente le tende. La gente gentile, sorridente. Un’atmosfera calorosa, direi quasi magica regnava all’interno della sala: i camerieri ineccepibili come sempre, i clienti che si complimentavano più del solito, la luce giusta, sembrava una serata protetta dagli dei celesti. Ci siamo guadati negli occhi con tutti i ragazzi e abbiamo pensato o stasera o mai più!

Come funzionano le stelle Michelin?

La prima stella te la danno gli ispettori italiani. La seconda stella invece te la assegna il capo degli ispettori italiani che viene a cena con il capo della Michelin francese e se lui è d’accordo è fatta. La terza stella invece è un’altra storia. Con il senno di poi questa è la mia teoria : per due anni siamo stati frequentati assiduamente da tutta quanta la Michelin Italia che alla fine ha decretato che Uliassi fosse pronto per prendere le tre stelle. A questo punto vieni nominato in Francia dove aprono un dossier su di te. Il capo chiama tutti quanti i capi del mondo della Michelin e gli dà la lista dei ristoranti da valutare e fare i reports. Per cui il tuo dossier piano piano comincia a crescere. Quando il dossier è cresciuto in modo tale da convincere il capo della Michelin a dire andiamo a vedere che cosa sta facendo Uliassi a quel punto tu sei uno che ha una grandissima e straordinaria possibilità di conquistare la terza stella.
Può succedere di sbagliare, perchè non sai mai bene nulla. Vai a vedere gli altri tre stelle come funzionano, ma ogni ristorante è un fatto a sé. Il prestigio della Michelin è fatto anche di mistero, puoi stare anche 3 o 4 anni in questo limbo fatto di attenzione manicale e continuo miglioramento.

Bisogna credere nei sogni per realizzarli?

É successo tutto quando doveva succedere. Nel 2008 abbiamo preso la seconda stella, nel 2018 abbiamo preso la terza stella. C’è un ciclicità! Il 2008 e il 2018 sono stati anni incredibili perché abbiamo preso molti riconoscimenti importanti. Crederci o non crederci non costa niente. Il fatto è che comunque delle cose succedono, bisogna credere nei propri sogni anche quando si viene dal nulla. Quando tu lo senti dire degli altri dici “boh! sarà” invece non è così: c’è realmente una possibilità di muovere attorno a te una serie di onde positive che vibrano. Ad esempio nel nostro modo di fare attenzione negli ultimi quattro anni abbiamo fatto in modo che uscissero persone sempre molto contente dal ristorante. Queste persone quando parlavano di noi parlavano sicuramente molto bene quindi muovevano intorno a noi una serie di onde positive. Così facendo noi abbiamo creato una sorta di circolo virtuoso nei nostri confronti che non c’è niente di magico è semplicemente un dato di fatto: se io ti faccio star bene tu esci con il sorriso e parlerai bene di me. La nostra passione, l’averci creduto che fosse possibile, ha innescato questo tipo di comportamento che ne ha innescati altri tutti molto positivi che hanno vibrato. Siamo saliti sui vertici di tutte quante le guide nazionali come il Gambero Rosso, l’Espresso eravamo in prima fila ovunque. Mancava soltanto la terza stella Michelin.

Come si è svolta la premiazione?

La Michelin ci chiama per cucinare per l’evento della consegna delle stelle e già lì è stato un grosso segnale perchè l’anno prima avevano chiamato Niderkofler a cucinare e lui aveva preso la stella. Per cui anche se loro possono chiamare chiunque a cucinare era però un segnale di buon auspicio che ci stavamo avvicinando sempre di più all’obiettivo. Potevamo portare una decina di persone e dovevamo arrivare un giorno prima. Allora io lì ho giocato d’astuzia dicendo che siccome il ristorante era aperto e lavoravamo se era solo per cucinare per l’evento saremo partiti alle tre del pomeriggio del 16, avremmo cucinato per loro e poi saremmo ripartiti. Così mando l’email e loro mi rispondono subito dicendomi che non era possibile e che dovevamo arrivare comunque il giorno prima.
Siamo partiti alle 3 di notte, in 10, emozionati, ma incerti di questa cosa. Nessuno era riuscito a chiudere occhio
Siamo quindi andati in questo teatro dove hanno iniziato a dare le premiazioni. Ad un certo punto abbiamo avuto un attimo di panico perché per la prima volta avevano istituito dei premi speciali tipo “al miglior sommelier” e poi premio “speciale alla carriera” che per carità sempre un bel premio è, ma nulla a che vedere con quello che era nei nostri cuori . Poi quando hanno premiato quelli con una stella gli consegnavano un copia della guida. Massimo Bottura ne ha preso una, l’ha aperta e mi ha fatto pollice su. A quel punto eravamo fuori di testa dalla felicità! Poi siamo finiti su questo schermo grandissimo con loro che hanno fatto il teatrino dicendo che le stelle erano 9 no anzi 10 poi sono iniziate a comparire le lettere sullo schermo prima la U poi L poi la I fino a comporre il nome Uliassi.
Puoi immaginare la gioia, i ragazzi erano con le lacrime agli occhi dalla contentezza ed io uguale. Quando ci siamo guardati eravamo come gli amici nel film Fandango quando si ritrovano insieme e vanno a disseppellire la bottiglia di Don Perignon.
Ogni volta che ci ripenso penso che sia stata una cosa straordinaria che dobbiamo cercare di tenerla il più possibile fin tanto che ci riusciremo, senza farcene una malattia, ma godendocela il più possibile nel senso che quando non ce la faremo più, molleremo senza rimpianti.
L’impegno per tenere questi livelli dev’essere costante: il difficile è continuare a far desiderare fortemente questa cosa che tu desideri a tutti quelli che sono con te. Con alcuni di loro abbiamo vissuto trent’anni gomito a gomito con delle esperienze di vita incredibili, abbiamo girato il mondo insieme, insieme abbiamo patito, abbiamo avuto delle delusioni, siamo caduti ci siamo rialzati abbiamo sempre lavorato tanto abbiamo ricostruito il ristorante 3 volte: per noi il ristorante è quello che possiamo dire la nostra vita.
É stato un qualche cosa che ci ha permeato molto che ha improntato molto il nostro modo di essere.

