Chef Crippa, tra le Langhe e le stelle Michelin

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Ha conquistato tre Stelle Michelin in meno di sette anni. Un record, e un orgoglio che profuma di tricolore quello di Enrico Crippa, chef pluripremiato del ristorante Piazza Duomo, ad Alba. Un locale esclusivo in cui si respira il profumo delle Langhe, una zona d’Italia dalla tradizione culinaria unica nel suo genere. Castagne, funghi, tartufo bianco d’Alba, Nocciola tonda Gentile e tanti altri prodotti che continuano a fare la storia della cucina italiana.

Chef Crippa “legge la tradizione nella maniera più maniacale possibile”, si occupa di cucina anche al di fuori della stessa, quando ricerca e sceglie personalmente gli ingredienti da inserire nei propri piatti. In quei capolavori che lo hanno reso celebre in tutto il mondo. L’attenzione alla qualità degli alimenti, le centinaia di varietà di verdure, e la composizione cromatica (perché “la vista è il primo senso con cui un piatto viene assaporato”), fanno di Crippa uno dei maggiori creativi in circolazione.

Chef, ci racconti la sua giornata tipo da Piazza Duomo.
“Inizio molto presto al mattino, quando subito dopo l’alba vado all’orto. Aiuto gli ortolani a raccogliere quello che mi serve per il servizio di pranzo. Una volta terminato il raccolto, è il turno del pescivendolo, dal quale vado tutte le mattine a selezionare il pesce personalmente. Intorno alle 9.30 entro ufficialmente in cucina e con i ragazzi inizio a preparare la mise en place per il servizio di pranzo, che si dilunga fino alle 16 circa. Nel pomeriggio, se riesco, cerco di ritagliarmi un po’ di tempo per farmi un giro in bicicletta. Una volta tornato al ristorante mi immergo nelle preparazioni per la cena e non alzo la testa fino alla fine, di solito intorno alla mezzanotte. Approfitto poi dell’adrenalina rimasta a quell’ora per fare ancora due chiacchiere con la mia compagna che mi aspetta a casa”.

Quanto c’è dell’esperienza in Francia e in Giappone nella sua cucina?
“Sono elementi chiaramente visibili in filigrana nel mio lavoro, non solo dal punto di vista dei gusti, ma anche da quello dell’organizzazione e della vita in cucina a 360 gradi. In ultimo, rimane ciò che voglio io. Anzi, ciò di cui ho bisogno. Anche se parto da ciò che mi offrono l’orto e questo territorio, c’è un momento in cui emerge la mia idea, la mia personalità: se questo venisse a mancare, diventerei incapace di trasmettere l’energia che si genera quando cucino per i miei ospiti”.

Che ruolo ha rivestito Gualtiero Marchesi nella sua crescita professionale?
“Abbiamo da poco ampliato gli spazi di Piazza Duomo con una cucina interamente dedicata ai lavori di mise en place e la scorsa settimana l’abbiamo completata con il ritratto (realizzato su mia richiesta da Gianluca Biscalchin) di Gualtiero Marchesi. Questo proprio perché il suo ruolo, nella mia carriera e nella mia vita in generale, è stato di primaria importanza. Da lui ho potuto imparare la tecnica e lo stimolo alla creatività, il rigore e la disciplina necessari nella cucina di un ristorante, forse gli ingredienti che più sono fondamentali per la buona riuscita di un piatto, oltre alla cultura del buono e del bello”.

Si parla molto di tradizione abbinata all’innovazione: come queste due caratteristiche coesistono da Piazza Duomo?
“La tradizione gastronomica piemontese è una delle più antiche e più ricche d’Italia, basti pensare a tutti gli antipasti serviti all’inizio di un buon pranzo in Langa e soprattutto alla varietà e alla qualità materia prima. Fatta questa premessa, ho deciso di seguire una linea di lavoro ben precisa: approfittare al meglio di tutto ciò che mi circonda, leggere la tradizione nella maniera più maniacale possibile e poi mettere mano alle ricette tradizionali assecondando la mia personalità”.

