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Alessandro Gavagna: La Subida e la tradizione per scelta

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Tra i boschi e le vigne del Collio Goriziano c’era una volta una semplice osteria di famiglia che offriva rane e gamberi: il sogno, immerso nel verde, di Josko Sirk e di sua moglie
Loredana. Quell’osteria che offre piatti veloci e legati alla tradizione è La Subida, che però oggi vive accanto a un country resort e a una trattoria stellata, perché se ai sogni ci credi, poi diventano grandi.
Qui il mondo slavo incontra le origini contadine friulane, la latinità: una tradizione culinaria a cui Josko e Loredana hanno voluto dare nobiltà, che poi ha abbracciato l’estro
quando nella cucina della Trattoria è arrivato Alessandro Gavagna.

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“Josko – racconta lo chef –mi lasciò la direzione della cucina a una condizione: il 50% del menu doveva restare tradizionale e l’altra metà poteva essere più fantasioso, ma sempre un’evoluzione di ricette della tradizione, fatte il più possibile con prodotti del territorio”.

Una bella sfida per un cuoco “meticcio”: nato in Umbria da mamma friulana e papà emiliano. Sfida ancor più divertente quando il primo amore in cucina fu (e soprattutto rimane) la pasta fresca, in una terra come quella friulana, regina di minestre e gnocchi ma non certo di pasta!
Alessandro sorride se glielo ricordi. Alla sua tavola, a distanza di quasi 20 anni da quella promessa fatta a Josko, i piatti profumano ancora di storia: gli gnocchi di susine, la selvaggina, la brovada, il cotechino… L’estro certo ha portato all’evoluzione dei piatti, la contaminazione di anni di esperienza nelle cucine del mondo ha lascito il segno, ma il segreto del carattere peculiare de La Subida sono i profumi e i sapori della cultura gastronomica di un territorio che non vuole e non deve essere dimenticata.

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“Sì – conferma Alessandro – non abbiamo mai voluto snaturarci. La Subida è nata con questo legame e ci ha fatto diventare forti. Se a 27 anni pensavo che il dover guardare solo alle ricette del territorio e fare reinterpretazioni fosse un limite per la mia cucina, quasi una cosa impossibile da fare, oggi dico che è stata la nostra più grande fortuna, perché ci ha reso non paragonabili. Addirittura passiamo oggi per grandi innovatori, ma in verità stiamo solo mantenendo in vita la tradizione. Anche le ricette che proponiamo di carne con la frutta, come ad esempio il cervo con i mirtilli o la faraona con le pesche, oggi è una novità, ma nel Medioevo, nel mondo austrungarico questi abbinamenti erano quotidiani; poi certo oggi la frutta la servo cruda perché dona maggiore freschezza
al piatto, ma è solo reinterpretazione di una cultura, e un modo per ricordare che il Friuli è stato un luogo di passaggio di diverse etnie, ognuna delle quali ha lasciato il segno, tramandando una cultura gastronomica vasta”.

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Raccontaci l’evoluzione di questa tradizione.
Il gioco è stato quello di alleggerire e rendere attuali le ricette.
Alcuni dei piatti nazional popolari del Friuli erano la brovada col muset e il cotechino. Sono piatti che oggi con lo stile di vita che abbiamo non puoi presentare in un ristorante. E allora per ricordare i sapori di una volta, la brovada è servita in spaghettini con un ragù di cotechino, peraltro in porzione da degustazione o come aperitivo, non in una porzione importante. Un intero piatto diventerebbe stucchevole, così invece è un assaggio dell’acidità e della complessità di questa pietanza storica.
In Friuli poi si usava la pasta buttata, dei pezzetti di pasta con cui si arricchivano le minestre o i brodi in occasione di visite importanti (il prete o il dottore). In casa due uova e un po’ di farina c’erano sempre e si faceva una pastella che poi veniva tagliata in spaghettini con l’aiuto di un imbuto. Io li ho trasformati in “girini”, delle goccioline di pasta fatte con l’aiuto di uno scolapasta, servite asciutte e condite con ingredienti stagionali: d’estate porcini, zucchine e fiori di zucca; in autunno rosa di gorizia (radicchio), salsiccia e melograno; in primavera carne di coniglio, asparagi selvatici, silene e germogli di luppolo.
E l’evoluzione classica della selvaggina è andata verso la pulizia: togliere le salse, sgrassare e lasciare il sapore della carne più naturale.

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Giochi molto anche con gli abbinamenti pesce carne…
Sì, si sposa bene, e durante l’arco dell’anno sviluppo diverse soluzioni: il daino con la tartara di luccio e il carpaccio di albicocca, il capriolo con il salmerino alpino, il cervo con le uova di trota.

Dove hai scovato i segreti delle ricette tipiche di questa terra “di mezzo”?
Josko mi ha detto sin dall’inizio che se volevo davvero capire la cucina locale dovevo andare nelle case delle donne contadine, e così ho fatto. Ancora oggi ho un bellissimo rapporto con 4-5 signore, che oggi iniziano ad avere 85- 90 anni, che sono le custodi del patrimonio culturale della nostra gastronomia. Una delle ricette che mi hanno insegnato è un’evoluzione della iota triestina: la minestra con la zucca acida. Si faceva d’estate: quando le zucchine “scappavano”, le si lasciava crescere di una bella dimensione, si svuotavano dai semi, le si grattugiava e si mettevano a bagno in vino rosso e aceto. Poi si faceva una minestra di fagioli con questa zucca acida. La cosa divertente è che queste donne non avevano ricette scritte, tutti gli ingredienti ad occhio (un cicìn di sale,
un cucchiaio di farina, un pochino tanto che basta…), ed io dovevo interpretare, pesare, tarare ingredienti e dosi e poi scrivere le ricette. Sono state importantissime queste donne. Anche molti dei dolci che ho in carta sono reinterpretazioni di ricette loro.

Base tradizione e prodotti tutti del territorio?
Sì, fin dove è possibile. Cerchiamo di dare continuità alle piccole realtà locali, per la frutta e la verdura, ma anche per i grani. Abbiamo iniziato a lavorare con grani autoctoni con un mercato solidale: un patto di filiera in cui alcuni di noi ristoratori pagano la semina al contadino e veniamo ricompensati in farine di qualità. Così abbiamo riscoperto un grano di mais autoctono friulano come il Ros di Acquileia, ad esempio. Sono cose che danno lustro al territorio, che così ha modo di continuare a raccontare sè stesso.

E intanto continui a viaggiare all’estero per cercare spunti e contaminazioni?
Assolutamente sì. Credo che il tuo modo di cucinare debba essere una scelta e non un limite dettato dalla poca conoscenza. La conoscenza deve essere totale. Ci vogliono tanta curiosità e molta modestia.

E tutta questa cucina innovativa che affascina i giovani cuochi?
Va benissimo se è una scelta. L’importante è non voler volare prima di aver imparato a camminare. Ricordiamoci sempre che tutti i più grandi innovatori sono partiti da una base di cucina tradizionale molto forte. Lo stesso Ferran Adrià aveva una cultura di cucina francese immensa, è partito da lì. Solo partendo da basi importanti poi puoi fare quello che vuoi. E ci vuole anche un grande spirito di sacrificio!

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