Da dove venite come gruppo?

Sono tutte una serie di anime gemelle che mi sono attirato. I nomi del gruppo fondante con cui ho condiviso tutto sono: Mauro Paolini, Luciano Serritelli, Michele Rocchi, Yuri Raggini Alessio Orlando, Olga Ivaniciuc, Mattia Casabianca e Andrea Merloni. In sala Katia Uliassi, Ivano Coppari e mio figlio Filippo Uliassi. Ci conosciamo tutti quanti molto bene, conosciamo i nostri difetti, i nostri pregi, scazziamo ogni tanto o anche spesso ma comunque riusciamo sempre a riconoscere che insieme abbiamo vissuto cose meravigliose e non c’è niente che possa intaccare questo. Per cui qualsiasi dissidio, qualsiasi incazzatura si sgretola subito di fronte alla profondità delle cose che noi abbiamo fatto insieme. É stata una vita molto intensa mai di routine, è stato un qui e adesso vissuto costantemente sempre con una grande allegria e anche con grande difficoltà qualche volta. Quando siamo stanchi non vediamo l’ora di chiudere perché diventiamo insopportabili anche tra di noi, cominciamo ad avere dei limiti di intolleranza che sono soltanto legati alle dinamiche lavorative e non sono mai personali. Infatti sto pensando di sfruttare questo meraviglioso momento di condivisione di vita insieme e magari lavorare anche un pò di meno e chiudere 3 giorni a settimana, che è un premio che ci meritiamo. Se ci sono le economie per sostenrlo, lo farò immediatamente. Siccome il gruppo fondante ha una età oramai compresa tra i 50 e i 60 anni e non dobbiamo più dimostrare tante cose, è un modo per dire a tutti quanti continuiamo a farlo perchè ci piace farlo, ma prendendoci il nostro tempo.

Tra poco inizierà il lab creativo?

Lunedì. Ogni volta che iniziamo il lab è una disperazione. Anche se ogni anno superiamo i risultati dell’anno precedente, ogni anno cominciamo che siamo quasi disperati. Perché ci sembra impossibile poter tirare fuori piatti nuovi. Quando li guardiamo e ci rendiamo conto che lo abbiamo creato noi ci sembra quasi impossibile. In quel momento ti rendi conto che se è fatto bene ha una perfezione eccezionale. Uno mangia e sente una serie di sapori che non riusciamo a spiegarci come ci è venuto in mente di farli. Perché i pensieri sono piccoli ma poi messi insieme uno vicino all’altro possono creare qualche cosa di veramente unico. Il segreto del lab è quello di sviluppare un alto livello di creatività: 5 teste che con grande volontà vogliono essere creative. Con tutto il background culturale che ognuno di noi ha, diventa una cosa esplosiva. Allora noi ci meravigliamo di quello che viene fuori ma non consideriamo che quello è il prodotto di cinque teste e quello che possono fare in cinque, uno da solo non potrà mai riuscire a farlo. Noi siamo molto critici tra di noi perchè il livello di perfezione gustativa e olfattiva che abbiamo raggiunto dopo 30 anni, non è lo stesso che avevamo 20 anni fa o anche solo 5 anni fa. Questa asticella si sposta sempre più in là. All’inizio sembra sempre che non riesci a venirne a capo e poi come una nebbia che s’alza improvvisamente in 4 giorni crei 12 piatti.

