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Design Week e Social Warming: l’evento di design e food di Martì Guixè e chef Marco Ambrosino

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Si chiama “Social Warming” l’evento organizzato al ristorante 28 Posti di Milano in occasione della Design Week. Un designer della scena internazionale, Martì Guixè, e lo chef Marco Ambrosino per una cena-manifesto a quattro mani.
Una serata in cui sia gli oggetti di design che il menu hanno rielaborato in chiave simbolica i concetti di sostenibilità ambientale, economica e sociale, per dimostrare come attraverso un modello di ristorazione sostenibile sia possibile contribuire positivamente alla lotta allo spreco alimentare.
Soprattutto, incidere con messaggi concreti sulla possibilità di cambiare le abitudini dei consumatori.
Il progetto è stato realizzato in collaborazione con gli studenti del Master in Food Design and Innovation della Scuola Politecnica SPD: giovani chiamati a partecipare a una call progettuale legata al tema della cena e ai concetti portati sulla tavola del 28 Posti: identità, equilibrio, trasparenza, incontro e origine.
Un menu abbinato a degli oggetti che, insieme, hanno invitato i commensali a riflettere su come si può utilizzare quello che avanza, per quanto tempo si può consumare e chi
e cosa stabilisce che non può essere consumato. Ma non solo.
Perché si sbaglia chi pensa che si sia trattato di uno dei “soliti e banali” eventi di food design. E proprio dal food design siamo partiti per farci raccontare il format direttamente da uno dei due protagonisti, chef Marco Ambrosino.

Marco, cosa significa food design?
“Ti posso dire cosa significa per me e per Martì, perché food design è un concetto abusato e che, soprattutto, ha molte interpretazioni personali. Nel nostro caso, in questo progetto, siamo usciti un po’ dalla concezione più diffusa di Food Design. Martì Guixè è una persona che ha sempre portato il cibo in una dimensione di forma, ha sempre avuto una visione molto laterale. In questo caso abbiamo voluto dare vita a degli oggetti che accompagnassero il cibo; non come contenitori del cibo, ma oggetti che insieme al piatto, al cibo, potessero essere complementari alla veicolazione di un messaggio. Da qui il titolo dell’evento, Social Warming. È un po’ una chiamata alle armi di persone che si attivano; e il cibo e questi oggetti diventano spinta, diventano messaggio e mezzo. Perché è un’esperienza molto tattile, ci sono degli oggetti che bisogna tenere in mano mentre si mangia, ma che non servono per mangiare…”.

Raccontaci uno di questi oggetti.
“Quello che secondo me è stato di maggior impatto è un’impugnatura. È stata realizzata prendendo dei calchi di mani. Incrociando tutti i calchi è nato questo oggetto che, appoggiato sul tavolo, non si capisce cosa sia. Non lo abbiamo nemmeno raccontato, spiegato, ai commensali. Perché mentre le persone mangiavano dovevano cercare di capire cosa fosse. E ognuno a un certo punto ha trovato la sua forma nella mano. L’obiettivo di questo oggetto è quello di spingere le persone a essere disponibili alla scoperta, al trovare il messaggio che non è immediatamente evidente”.

È anche un po’ un gioco…
“Assolutamente, anche perché l’esperienza del ristorante in sé, che sia un pranzo o una cena, è un momento ludico. Dunque non dovrà mai diventare un momento di pesantezza, nemmeno nei messaggi che in tavola e a tavola si possono dare. I messaggi però devono essere utili. Ed ecco allora l’idea di scoprire messaggi attraverso il gioco. Quello che abbiamo voluto fare è trascorrere insieme un momento di leggerezza ma nello stesso tempo portando il rilievo dei messaggi”.

