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Il Laite e la formula magica di Fabrizia Meroi e Roberto Brovedani

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La cucina è come un piatto: ci vogliono molti ingredienti dosati con equilibrio.

Un’antica casa del 1700 in legno, un balcone affacciato sull’antico borgo e tutto intorno boschi. È qui, a Sappada, nell’estremità nord orientale delle Dolomiti, tra Cadore e Carnia, che, riscaldato d’inverno da una vecchia stube, si alimenta il sogno di due “creature” che qualcuno ha definito silvane.
Quella casa è il Laite e le “creature” si chiamano Fabrizia Meroi (sì, proprio lei, la chef donna dell’anno by Veuve Clicquot 2018) e Roberto Brovedani.

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Prato fiorito

Due sogni e due persone che nel 1987 si sono incontrate per diventare una cosa sola: una coppia con il desiderio di aprire un ristorante, lei amante della cucina, lui del mondo del vino.
“Il nostro sogno era un ristorante piccolo e semplice – racconta Fabrizia -. Io ero giovanissima, avevo 19 anni e la mia esperienza era basica (la nonna e la mamma gestivano un’osteria a Cividale del Friuli). Volevamo creare un luogo che profumasse di famiglia, curato nei dettagli, con una cucina basata su materie di qualità”.

“Sai, alcuni piatti che Fabrizia faceva all’inizio, ancora oggi vengono riproposti e piacciono molto. Forse eravamo già partiti nella maniera giusta!”. Eccolo Roberto, con il suo amore orgoglioso verso la moglie, che risponde: “Sì ma siamo partiti in maniera molto soft! Una cucina semplice. Avevamo un amore sconfinato per il cibo e il vino e abbiamo nutrito questa passione”.

intervista a fabrizia meroi food lifestyle
Vellutata di patate, grano saraceno, erbe, plancton

Fabrizia e Roberto sono due persone dolcissime, semplici, e con quella dose di sana modestia che profuma di amicizia e casa. Perché il Laite è la loro casa che, nonostante i successi raggiunti negli anni, e quella stella Michelin che ha portato il ristorante alla notorietà, è rimasta come il loro originario sogno desiderava: un luogo piccolo, un familiare “rifugio” curato in ogni dettaglio con l’essenza del calore e dell’accoglienza.
E se qualcuno crede che mantenere salde identità e dimensione sia una cosa banale, sbaglia.
Il Laite è un luogo che pare un altrove: entri e ti dimentichi di tutto, e ti lasci semplicemente trasportare dai piatti della chef e dai racconti profumati di Roberto che, rinomato e premiato sommelier (già a 12 anni lavorava in sala nell’hotel dello zio), abbina vini ai piatti con istintiva sapienza. Un connubio nella vita e in tavola che spesso viene narrato come una favola, perfetta e a lieto fine.
“No, no, credimi – ride Fabrizia -, non è una favola!”.

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Tartare di pecora, capasanta, yogurt alla barbabietola, birra scura

Ma perché scommettere su una terra così peculiare, perché restare a Sappada in quella antica dimora?
È colpa sua, lui non voleva muoversi da qui!” ride ancora Fabrizia additando il marito (Roberto è sappadino e quando si conobbero Fabrizia era qui per “fare la stagione”). “Sto
scherzando – continua – è una bella scelta, con i suoi pro e i suoi contro. Negli anni Ottanta, se non eri per forza in centro a Roma o Milano, era un po’ una causa persa. Oggi, invece, le persone si muovono senza problemi, anche se sei lontano dall’autostrada o da grossi centri. I pro sono tutte le materie prime, i profumi, le erbe”.

La cucina di Fabrizia Meroi profuma di Sappada, dei suoi prati, del bosco e del sottobosco. Tradizione vuole che, ancora oggi, non ci sia un giardino in questo paese che non celi, in un angolo, almeno una pianta di dragoncello, usato per insaporire svariate pietanze ed alcuni formaggi, come il slaunchotte, una ricotta acida immancabile nel menu del Laite.
La chef ha il suo orto, dove coltiva anche le sue spezie e poi ci sono le erbe. “Se vai con lei nel bosco – Roberto esorta – assaggi 50 tipi di erbe diverse!”.