Come dev’essere un nuovo piatto che esce dal lab?

Noi abbiamo una metodologia ben precisa. Ci sono delle indicazioni che dobbiamo seguire che sono: semplicità, un costo economico comprensibile, prodotti che si riescano a trovare facilmente, la replicabilità del piatto. Poi c’è l’autenticità che è molto importante e cioè che deve raccontare qualcosa di profondamente vero, che è della nostra terra, della nostra cultura. Non necessariamente dev’essere tradizionale anzi dev’essere innovativo. Noi usiamo il massimo della tecnica e della tecnologia che abbiamo oggi sul mercato però deve avere una base di verità : quel piatto lì deve esprimere un fornitore, un produttore, un viaggio che abbiamo fatto, qualche cosa che si racconta delle Marche. Se è autentico e vero arriva profondamente anche agli altri. Il risultato finale è che quando tu mangi se chiudi gli occhi e pensi che bontà che mi è arrivata in bocca, hai raggiunto quello che anche in amore viene definita estasi, ossia un momento in cui tu non sei collegato con la tua realtà, ma stai vivendo un momento trascendentale, staccato dalla tua realtà, dal tuo passato e dal tuo futuro. Sei condotto in unico intenso presente che è dato dal piacere che non ti permette di pensare a nient’altro. Dura una frazione di secondo ma ti riempe di grande gioia. Il cibo ha questo tipo di potere e noi cerchiamo di intervenire a questo livello partendo da quello olfattivo. Quando si costruisce un piatto siccome si mangia con i sensi, il gusto, l’olfatto, l’udito e il tatto, noi costruiamo piatti che corrispondano a questi cinque sensi. Un piatto deve essere bello visivamente perchè l’occhio comunica al cervello quello che vede, il cervello comunica con lo stomaco, che produce succhi gastrici e a te si bagna la bocca. Quindi tu bagnandoti la bocca ti prepari al cibo quindi è importante che il piatto abbia una composizione cromatica e anche una disposizione delle cose fatte in modo tale che già quello ti fa venire voglia di mangiarlo. Poi c’è il discorso delle consistenze, che non sono solo quello che tu tocchi ma anche quello che percepisci con la bocca. Le diverse consistenze, le diverse tessiture danno una velocità diversa al cibo: se tu mangi una cosa che ha una velocità unica, tu hai una percezione; ma se tu mentre la mangi senti gnucco, croccante, morbido, caldo, freddo, tu hai una percezione discostante della cosa che tiene sveglio il cervello e ti fa chiedere continuamente: ma che cosa sto mangiando ? Lavorando su questi aspetti hai il potere di andare a incidere profondamente anche il piacere delle consistenze. Poi hai il piacere del gusto che costruisci con l’acido, l’amaro, il dolce e il salato e in più c’è l’umami che sarebbe il quinto sapore. Il dolce e il salato sono i due sapori primari più facili da percepire. Questi 5 gusti sono molto importanti per cui se tu hai una fame contadina e mangi una bistecca la mangi perchè hai fame e basta. Ma se tu superi quella necessità e la mangi per piacere adesso a quella bistecca devi costruirci qualcos’altro altrimenti dopo 3 bocconi sei stufo.
Poi puoi dare l’accento più su uno o sull’altro ma l’importante è che quando costruisci un piatto e lo metti in sequenza su 10 piatti non devi mai ricreare la stessa sequenza perché altrimenti siccome non mangi per fame finisce che ti stufi. Se invece crei un piatto dove c’è morbidezza, croccantezza, temperature diverse, acidità, amaro allora tu hai il cervello che continua a stare attento, non si annoia mai e appena finisce una cosa subito ha il desiderio per quella successiva. Tutti questi elementi sono fondamentali per costruire un piatto. Quando noi pensiamo ad un piatto partiamo da qui e non dalla materia. Pensiamo alla semplicità e a come interagiscono i cinque sensi perchè si mangia con i sensi: senza questi non si avrebbe neanche la voglia di mangiare. Sono i sensi che registrano nella tua memoria e poi ti danno il ricordo. Noi usiamo molto l’olfatto che è l’elemento più importante di tutti. É l’unico dei sensi che indica con precisione quello che tu stai mangiando. Il naso è quello che ti apre un file nella testa quando tu non riconosci un profumo che può essere anche riattivato dopo 10 anni o dopo un viaggio che hai fatto.
Se costruisco un piatto e voglio agire fortemente sull’evento marino ad esempio perché tanto so che chiunque almeno una volta nella vita al mare c’è stato, allora io intervengo sul piatto mettendoci dentro uno dei tanti profumi del mare e quando la gente lo mangia chiude gli occhi e gli sembra di essere tornata bambina, e ri attiva sicuramente un ricordo della sua vita che diventa emozione perché legato a un’esperienza vissuta. Questo è raccontato molto bene da Proust nella Madeleine. É lui che scrivendo, che sta quasi per morire perchè era malatissimo, percepisce il profumo di una Madeleine e lui si ferma e improvvisamente ritorna bambino e il profumo della Madeleine gli da un’emozione ancora più profonda perchè lui quando era bambino non era malato. Questo è la potenza dell’olfatto! Ogni volta che costruiamo un piatto cerchiamo sempre di costruire una sorta di Madeleine che può essere marina o di terra. Ogni posto ha il suo odore e noi lavoriamo molto su questo. Io penso che una delle grandi doti che un cuoco debba avere è l’olfatto collegato con il gusto. Li tu puoi agire . La creatività vuol dire avere comportamenti immaginativi. Vuol dire immaginare le cose in maniera diversa da come uno le ha sempre percepite e tutto si relaziona con tutto. Per cui tu puoi avere una relazione anche di cose che hai pensato tre anni fa e che 3 anni fa non hanno funzionato ma che in un nuovo contesto possono funzionare. Io dico sempre ai miei cuochi quando creiamo un piatto che sappiamo che è buono: “Pensate se questo piatto qui lo aveste mangiato in un altro grandissimo ristorante: invece no lo abbiamo fatto noi!” Questo mi serve anche per far capire quanto è importante credere nelle cose però anche avere una metodologia per poter arrivarci. Tutte queste basi si sono costruite nel tempo. Abbiamo cominciato a capire come cucinare vent’anni dopo che già stavamo cucinando perchè ci vuole il tempo per capire come ti devi muovere. Devi capire i grandi maestri: Frerran Adrià è stato illuminante tutto questo è legato a lui, fare studio e ricerca che è fondamentale per far qualsiasi cosa. L’essere sempre insoddisfatti, facendo e non temere anche la prima delusione, sperimentare è un percorso che magari sembra che non ti porti da nessuna parte ma nel momento stesso in cui tu sperimenti, si aziona il tuo cervello, il tuo cervello interiorizza e tu non sei più come eri un minuto prima perchè hai delle informazioni nuove.