Che legame c’è tra te e Martì Guixè e quale è stato il ruolo degli studenti?
“I titolari del 28 Posti hanno da sempre partecipato e organizzato tantissime attività, anche in altri ambiti extra ristorazione, di design. Grazie a questa loro passione e coinvolgimento è nato un rapporto di collaborazione con la Scuola Politecnica, e abbiamo conosciuto Martì, che è una delle punte di diamante tra gli insegnanti della scuola. Martì ed io in verità ci siamo incontrati a tavola. È venuto al ristorante, ci siamo conosciuti ed è nata questa idea. Lui era incuriosito dal nostro lavoro, noi lo conoscevamo per fama. All’inizio semplicemente abbiamo pensato di fare qualcosa insieme, io con la cucina e lui con il design. Poi l’idea si è evoluta: Martì ha pensato di coinvolgere una delle sue classi e di trasformare il nostro progetto quasi in un compito per la classe. Visto che il focus era quello di un gruppo di persone che si attivano per provare a cambiare qualcosa, abbiamo voluto vedere come questi ragazzi leggevano e interpretavano i temi, i concetti, di identità, equilibrio, trasparenza, incontro e origine, al fine di portarli a tavola, nella ristorazione, attraverso il design. La classe è stata suddivisa in gruppi di lavoro, su supervisione di Martì che ha dato le linee guida. Così sono nati degli oggetti e, tra questi, abbiamo scelto le creazioni che meglio si adattavano. Alla cena, tre oggetti fatti dagli studenti sono stati affiancati ai quattro creati da Martì”.

Abbiamo parlato del food e del design. Arriviamo al terzo tema, il messaggio chiave: la sostenibilità e la ristorazione sostenibile.
“Anche sostenibilità, come design e food design, è una parola abusata, e spesso le si dà un’accezione che non è quella reale. Parto subito da un punto fermo: nella ristorazione di sostenibile non c’è nulla! Dalla giornata lavorativa fino ad arrivare all’effetto, al risultato, del nostro lavoro, nulla è sostenibile. Perché i presupposti della ristorazione sono completamente opposti al vero concetto di sostenibilità. Detto questo, quello che può e deve fare la ristorazione è cominciare a veicolare dei messaggi”.

In che senso e in che modo?
Un ristorante come il 28 Posti, che è peraltro relativamente piccolo, può attuare tutte le buone pratiche che vuole, ma da solo non risolverà nulla. La cosa allora davvero fondamentale è che queste buone pratiche arrivino come messaggi veicolati attraverso i piatti, e non solo. Il prodotto del nostro lavoro deve farsi moltiplicatore di questo messaggio di sostenibilità. Alle persone che vengono a cena, senza annoiarli e trovando le giuste misure, deve essere trasmesso il messaggio che è possibile fare una ristorazione diversa, è possibile mangiare in maniera diversa, e, soprattutto, che è possibile fare attenzione a questi temi senza necessariamente fare delle penitenze.
L’idea comune è sempre quella che per salvare il pianeta devo privarmi di qualcosa. Questo privarsi di qualcosa, chiaramente fatto a livello amatoriale, diventa una negazione, ma fatto da dei professionisti può diventare una cosa piacevole. Poi, di sostenibilità parlando, ci sono ovviamente mille altri temi legati alla ristorazione: la sostenibilità della vita delle persone che lavorano nella ristorazione, della vita di chi produce le cose necessarie alla ristorazione… è un tema estremamente ampio. Iniziare a far riflettere le persone grazie al nostro lavoro, e attraverso esso, però, è qualcosa che si può fare. Ed è anzitutto necessario smentire l’opinione che una vita più sostenibile sia necessariamente rinuncia!”.

Equilibrio è uno dei temi di “Social Warming” e in questo concetto è un termine fondamentale: impariamo a cambiare le nostre abitudini con equilibrio, in modo che non diventi privazione…
“Esatto. Infatti una parola come equilibrio, che è un termine moderato, in questo contesto diventa un termine rivoluzionario, perché significa bilanciare in maniera pensata le risorse, le persone, l’approccio che abbiamo a questi ambiti. Equilibrio in questo caso è proprio una parola perfetta!”.

