“Pepe in grani” è il suo locale a Caiazzo, nell’alto casertano, divenuto un richiamo per i gourmand da ogni parte del mondo. Pluripremiato e insignito della prestigiosa onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica, Franco Pepe continua a portare avanti il suo credo ovvero quello di dare un futuro ai giovani nel loro territorio, trasformando una zona considerata per molti “senza speranza” in un luogo di rinascita e valore, dando impulso a una micro economia territoriale fatta di prodotti di eccellenza e servizi di qualità.
“Avere Ducasse che arriva da Parigi con un volo privato per mangiare la nostra pizza o salire su un palco nello Yucatan per rappresentare l’Italia con la mia pizza al fianco dei più grandi chef del mondo, sono state le ultime due emozioni di questa settimana”, sorride soddisfatto Franco Pepe.
Il format “Pepe in Grani” ha aggiunto alla pizzeria due camere, trasformandola in una sorta di locanda, in cui il concetto di pizza diventa davvero slow, affinché l’ospite possa arrivare,
ristorarsi e riposarsi. Questo per contrastare l’immagine generale che lega la pizza al fast food, minimizzando il valore di questo piatto conosciuto in tutto il mondo, che ci identifica e valorizza come Paese.
Di tutti i riconoscimenti e i premi che hai ricevuto, quale ti rende più orgoglioso?
Cerco sempre di non farmi prendere troppo da questi premi ma di andare avanti con l’umiltà di un artigiano. Sono tutti bellissimi e nessuno è inferiore all’altro. Il riconoscimento più grande è sicuramente la folla che arriva ogni giorno qui a Caiazzo, dove abbiamo portato letteralmente il mondo. Sono sicuramente molto orgoglioso di essere stato insignito dal Presidente della Repubblica Mattarella come Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana per due anni consecutivi, con la motivazione di aver creato una micro economia in un territorio dove niente è scontato ma guadagnato con fatica e perseveranza e per aver sostenuto i meno abbienti e gli anziani del posto durante la pandemia, non spegnendo il forno ma distribuendo pasti a tutti.
Quali sono le eccellenze del territorio che utilizza nelle sue pizze? Erano già presenti o è grazie a “Pepe in grani” che l’economia del territorio ha avuto un grande impulso?
Il progetto “Pepe in Grani”, non era solo fare la pizza, ma soprattutto fare formazione ai giovani e ai contadini locali, che si sono trasformati in aziende agricole, di cui abbiamo sostenuto la crescita con figure professionali specializzate al fine di ottenere una materia prima d’eccellenza e garantire quindi dei prodotti di qualità, anche per il fatto che ci troviamo nella zona conosciuta come la “Terra dei fuochi”.
Da dove nasce questa passione per la panificazione?
Appartengo alla terza generazione e qui con me ci sono anche i miei figli che rappresentano la quarta generazione. Una grande continuità lavorativa iniziata negli anni ’30 con il nonno e proseguita negli anni ’50 da papà che iniziò a fare la pizza, un prodotto molto richiesto anche allora. Io sono nato e cresciuto nella sua pizzeria. E dato che all’epoca era un mestiere usurante, i miei genitori aspiravano a un altro tipo di lavoro per noi figli. Così sono diventato un insegnante di educazione fisica all’inizio della mia carriere lavorativa. Però alla sera facevo comunque il pizzaiolo, agli inizi del 2011, mi sono tolto da tutte le graduatorie scolastiche e nel 2012 ho aperto “Pepe in Grani”.
Qual è il segreto della tua pizza? Perché vengono da tutto il mondo per mangiarla?
Penso che il nostro successo sia dovuto al fatto che mettiamo al centro dell’attenzione il cliente, il che significa dargli un’adeguata accoglienza e soprattutto offrirgli un prodotto ragionato, studiato e sperimentato. Abbiamo applicato la cucina alla pizzeria, abbiamo scomposto la figura del pizzaiolo, che non è più unica, ma declinata in un team in formazione continua e lavoriamo con materie prime d’eccellenza del territorio. Noi siamo quello che mangiamo, per cui ho voluto trasformare la pizza in un concetto salutare e, in collaborazione con una biologa nutrizionista e confrontandoci con l’Università, abbiamo realizzato anche un menù di 12 pizze calibrate in maniera scientifica tra carboidrati, lipidi e proteine e arricchite da fibre per una migliore digestione, ricevendo anche il Bollino Blu dall’AIRC, la fondazione per la ricerca sul cancro . Abbiamo portato la scienza nella pizza come non era mai successo prima. “Pepe in grani” non è solo una pizzeria di alto livello ma anche un progetto per valorizzare il vostro territorio.
Ci racconta come è nato e come si è evoluto nel tempo?
Nel 2012 ho comprato un rudere del ‘700 e ho iniziato questo sogno con 7 ragazzi, e tante incertezze, tante incognite: non sapevo neppure quanto riuscivo a pagarli a fine mese, ero pieno di debiti! A poco a poco questo progetto è cresciuto e oggi ho 50 ragazzi che lavorano con me: accogliamo 11.000 persone circa ogni mese, facciamo percorsi di degustazione con le pizze realizzate con le nostre farine “O Pepe” create da me con un mulino del posto e che non si trovano in commercio. Viene servita la pizza salata, fritta, al forno e dolce abbinata a grandi vini. Abbiamo 4 sommelier in
pizzeria, una carta di vini di 140 etichette. C’è un ampia offerta, e offriamo anche la famosa pizza a libretto al costo di 2 euro e questo per mantenere l’identità popolare della pizza come cibo di strada.
