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L’Éclair, il più italiano fra i dolci francesi

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a cura di Marco Furmenti

Fa parte della nostra cultura sedersi al tavolino del bar e discutere di cucina: “Beh si, la cucina francese è storia, ma vuoi mettere quella italiana? Magari possiamo lasciargli la pasticceria”. Uno a uno, palla al centro: in Europa la cucina è italiana e la pasticceria è francese, su questo non si discute… o forse no.
La pasticceria francese è unica al mondo, maestra di gran parte delle altre tradizioni europee e d’oltreoceano e non di meno ci sono quei due o tre prodotti che ormai la identificano ovunque: il macaron, il croissant sfogliato e non meno importante il binomio bignè/èclair, che condividono parte del processo di produzione.
E se avessimo qualche dubbio su queste ultime due ricette? Anche in questo caso, la storia ci viene in soccorso o meglio, disturba quell’immagine classica dell’origine francese della pâte à choux, cioè la base con cui vengono realizzate entrambi i prodotti.
La leggenda, se così possiamo chiamarla, risale ai tempi di Caterina de’Medici, che convogliata a nozze con Enrico II di Valois nel 1533, decise di portare con sé in Francia anche la sua squadra di pasticceri, tra i quali spiccava un certo Popelini, purtroppo poco conosciuto nella nostra penisola ai giorni nostri. Allievo del Maestro Pasticcere della casata dei Medici Penterelli, Popelini imparò a sua volta l’utilizzo di una pasta calda ad uso dolce che portò con sé alla corte francese.
Curiosità vuole che il termine con cui viene identificata oggi questa preparazione, cioè pâte à choux, sia nient’altro che il risultato di un lungo passaparola che ha causato, come nel famoso gioco del telefono, la storpiatura del termine inziale con cui veniva definita cioè pâte à chaud (pasta a caldo) in quanto la sua realizzazione prevede l’utilizzo del fornello.
Volendo fare un altro paragone, in Campania la choux francese è diventata col tempo sciù, che sono ancora una ricetta tradizionale molto vicina ai bignè, che invece sembra derivare dal francese bignet che indica invece una pasta fritta sia ad uso salato che dolce. Insomma c’è molta confusione fra storia, leggenda e tradizione e venirne a capo sembra quasi impossibile.
E l’éclair? Forse questa ricetta è molto più francese del bignè e se ne deve la paternità a un pasticcere, Marie-Antoine Carême che, a cavallo del XVIII secolo, perfezionò la ricetta della pâte à choux e sviluppò l’antenato dell’éclair, farcendolo con crema pasticcera o crema chantilly.
Solo però a partire dalla metà dell’ottocento, questo termine diventò d’uso comune sia in Francia che in Inghilterra, per indicare questo mignon ripieno e la prima ricetta codificata in inglese risale al 1884, presente nel volume Boston Cooking School Cook Book di Mrs. Lincoln.
Se la parola bignè ci aiuta, o comunque può indirizzare la nostra ricerca di un possibile antenato, la parola éclair ci dice molto poco. Il Dizionario Academico Francese (Dictionnaire de l’Académie française) cerca di dare una risposta all’origine di questo nome, suggerendo un’interpretazione abbastanza generica di un vocabolo tipico della pasticceria che indica una specie di dolce alla crema, così chiamato perché si mangia in un attimo (éclair tr.= fulmine lampo, rapido, saetta): definizione ambigua e molto generica a dire il vero. Sembra assai difficoltoso trovare l’origine di uno dei dolci più amati e che negli ultimi dieci anni sta attraversando un periodo di nuovo splendore, tanto da essere diventato protagonista di nuove catene di pasticceria francese e di aver ritrovato il posto che merita accanto a mostri sacri come il pluripremiato e imitato macaron. Sta di fatto che, tralasciando miti e leggende, questo prodotto ha effettivamente più anni sulle spalle di molti altri suoi conterranei tralasciando anche la sua presunta matrice italico-fiorentina.
Accontentiamoci per il momento di godere di questo straordinario prodotto, di tutte le migliaia di sfumature gustative di cui è protagonista sia per ripieno sia per copertura. Chissà se fra qualche tempo l’èclair non possa prendersi un posto nell’Olimpo della pasticceria mondiale accanto ai suoi fratelli di pâte à choux come il bignè, il croquembouche e gli intramontabili profitteroles

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