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Il Garum, la prodigiosa “maionese” dei romani

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a cura di Chiara Almonte

Se vogliamo trovare un antenato alle moderne salse utilizzate per condire e rendere più gustose le patate a tavola, forse la risposta viene dal Garum.
Già Plinio il Vecchio, nel XXXI libro della Naturalis Historia, scriveva “un altro tipo di liquido pregiato, che chiamarono garon, è fatto con intestini di pesci e altre parti che di norma si dovrebbero buttare via, macerati nel sale, sicché quello diventi la feccia di cose in putrefazione”. Nella letteratura latina, anche Apicio nel De Re Coquinaria, raccolta di dieci libri di
ricette di cucina romana del I secolo, fa riferimento al garum o liquamen per insaporire più di venti diverse ricette, dalla carne al pesce, dalla verdura alla frutta.
Il garum era una salsa fatta con piccoli pesci fermentati, nello specifico le interiora, sale ed erbe aromatiche, prodotta nel bacino del mediterraneo e considerato tra gli ingredienti più preziosi per i Fenici, i Greci e i Romani. Il termine deriva dal greco “garos”, che era il nome del pesce che veniva utilizzato, ma la ricetta del pesce fermentato pare provenga dai popoli mesopotamici.
Il garum arriva a Roma nel II secolo a.C. insieme alla cultura culinaria ellenistica e furono i romani a realizzare questa salsa, che era considerata marcia, un prodotto per le tavole dei ricchi ma anche per quelle più modeste.
Vicino alle coste iniziarono a sorgere le cetariae dove si produceva pesce salato e garum. Le vasche in cemento venivano riempite con le interiora di bianchetti, acciughe, sgombri e tonni, messe tra strati di sale e lasciate per diversi mesi a fermentare al sole fino a raggiungere la giusta piccantezza.
Terminata la fermentazione, la miscela (maleodorante) veniva filtrata e messa nelle apposite anfore (numerosissime quelle ritrovate nelle colline del Testaccio a Roma).
Il liquido che ne risultava era di colore ambrato e denso, con un intenso gusto umami tra dolce e salato. La parte che rimaneva era chiamata allec.
Come la salsa spagnola differisce dalla vellutè per la partenza da un fondo bruno, l’olandese a sua volta è diversa dalla maionese per il burro e la preparazione a bagnomaria, a seconda del tipo di pesce che veniva usato per fare il garum: colore, gusto e concentrazione risultavano completamente diversi. Nei testi viene citato spesso il liquamen, che potrebbe essere diventato il termine più popolare per il garum in un periodo più recente, oppure faceva riferimento ad un garum di qualità inferiore. I romani lo combinavano anche con altri ingredienti come il pepe (garum piperatum), l’aceto (garum oxygarum), il vino (oenogarum), l’olio (oleogarum) o l’acqua (hydrogarum).

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