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“Non ho fatto corsi specifici – sorride Fabrizia –, sono un’amatoriale. Ma sono innamorata delle erbe: in una piccola dimensione, in una fogliolina, c’è una forza straordinaria. Le amo tutte, ma il levistico, secondo me, è proprio la mia erba! Se lo conosci bene, puoi
utilizzarlo al meglio per esaltare moltissime portate: antipasti, primi, carni, dolci…”.
La stagionalità al Laite fa da padrona: “In ogni mio piatto c’è almeno un elemento che racconta la stagione e poi ci sono gli abbinamenti. A me piace tanto creare dei contrasti, che però nell’insieme abbiano un equilibrio. E voglio che ogni ingrediente che compone il piatto, e che viene dunque scritto nel menu, si senta. Perché questo territorio offre tantissimo. A volte hai un ingrediente sotto il naso e lo snobbi per anni. Quando poi lo scopri e riesci a capire le sue potenzialità, non vedi l’ora che le persone percepiscano quel sapore. Credo sia importante dare a tutto la giusta importanza. Il percorso che porto in tavola è un’opportunità, per me e per chi lo assaggia: diversi prodotti, diversi e svariati gusti. E poi c’è Roberto con i vini; lui è davvero bravo, in questo e nell’accoglienza in sala. Dopo tanti anni insieme è proprio bello che conosca perfettamente cosa metto nei miei piatti e con i suoi abbinamenti (lui ha dei vini molto particolari) intensifica la loro forza”.

“Beh io credo che questa sia la parte più facile. Fabrizia cucina, crea. Io assaggio i vini e propongo quello che mi piace!” – aggiunge il marito.

Roberto è così: con quella spontanea ironia che non puoi non adorare. Si alza dalla sedia e fa per allontanarsi, un impegno con un fornitore lo chiama, e, mentre io capisco che la formula magica di questa coppia è il compensarsi a vicenda con ruoli e spazi definiti, prima di lasciarlo andare non resisto a chiedere quale è invece il segreto per tenere sempre vivo il fuoco che alimenta il sogno.
Sono le persone – mi rispondono -! Quando le vedi in tavola che assaggiano i piatti e sorseggiano il vino ad occhi chiusi”. E per Fabrizia, poi, c’è la scoperta di una nuova materia prima, una nuova erba: “Per come sono, se dovessi fare sempre le stesse cose diventerebbe noioso; invece c’è la possibilità di sperimentare, di aggiungere un prodotto nuovo e questo è uno stimolo straordinario!”.

Ma come è Fabrizia Meroi?
Ho decisamente un carattere pacifico – risponde -. Non sono certo quella che lancia i coltelli in cucina! Poi ovvio, per affrontare e sopportare un’attività come questa un po’ il carattere lo devi mutare e plasmare: devi essere di vedute ampie, con i nervi saldi. E non è facile eh! Ricordo che all’inizio quando nessuno ci conosceva non è stato semplice superare la difficoltà degli sbalzi di attività: dal super lavoro al nulla, dal nulla al super lavoro… Poi trovi un equilibrio”.

E poi arriva il successo, la notorietà, che però non ha cambiato questa donna, chiusa in cucina a sperimentare e ideare piatti per ore ed ore ogni giorno; lei che si definisce “un po’ orso” perché non ama più di tanto la mediaticità. E a cosa le servirebbe poi? Il suo mondo lo ha già conquistato così. Il sogno di Fabrizia (e Roberto) è in quella scritta su
legno affianco al balcone: Laite, i prati ripidi attaccati alle rocce (questo è il significato sappadino).
Da quei prati le essenze odorose rendono riconoscibile la sua cucina, memore della tradizione ma ogni giorno rinnovata. Fabrizia infatti ama le paste ripiene (una raccomandazione, provate i suoi tortelli!), ideologia di pasto per la famiglia e per le feste, e, accanto a queste, riporta in tavola i sapori di un tempo in un look di colori e abbinamenti moderni.

Un esempio? Il latte era un alimento base fondamentale un tempo: la polenta col latte, il merluzzo cotto nel latte…
L’istinto geniale di Fabrizia è questo: “Lo scorso autunno ho pensato di creare un piatto a base di latte; ho voluto utilizzare questo ingrediente in tutte le lavorazioni possibili, non
necessariamente il formaggio: dalla pelle del latte, allo yogurt liofilizzato, la panna acida, una polvere, una cialda… Ogni parte di questo piatto aveva nettamente la parte lattica.

In accompagnamento c’era un brodo vegetale con infusa una crosta di formaggio. Ricordo che da bambina non volevo mangiare formaggio e mia madre mi metteva nel brodo questa crosta di parmigiano che mi suscitava un po’ di inquietudine! Poi ho fatto del merluzzo dissalato: tartare di merluzzo dissalato crudo, dei finocchi conditi con aceto di
siero derivato dal latte…

Ecco, una volta si faceva il merluzzo cotto nel latte, io l’ho trasformato in un’altra cosa”.
Ma l’istinto in cucina non è tutto; da solo non basta. Per Fabrizia Meroi la cucina è come un piatto: “Occorre l’istinto, occorre la tecnica, occorrono la cura e lo studio. Certo
la percentuale di istinto è alta e dà una marcia in più; la tecnica la utilizzi come mezzo. Ma la cucina sì, è davvero un piatto: ci vuole un po’ tutto (istinto, tecnica, cura, studio)
dosato con equilibrio!”.

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