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I Paccasassi di Rinci. Territorio e tradizione in una pianta

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a cura di Chiara Mariani

L’acqua azzurra che riflette il verde del Conero, le risate dei bagnanti, una vela che avanza lentamente all’orizzonte e il sale che tira sulla pelle. Una donna farcisce la focaccia per i nipoti, qualche fetta di mortadella e un tesoro locale offerto direttamente dagli scogli: i Paccasassi.
Questa è una scena impressa nella memoria degli over 35 marchigiani, soprattutto anconetani. La raccolta indistinta di Paccasassi, però, ne stava provocando la scomparsa dalle tavole, fino a quando, nel 1987, è stato istituito il Parco Regionale del Conero. Qui queste erbe, ormai protette, nascono spontaneamente e caratterizzano il litorale.
Nel 2015, tre giovani imprenditori hanno deciso di riportare la tradizione in vita e di usarla per raccontare il Conero al resto del mondo. Nasce così Rinci, un progetto tutto dedicato alla riscoperta e alla conservazione dei gusti e dei sapori della riviera marchigiana.

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Alessandro, socio fondatore insieme a Luca e Francesco, e Claudia, appassionata responsabile della comunicazione di Rinci, ci hanno raccontato come sono passati dalla nostalgia alla pratica:
Qui in zona i Paccasassi sono un prodotto locale da sempre, da quando Ancona era una Repubblica Marinara e i marinai li portavano sulle barche per utilizzarli come anti scorbuto, essendo
ricchi di vitamina C ed E. Venivano conservati nei barili con l’acqua di mare. Anche nel King Lear di Shakespeare e in Moby Dick di Melville se ne parla.
Questo finocchio marino è sempre stato soggetto a una raccolta indiscriminata. Nell’Anconetano crescono principalmente sul Monte Conero attaccati alla roccia, quindi, quando vengono raccolti, si toglie anche la radice e non crescono più e per questo motivo, negli anni, è diventato necessario proteggerli. Le nostre nonne, fino all’inizio degli anni ‘90, li consideravano come erbe di campo, che venivano raccolte e messe sott’olio o usate fresche. Luca, Francesco e Alessandro erano nostalgici di quel sapore scomparso e hanno deciso di provare a coltivarli”.

 

Quali sono le tappe che avete seguito per “addomesticare” una pianta selvatica e renderla adatta alla coltivazione?
Abbiamo raccolto i semi dai fiori dei paccasassi spontanei, senza raccogliere la pianta e abbiamo provato a farli germinare. Prima in un campo e poi in un altro. Abbiamo fatto tentativi in serra, poi abbiamo provato a fare talee e ci sono voluti in totale due anni per trovare il terreno e le modalità giuste per far crescere la pianta. Coltiviamo completamente in biologico e dopo le difficoltà iniziali, abbiamo scoperto che è una pianta resistente e coriacea.
Inoltre non ha bisogno di molta acqua. Per noi era prioritario coltivarla all’interno del Parco Regionale del Conero, in quanto simbolo di questa zona di cui il prodotto vuole parlare. Stiamo anche creando un’associazione tra produttori per inserirlo come vincolo produttivo e creare uno standard qualitativo, che è il primo passo per ottenere delle certificazioni IGP o DOC. Un primo
riconoscimento è arrivato nel 2016, quando è avvenuto l’inserimento nell’Arca del Gusto di Slow Food; un progetto che, con l’obiettivo primario di tutelare la biodiversità, cataloga i prodotti che appartengono alle culture e alle tradizioni locali che rischiano di scomparire. In tutti gli ecosistemi, quando si perde un elemento è un problema sia per la biodiversità sia per
le tradizioni. I Paccasassi erano scomparsi dalla vita di questo territorio, perché la cultura enogastronomica di una comunità, se non viene coltivata e trasmessa, si perde tra l’innovazione e le novità. Per questo motivo, per noi era una missione riportarli in vita.

Avete avuto un buon riscontro dagli chef del territorio e dal pubblico?
Nella ristorazione locale. i Paccasassi sono stati da subito accolti con entusiasmo e ci stiamo posizionando anche nell’alta cucina fuori regione, dove si fa una costante ricerca di nuove materie prime con cui sperimentare. Nel centro nord in particolare, stiamo riscontrando un buon seguito e ora esportiamo anche in Austria, Svizzera e Stati Uniti, dove le sue caratteristiche
di unicità e fortissima specificità di provenienza rendono questo prodotto esclusivo e simbolo di italianità. Sono tantissimi i modi in cui è stato utilizzato il Paccasasso: inserito in una caciotta, per farci una birra e addirittura candito e messo in un panettone. Un altro mercato con il quale collaboriamo è legato invece alle proprietà benefiche della pianta, che è ricca di vitamina C, acidi grassi e omega3, per cui lo vendiamo all’industria farmaceutica nella versione essiccata per creare degli integratori. Anche con UNIVPM, l’Università Politecnica delle Marche stiamo collaborando per studiare a fondo le sue proprietà e riconoscere il valore che potrebbe avere in campo di nutraceutica.

Come si utilizza il Paccasasso in cucina?
Noi lo mettiamo dappertutto, perchè è molto versatile. È aromatico, con una nota agrumata; si abbina molto bene con i legumi, con il pesce, soprattutto affumicato, sardine e sgombri sott’olio, con la carne e gli affettati, soprattutto con una buona componente grassa, perché l’acidità del Paccasasso pulisce la bocca. Alcuni chef lo propongono con le tartare di manzo o abbinato a stracciatella o burrata, che lo ammorbidiscono, altri ce lo chiedono crudo e non sott’olio per utilizzarlo nelle insalate. Lo proponiamo in diversi formati, il classico sott’olio, la versione
pesto, sia liscio che mixato, con i pomodori rossi, ci facciamo una maionese vegana e una senape e infine lo proponiamo all’interno di sughi per i primi piatti. Alla ristorazione lo vendiamo anche fresco e semilavorato, quindi nello step prima del sott’olio, che è in salamoia. Insomma, letteralmente dappertutto. Il nostro obiettivo è esportare il più possibile, perché attraverso questo prodotto vogliamo parlare del Conero e delle Marche. La nostra regione in passato era quasi del tutto fuori dai circuiti del turismo, con una vocazione rurale e non orientata all’accoglienza, ma da anni c’è attenzione e curiosità verso l’offerta paesaggistica molto varia per il patrimonio enogastronomico e culturale. Oggi le generazioni che negli anni hanno viaggiato tornano nei luoghi d’origine e vogliono contribuire a raccontare, sostenere e far crescere il proprio territorio, e anche noi vogliamo partecipare.

I Paccasassi sono diventati dunque il simbolo della tradizione che va salvaguardata, della peculiarità di un territorio che va preservata e della giovane imprenditoria che, con consapevolezza e amore per le proprie radici, investe nel mondo dell’agroalimentare contribuendo ad attirare interesse verso il proprio territorio, creando un circolo virtuoso che coinvolge diversi settori e dove vincono tutti.

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