Con il format “Authentica stellata”, realizzato in collaborazione con altri chef stellati, qual è stato l’intento comunicativo per i tuoi clienti?
Abbiamo ricreato accanto alle camere una sala con un forno dove posso accogliere 8 persone. Sono solo io e il sommelier e creo e racconto la mia pizza per ritrovare quel contatto con la clientela che mi mancava. Condividiamo un banco e facciamo un’esperienza fantastica anche con chef amici che hanno apprezzato moltissimo questo progetto e con cui ci divertiamo, affiancando il mio impasto alla loro creatività.
La “Margherita sbagliata” è definita un cult mondiale. Com’è nata e qual è la sua particolarità?
Abbiamo qui sul territorio un pomodoro fantastico, il pomodoro riccio, i cui semi risalgono al 1800, che viene coltivato su campi non irrigati, viene raccolto e messo sulla paglia ed è ricchissimo di polifenoli e antiossidanti. Volevo portare l’aspetto nutrizionale del pomodoro su una pizza composta da pochi elementi per cui ho “scomposto” la margherita: metto nel forno solo la pizza bianca con mozzarella e olio; quando esce bella fumante aggiungo queste strisce di passata di pomodoro freddo e poi delle goccioline di riduzione di foglioline di basilico, ghiaccio e olio del territorio con il risultato che si ha una percezione di caldo e freddo al palato che, scomposto in questo modo, valorizza tantissimo il sapore del pomodoro che diventa intensissimo.
Ci racconti il progetto “Proxima Pepe in Grani”?
É un progetto nato e pensato dopo aver partecipato a varie consulenze e collaborazioni, grazie alle quali ho capito che dovevo tutelare sia Pepe in grani sia la mia identità, creando un contenitore che racchiudesse non solo la mia pizza, la mia farina e le mie ricette, ma anche la comunicazione e i miei valori, affinché non venissero travisati. Chi vuole la mia pizza deve attenersi ad alcuni criteri.
Ci vai a mangiare la pizza?
Se devo essere onesto faccio fatica a farlo però ho provato alcune pizze a Portland nell’Oregon da una mia rivale, Sarah MInnick (ride) che segue lo stesso tipo di progetto che io ho realizzato a Caiazzo con i contadini del territorio. Una pizza diversa ma interessante e originale.
Qual è il tuo motto nella vita, il motore del tuo pensare e del tuo fare?
Non credevo di poter far tanto e invece oggi mi rendo conto che ho 50 famiglie assunte sul territorio. Svegliarmi la mattina con la voglia di creare e di fare per dare possibilità alle persone di non scappare dal sud è quello che mi spinge a guardare sempre avanti.
Che messaggio lanceresti ai giovani?
Oggi fare il pizzaiolo è un bellissimo percorso. Quando ho iniziato io era molto usurante e molto difficile. Ai ragazzi direi di credere nelle loro capacità senza farsi abbindolare dalle cose futili, per non rischiare di commettere fare passi falsi. Ognuno di noi ha un suo talento e lo deve mettere a disposizione degli altri. Pensare di raggiungere un obiettivo solo attraverso i like e i social è sbagliatissimo. Bisogna emozionare i palati, puntare alla sostanza e non all’apparenza.
Qual è la tua pizza preferita?
Mi fanno sempre questa domanda (ride)!. La mia pizza preferita non è mia ma di mio padre ed è anche in menù: è un calzone con scarola riccia cruda che mi ha portato fortuna. Quando già papà non c’era più la proposi a Luigi Veronelli, che doveva presentare un vino locale. Lui accettò e poi scrisse le prime 3 pagine su di me. Fu una grande emozione, di cui serbo un bellissimo ricordo.
Ci sono nuovi progetti nel futuro di Franco Pepe?
Diciamo che mi sento appagato e spero di veder portare avanti questo progetto dai miei figli e dai ragazzi che ho formato qui. Però ci sono tante altre cose da realizzare, ma ne parlerò più in là, quando tutto si sarà concretizzato. Sono fatto così non faccio mai il passo più lungo della gamba. (Ride)
Com’è cambiata Caiaizzo con “Pepe in Grani”?
É rinata e si sono create molte nuove professioni, come ad esempio i parcheggiatori e i trasferisti che portano le persone da Napoli o dagli aeroporti vicini, data la viabilità difficile per raggiungerci. Anche il centro storico, che era stato abbandonato, ha cambiato aspetto perché i vecchi ruderi sono stati trasformati in b&b per accogliere tutti quelli che vengono a gustare la nostra pizza. Pensare agli altri è il mio motto e investiamo in molti progetti sociali legati anche ai giovani con disabilità: infatti ne abbiamo anche due nel nostro staff, Martina e Marco, che lavorano in sala e in cucina e stanno bene con noi al punto da volersi trasferire da Caserta per vivere qui a Caiazzo. Questa per me è la soddisfazione più grande oltre a tutte quelle di cui ho raccontato.