Quanto sono importanti i colori in un piatto?
“Tantissimo, la vista è il primo senso con cui un piatto viene assaggiato. Ed è quindi il primo che va colpito nel migliore dei modi possibili. In Giappone ho imparato la pulizia, l’eleganza e la coreografia nella creazione dei piatti, di mio ci metto i colori. Ci sono degli ingredienti che non hanno bisogno di essere arricchiti, come i Gamberi di Sanremo, i pomodori o la barbabietola, semmai li esalto con qualche fiore della stessa tonalità. Altri, che di loro natura sono un po’ più scarichi, prendono vita nei piatti grazie a una malva o a un tagete”.

Ci parli delle Insalate “numeriche”. Come è nata questa idea?
“L’Insalata 21…31…41…51 è nata poco tempo dopo l’apertura del ristorante. Agli inizi dovevo farmi conoscere, avevo creato perciò un bel menù ricco di scelte alla carta, c’era la carne, il pesce e non mancavano le verdure. Puntualmente, le giovani signore attente alla linea facevano richiesta di una semplice insalata. Ovviamente soddisfacevo le loro richieste, ma con tutte le prelibatezze che uscivano dalla cucina, l’insalata frenava (in parte) la mia creatività. Decisi così di servire l’insalata nel menù, ma doveva essere la più buona del mondo, stagionale e ricca (21…31…41…51 il numero di ingredienti che aumentano seguendo il ritmo delle stagioni). Col tempo abbiamo portato avanti anche il progetto dell’orto che ci permette di avere, nella stagione migliore, fino a 130 vegetali diversi all’interno dell’insalata”.

I fornitori del ristorante Piazza Duomo sono tutti locali, gli stessi ai quali si affidano le grandi trattorie. Quello delle Langhe è un terreno “fertile” per chef e cuochi?
“Non c’è cosa più facile per un cuoco che cucinare nelle Langhe. Questo angolo di Piemonte è rinomato in tutto il mondo per la varietà e la qualità dei suoi prodotti eccellenti: la carne di Fassona, la nocciola Tonda Gentile, le castagne, i funghi, il Tartufo Bianco d’Alba, il cappone, il coniglio, il burro di panna fresca, le patate d’Alta Langa, il cardo gobbo di Nizza, i topinambour, le rape bianche. Noi lavoriamo con prodotti del territorio, in contatto diretto con i nostri fornitori di fiducia: la maggior parte di ciò che utilizziamo in cucina viene da un raggio di qualche decina di chilometri. Sono i prodotti locali a guidare la mia mano: il manzo di Langa, per esempio, con la sua carne magra e non marezzata, è perfetto per la battuta di carne cruda. Fin qui, questi sono gli stessi principi che ispirano il lavoro di una grande trattoria”.

Mentre tutto il verde viene dall’Orto di Piazza Duomo. Sempre merito del periodo passato in Giappone?
“Non solo, diciamo che l’orto è il luogo ideale dove convergono tutte le mie esperienze precedenti: sicuramente gli anni trascorsi in Giappone e quelli a fianco di chef del calibro di Gualtiero Marchesi e Michel Bras. Nell’orto però ritroviamo anche la tradizione orticola locale, con particolare attenzione alla fitoalimurgica piemontese”.

Tre stelle Michelin in sette anni. Dove può portare questa tripla conquista? Qual è il prossimo obiettivo?
“La conquista di un così alto riconoscimento in breve tempo è una soddisfazione grandissima per me e per lo staff di Piazza Duomo, oltre alla famiglia Ceretto che ha sempre creduto nel progetto. Il prossimo passo è sempre quello di migliorarsi e tenere costante la qualità dell’offerta gastronomica, e dell’esperienza in toto, a Piazza Duomo”.

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