Il menù Lab cambia completamente da un anno all’altro?

Sì al massimo si può portare appresso uno o due piatti perché sono risultati essere insostituibili come il pan cotto che è diventato un piatto icona. Lo scorso anno abbiamo fatto dei piatti incredibili, pazzeschi come “l’agnello fuori di testa” che è bellissimo nell’idea, è bellissimo quando lo mangi, è bellissimo perché si porta appresso tutta l’autenticità di queste parti. Io lo mangiavo con mio padre quando andavo a caccia con lui. Le rane, le lumache. Per noi per esempio adesso qui non c’è più niente di tutta questa varietà ma questo ha poca importanza perchè comunque c’è stata nella storia. Questa zona qui è pazzesca perchè davanti hai il mare con tutta la sua energia e tutto quello che vive dentro il mare poi subito dopo hai le terre e le colline. Immagina 100 anni fa senza alberghi con le casupole dei marinai con davanti l’argano e quindi la barca per andare a pesca. Dietro casa però avevano l’orto con l’oca, il maiale, il coniglio, i piccioni. Quindi una cultura di terra e di mare. La cucina mare e monti
non è un’invenzione di qualcuno particolarmente creativo ma fa parte delle nostre tradizioni antiche. Ma non solo a 300 metri da tutto questo, oltre la città, c’era una zona di acquitrini e fossi per cui rane, lumache, selvaggina e anguille c’erano in abbondanza. Nella costa Marchigiana tu hai un parterre di ingredienti pazzesco alle quali ispirarti. Noi qui abbiamo veramente tutto e anche di ottima qualità.

Ma il tuo ristorante, ti piace un bel po’?

Il ristorante si trova in un posto di grande qualità perché è un posto pieno di energia: hai il mare e la spiaggia, accanto il fiume al di là del quale hai il porto e alle spalle la città. Per cui hai 3 o 4 dimensioni che sono completamente diverse e hanno un’energia completamente diversa tra di loro, in continua evoluzione durante l’anno a seconda delle stagioni, a seconda se c’è il vento, la pioggia o il mare mosso. Qui ogni volta c’è un’energia pazzesca e stai molto bene. Oggi c’è una giornata di sole poi magari tuto ad un tratto diventa nuvolo e vedi questi gabbiani che stanno lì fermi, attenti. Ieri c’era un profumo di mare pazzesco con le alghe essiccate dal sole che spandevano quest’odore intenso. Questo posto ti ispira tantissimo perché è volubile. É un luogo che ti da veramente tantissime possibilità e quindi tra un po’ si ri-comincia…

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