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Andrea Berton. Lo chef è chi fa da mangiare

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L’intervista con chef Berton è fissata nel primo pomeriggio di un giorno come tanti, in cui gli impegni si incastrano tra le ore che scorrono con il loro carico di lavoro intervallato da una quotidianità uguale e pur sempre diversa.

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Ed è proprio diversa questa giornata, in cui l’incontro con lo chef friulano, tra i più amati e apprezzati nel nostro Paese, porta con sé quella naturale emozione (che ho la fortuna di non perdere ad ogni intervista) di trovarsi di fronte ad un maestro in questo settore. L’attesa fa salire e amplifica tutto, fino a quando Berton risponde e tutta la tensione si scioglie in un incontro piacevolissimo, che trasforma l’intervista in una chiacchierata che vorresti non finisse così presto.
Gentilezza e classe da vendere, voce pacata, grande carisma e predisposizione all’ascolto. E hai subito l’impressione di essere di fronte a un “grande”, una di quelle persone che non hanno bisogno di sottolineare la propria grandezza, perchè questa traspare in maniera naturale da ogni parola, racconto, aneddoto, battuta.

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Un passato costellato di maestri e scuole importanti, da Ducasse a Enoteca Pinchiorri e poi, lui, Gualtiero Marchesi, che Andrea Berton ricorda con grande riconoscenza e composta commozione: “Lui è stato per me un grande maestro, gran parte di quello che sono oggi è dovuto proprio agli anni in cui ho avuto la fortuna di seguirlo in cucina. Da lui ho appreso la disciplina, la pazienza, il rigore e la precisione. Soprattutto ho fatto mio un insegnamento che è diventato per me uno stendardo in questo mestiere, e cioè che l’ingrediente non va mai distrutto ma valorizzato”.
È così che nasce l’arte di chef Andrea Berton, partendo proprio da quella materia prima che, secondo lo chef stella Michelin dal ‘97 al 2001 con la Taverna di Collaredo di Monte Albano e oggi con il suo Berton a Milano, passando attraverso una serie di successi e progetti avviati (la stella Michelin nel 2018 per il Ristorante Berton Al Lago, i Quattro Cappelli nella Guida Ristoranti d’Italia de L’Espresso nel 2020, il Premio Pommery de Le Guide de L’Espresso, Il Piatto dell’Anno 2019, Ambasciatore EXPO 2015 e le tre Forchette per i Ristoranti d’Italia del Gambero Rosso nel 2020) è l’elemento da cui partire sempre: “Non è l’ingrediente – ci racconta – che deve piegarsi allo chef ma è lo chef che deve mettersi al servizio dell’ingrediente. Deve conoscerlo a fondo, studiarlo, plasmarlo, sottolinearne le caratteristiche, rispettandolo”.

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Le sue parole suonano come un’ode alla materia prima, lui che più di ogni altro forse, ha saputo dare dignità al brodo, divenuto nei suoi menù non un elemento di contorno ma un piatto a tutti gli effetti, in grado di portare nuove prospettive e moderne intuizioni, pur rievocando atmosfere familiari e di antichi pranzi domenicali. Un concentrato di sapori che non poteva, a detta dello chef, restare nell’angolo e che oggi, dopo tanto studio e sperimentazioni, si presenta come elemento di continuità o anche di rottura in un piatto.
Gli chiediamo se per lui uno chef è più un artigiano, un artista o un personaggio mediatico… e Berton risponde perentoriamente: “Uno chef è colui che prepara da mangiare. Questo è un concetto che non va mai dimenticato. Il nostro mestiere è quello di far star bene gli ospiti con il cibo. La bellezza di questa professione è che nasce proprio dal mettersi al servizio degli altri: è questo aspetto che mi ha spinto tanti anni fa a intraprendere questa strada. Poi, certo, uno chef è anche un artigiano, perchè manipola la materia, l’ingrediente, ed è un’artista quando riesce a creare qualcosa di nuovo, innovativo e straordinario…”.
E per il personaggio mediatico?
“Più che personaggio mediatico, io direi che lo chef è diventato, grazie alla tv e ai social, un mezzo per portare il mondo della cucina nelle case di tutti. Era un passaggio quasi obbligato vista l’evoluzione della comunicazione negli ultimi anni. E ben venga, perchè l’informazione non è mai un problema, aiuta invece le persone a raggiungere una maggiore consapevolezza e conoscenza delle cose, di aspetti che spesso restano nell’ombra”.

Ed proprio con questo rispetto e anche passione per la comunicazione, che nel 2018 chef Berton ha fatto parte della giuria del “Il Ristorante degli Chef”, su Rai 2, mentre il suo profilo Instagram è ricco di video e contenuti, perchè, come afferma lui stesso, “è un mezzo immediato e molto interessante. Ti permette di portare un pezzo della tua vita professionale a chi ha fame di questi contenuti”.

Qual è la cosa più difficile dell’essere alla guida di una brigata?
“Nulla è difficile, altrimenti non avrei fatto questo lavoro. Ma soprattutto penso che laddove ci sia una difficoltà è l’approccio
che fa la differenza. Una difficoltà deve sempre essere vissuta come un’opportunità di crescita, di miglioramento personale e collettivo. Devo dire che la mia brigata si arricchisce di tanti professionisti validissimi, con i quali si sono create nel tempo un’ottima sincronia e organizzazione che, insieme al rispetto e al piacere di lavorare assieme, rappresentano gli elementi imprescindibili perchè un servizio possa essere sempre impeccabile”.

E uno ad uno, vengono nominati i suoi “compagni di viaggio”: Simone Sangiorgi Sous chef di cucina, Luca Enzo Bertè Sommelier, Gianluca Laserra Direttore di sala. E’ grazie alla loro precisione e determinazione che ogni servizio ha successo.
Si parla tanto di eccellenza italiana in cucina.

Secondo lei cosa connota o dovrebbe connotare il Made in Italy nel mondo?
“Credo che molti chef italiani, come Bottura ad esempio, insieme a tanti altri, abbiano avuto il merito di dare una nuova identità al made in Italy, scardinandola dai vecchi luoghi comuni cui si era abituati per portarla ai vertici di una cucina che, restando sempre fedele alla qualità e alla territorialità, è riuscita a toccare vertici di innovazione incredibili”.
Attenzione, curiosità, disciplina, grande disponibilità sono forse le parole che subito vengono in mente quando si parla di e con Andrea Berton, un professionista esigente e raffinato, pacato e risoluto, che ama lo sport e la famiglia, che quando può si rifugia al mare o a New York, che adora il Sud e la napoletanità, che fa dello studio e della ricerca due compagni insostituibili. Lui che in una chiacchierata ci ha dato il senso del suo essere chef, soprattutto il senso del suo essere uomo.

Ph. Credits: Marco Scarpa

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