Sospesi tra cielo e mare, i trabocchi rappresentano l’ultimo avamposto della terra ferma. Affascinanti, solitari e intrisi di salsedine emergono dalla costa con i loro lunghi bracci, che si protendono nel mare alla ricerca del pescato fresco.
Realizzati in legno di pino d’Aleppo, un albero comune della macchia mediterranea, resistente alla salsedine e dotato di quell’elasticità che è fondamentale per resistere alle raffiche del vento Maestrale, i trabocchi sono costituiti da una piattaforma, in posizione trasversale rispetto alla costa, protesa sul mare e ben ancorata al fondale. Si trovano in Abruzzo, spesso su litorali poco profondi, e in Puglia, dove vengono invece ancorati ad uno sperone di roccia. I trabocchi trasmettono quella semplicità e quella genuinità tipica delle genti di mare: gusti intensi frutto d’ingredienti freschissimi, sapientemente accomodati in marinature leggere al profumo di macchia mediterranea, che fa da sfondo alle loro spalle. Questi insoliti giganti, che emergono dalle acque, sono delle macchine da pesca su palafitte, che secondo alcune testimonianze, andrebbero accreditate ai Fenici: tuttavia non esistono testimonianze scritte che lo accertino. Si suppone che siano stati inventati dall’uomo per non affrontare il mare aperto e ridurre i rischi al minimo.
I più antichi documenti esistenti ne rilevano la presenza sul litorale abruzzese già intorno al 1240 d.C. I trabocchi sono vere e proprie architetture frutto dell’ingegnosità umana tramandata oralmente per secoli ma mai trascritta: mai un disegno o calcoli furono rinvenuti a comprovarne l’esistenza, ma di certo gli antichi traboccanti erano degli impavidi costruttori, che seppero portare la struttura del trabocco alla perfezione, studiando le basse maree, le lune, il mare e la sua vita. Alquanto vaghe anche le informazioni sull’etimologia di “trabocco” che, se
da un lato si pensa possa derivare dal termine latino trabs che significa legno o albero o casa, dall’altra la tecnica di conficcare pali tra gli scogli “attraverso buchi” sembra più attendibile. C’è poi chi sostiene che altro non sia che il “trabocchetto”, che si tende al pesce. Insomma, il mistero che alleggia intorno a queste antiche macchine sembra irrisolvibile, ma
di certo le nostre coste ne sono ricche, soprattutto quelle abruzzesi e pugliesi, anche se non ne mancano esempi in molte altre regioni.
I trabocchi, in genere, sono situati totalmente in acqua e collegati alla terra ferma per mezzo di una passerella trasversale. Lunghi bracci di legno detti pennoni che protendono verso il mare costituiti da “antenne” e da ”antennine”, che servono per sorreggere i quattro angoli della grande rete, detta bilancia, calata e issata con l’aiuto di un grande argano al centro della piattaforma. La cabina in legno, originariamente utlizzata per potersi riparare in caso di maltempo e da magazzino per le attrezzature, oggi sprigiona profumi intensi poiché agli attrezzi si sono sostituite padelle e casseruole e ai pescatori si sono affiancati abili mogli e ottime cuoche. D’Annunzio stesso ne rimase ammaliato, definendoli “ragni colossali” nell’opera “Il Trionfo della morte”.
I trabocchi sono stati per secoli sostentamento per intere generazioni di pescatori, che se li sono tramandati di padre in figlio. Da “macchine da pesca” efficienti e prospere si sono trasformati, nel tempo, in elementi architettonici che valorizzano l’aspetto estetico e paesaggistico del territorio in cui sono ancorati. Hanno dato vita a suggestivi ristoranti dai panorami incredibili e dai colori suggestivi, che suscitano grandi emozioni e indimenticabili serate in cui gustare sapori unici e genuini direttamente dal mare. Oggi i trabocchi vengono utilizzati per
rivalutare, con un tocco di tradizione, la cultura gastronomica delle nostre coste.
Queste antiche palafitte da pesca sono un esempio di come la ristorazione possa ammaliare unendo i tradizionali piatti a base di pesce, pescato al momento, con la valorizzazione dell’ottima materia di terra lasciando un’indimenticabile esperienza gastronomica abbinata a un’indelebile esperienza emotiva.
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