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Generazione Mocktail. Storia, tendenze e speranze future in un bicchiere alcol-free

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a cura di Maria Luigia Vurro

Il titanico scontro generazionale che vediamo consumarsi in qualunque ambito, dalla politica alla cultura musicale, dai social media allo sport, si fa sentire anche nei bar: tra le accuse che i Millennials scagliano contro la Generazione Z, ovvero i nati tra il 1996 e il 2009, troneggia quella di essere completamente assorbita dalle dirette Instagram e dai balletti su Tik Tok e di non dedicare abbastanza tempo alla convivialità e alla socializzazione. Sarà, ma le statistiche (almeno quelle anglosassoni) parlano chiaro: nel caso dei cosiddetti Zoomers, potremmo trovarci di fronte alla generazione che ha trovato il modo più alcol-free di sempre per essere conviviale.
Nel Regno Unito, un recente sondaggio dell’associazione Drinkaware mostra che circa il 26% degli intervistati, nella fascia d’età tra i 16 e i 24 anni, non assume alcol in nessuna occasione
conviviale. Un rapporto del Business Insider di qualche anno fa mostra, inoltre, che la Generazione Z assume in media il 20% in meno di alcol rispetto ai Millennials e che il 64% degli intervistati a riguardo si aspetta di bere sempre meno bevande alcoliche una volta diventato adulto.
Ma perché l’ultima generazione in ordine di arrivo sta rinunciando all’alcol?
Secondo un articolo della National Public Health Information Coalition (NPHIC), il motivo dell’astinenza alcolica degli Zoomers risiede in tre motivi fondamentali: controllo della propria
immagine sui social network, priorità di lavoro e studio rispetto alla “socializzazione da bar” e una forte attenzione alla salute fisica e mentale. Non per nulla, il 41% degli intervistati ha addirittura collegato alla parola “alcol” parole come “vulnerabilità”, “ansia” e “abuso”, dipingendo il ritratto di una generazione in cui droghe, sesso e alcol non sono più taboo da infrangere a tutti i costi, ma tutt’al più abitudini (o vizi) a volte per nulla necessarie.
Lungi dall’essere soltanto percentuali a caso, queste statistiche hanno influenzato in maniera significativa il mercato degli alcolici degli ultimi anni. Sempre più produttori di birra e vino stanno optando per introdurre sul mercato bevande completamente alcol free, come le cosiddette birre radler e i vini analcolici, ottenuti dalla raccolta degli aromi naturali del vino e dalla loro nuova immissione nella bevanda ormai privata completamente dell’alcol. Ma a farla da padrone sul mercato internazionale sono da sempre i drink composti da bevande totalmente analcoliche all’origine, i cosiddetti mocktails.
All’apparenza semplici “parodie” dei cocktails alcolici (come suggerisce il prefisso mock, che significa “prendere in giro”), questi drink sono comparsi per la prima volta nelle guide americane di fine Ottocento con il nome di “Temperance Drinks” o “Virgin Drinks”. La loro lunga storia si intreccia inevitabilmente con quello che la storia ricorda come “The Noble Experiment”, ovvero il decreto che proibiva fabbricazione, vendita, importazione e trasporto di alcol in tutti gli Stati Uniti e che diede origine al Proibizionismo; o con il Teetotalism inglese di metà Ottocento, che promuoveva la totale astinenza dalle bevande alcoliche. Nel mondo anglosassone, parallelamente allo sviluppo del contrabbando e alla nascita dei cosiddetti speakeasy, locali clandestini in cui si potevano consumare bevande alcoliche nel totale anonimato, cominciarono a diffondersi i Temperance Bars, locali del tutto legali e foraggiati dalle associazioni religiose e laiche proibizioniste, in cui gli avventori potevano bere esclusivamente prodotti analcolici. Furono proprio questi locali a proporre al grande pubblico americano e inglese bevande come la Coca Cola e il Vimto, un soft drink a base di succo d’uva, lampone e cassis arricchito con erbe e spezie, o drink come la Cream Soda o il Dandelion and Burdock, diffusissimi ancora oggi.
La leggenda di molti soft drinks e mocktails è giunta fino a noi dal cinema e dalla letteratura contemporanei, ma il più famoso di tutti rimane lo Shirley Temple. Si vociferano due storie principali sulla sua origine: qualcuno dice che questo drink, composto da ginger ale, granatina, limone e ciliegia al maraschino, sia nato al Chasen’s di Los Angeles per essere servito all’ex attrice Shirley Temple in persona; altri sostengono che sia stato creato all’hotel Royal Hawaien di Waikiki, nelle Hawaii, sempre in onore dell’attrice bambina più famosa al mondo.
Quel che è certo è che la stessa Shirley Temple odiava questo dolcissimo mocktail, tanto da portare in tribunale un’azienda americana che ne aveva iniziato la vendita in bottiglia nel 1988. L’ex attrice vinse la causa nella speranza che il mocktail tanto detestato cambiasse nome, ma non c’è locale negli Stati Uniti e nel mondo in cui non si possa ordinare uno Shirley Temple, anche nelle sue versioni alcoliche (Dirty Shirley e Shirley Temple Black, rispettivamente con rum bianco e nero).
Il successo dei cosiddetti Temperance Bars non sembra essersi mai esaurito nel mondo anglosassone, anzi. Nell’ultimo quinquennio, negli Stati Uniti e nel Regno Unito i bar alcohol-free sembrano spuntare come funghi e riscuotere un grande supporto pubblico da parte dei più giovani e delle associazioni che promuovono uno stile di vita alcohol-free. Progetti come quello di Linda Thompson e John Zenewicz, che a Rockland nel Maine hanno dato vita al Riot Rcvry, un piccolo business attraverso il quale i due realizzano e vendono mocktails di loro creazione
principalmente allo scopo di accompagnare chiunque voglia smettere di bere nel cammino verso la sobrietà, sono all’ordine del giorno sui giornali statunitensi, insieme alle recensioni sui locali più alla moda di Chicago o di Londra, tutti rigorosamente alcol-free. C’è da sperare che anche la Generazione Z italiana adotti un po’ alla volta il concetto di “divertimento
analcolico”: dati del Ministero della Salute indicano che tra i minori di 15 anni italiani è largamente diffuso il binge drinking, e che circa il 25% dei giovani tra i 18 e i 24 anni vittime di incidenti stradali nell’ultimo anno guidavano in stato di ebbrezza. Con dati simili, verrebbe da sperare che la cultura dei mocktails giunga nel nostro Paese sotto forma di trend del momento, per poi prendere le sembianze di un efficace strumento di contrasto al nostro pessimo rapporto con l’alcol. E che lo faccia il più presto possibile.

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