Continuiamo allora a giocare coi concetti legati al tema della cena e parliamo di identità e di origine. Immagino siano due parole legate anche alla tua filosofia di cucina…
I concetti di identità e origine sono estremamente centrali oggi, sia come tema generale che nel contesto storico. Ormai quasi quotidianamente si parla di problemi e di dinamiche legate all’identità. L’identità viene sempre considerata qualcosa di immobile, mentre abbiamo una storia che ci racconta… Le nostre identità non sono per nulla immobili. La stessa cosa vale per le origini, che sono, da secoli, sempre rappresentate da un’immagine: le radici, qualcosa che è fisso nella terra e da cui poi nasce e cresce tutto il resto. La verità è che noi di volta in volta possiamo decidere qual è l’inizio delle cose e, inoltre, l’inizio molto spesso non c’è, perché è un insieme di tanti passaggi, è figlio di una mescolanza, di un meticciato, quel meticciato che in realtà è la fortuna del Mediterraneo, perché è quello che ha dato vita alle grandi città, ai grandi porti, al nostro immenso patrimonio culturale. Voler necessariamente dare delle indicazioni di inizio di qualcosa non fa altro che restringere e preservare un piccolo orticello. Ma noi dobbiamo cercare di allargarlo quell’orticello, perché proveniamo da una mescolanza e se vogliamo difendere le nostre “origini” dobbiamo mantenere e custodire questa mescolanza: perché è esattamente quello che siamo sempre stati. Ecco, noi cerchiamo di raccontare questo con la cucina, noi narriamo le storie del Mediterraneo con una cucina contemporanea, ma attingendo non tanto dalle tradizioni gastronomiche quanto proprio dalle dinamiche antropologiche che hanno regolato il Mediterraneo fino ai giorni nostri, cercando di ridisegnare gli anni che verranno. Un futuro che va guardato con una consapevolezza: oggi che le tecniche sono a portata di mano, grazie a Internet e alla tecnologia, abbiamo la possibilità di portare in tavola, nei nostri piatti, un valore davvero aggiunto. Quel valore non è altro che riuscire a dare qualcosa in più, in termini di messaggi di riflessione. E lo possiamo fare attingendo da altri ambiti, come, appunto, possono essere l’arte o il design, ma anche la musica, la fotografia… è importante cogliere questa occasione, perché oggi grazie all’interconnessione, che può essere anche un semplice post Instagram, possiamo partecipare al dibattito globale sul cibo in tempo reale. È un’opportunità che nessun altro ha avuto in tutta la storia!”.

IL MENU DELLA CENA
– Pomodoro alla brace, skordalia di mandorla, limone, tartufo
– Ostrica, Marsala di pomodoro, olio al lentisco
– Spaghettini, acqua di pasta fermentata, miso di legumi
– Ombrina cotta nel burro alle rose, curry verde mediterraneo, zucchine fermentate, kinchi di fiori di zucchine
– Agnello, melanzana affumicata, harira e limone sotto sale, bouquet di erbe all’incenso, insalata

GLI OGGETTI DELLA CENA SOCIAL WARMING LE CREAZIONI DI MARTÍ GUIXÉ:
HAND OF THE FARMER – Una mano realizzata in ceramica, contenente i semi utilizzati nel piatto dello chef, rappresenta la scelta di produttori e filiere alimentari sostenibili.
MEDITERRANEO – Una mappa del Mar Mediterraneo rappresenta il bacino di culture vicine e lontane che possiamo attraversare grazie ai piatti del “28 Posti”.
COMMUNICATOR – Un cono su cui troviamo appesi dei messaggi per gli avventori del ristorante che riportano i temi in discussione.
CHROMABALL – Una palla di legno che contiene tutti i colori degli ingredienti del piatto che accompagna, in cui il nero rappresenta la percentuale di quello che sarà scartato, il meno possibile. I progetti degli studenti del Master in Food Design And Innovation della Scuola Politecnica di Design:
#SOCIAL WARMING – Un oggetto in legno che ogni commensale impugna come un totem in segno di adesione al progetto Social Warming. Afferrando l’oggetto, la scritta Social Warming in rilievo sulla sua superficie si trasferisce alla mano degli ospiti e ricorda loro il significato di “riscaldamento sociale”: la consapevolezza del potere dei gesti individuali e l’invito a stare insieme per raggiungere obiettivi comuni.
TRUST THE PROCESS – Un doppio bottone che invita gli ospiti a rimanere immobili o decidere di partecipare al cambiamento. Si tratta di una scatola composta da due pulsanti con icone che rappresentano la cecità e la vista. Mangiando ciò che viene presentato sul pulsante, si interiorizza il suo messaggio, che ci invita a chiudere un occhio su quanto succede nel mondo o ad aprire gli occhi riflettendo su ciò che ci circonda. 10% – Due sfere in vetro simboleggiano l’importanza del risparmio d’acqua derivante dalla dieta mediterranea, il 10% più sostenibile di una dieta normale. La sfera blu, che costituisce il 10% della sfera di vetro, indica la quantità di acqua risparmiata per la produzione di ingredienti in agricoltura e zootecnica.

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