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Simone Cipriani. Underground: la scelta “aggressiva” di contribuire al bene delle persone e del pianeta

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La vita è un viaggio fatto di scoperta e crescita. Siamo in costante trasformazione, guidati da un caleidoscopio di esperienze e riflessioni che plasmano continuamente la nostra percezione del mondo e di noi stessi. Ogni nuovo giorno porta con sé la possibilità di apprendere, di superare sfide e di abbracciare nuove prospettive ed ogni passo che compiamo ci avvicina a una comprensione più profonda di chi siamo e di ciò che possiamo diventare. La nostra esistenza, insomma, è inevitabilmente, e meravigliosamente, legata alla nostra evoluzione coscienziale, un percorso sempre in divenire.
Simone Cipriani, che da oltre sei anni abita l’elegante loft gastronomico di Firenze, Essenziale, ha già dimostrato di essere un giovane uomo determinato; mentre infatti il mondo gastronomico tendeva ad aggiungere, lui ha deciso di puntare dritto all’obiettivo del togliere, alla ricerca dell’essenza del gusto. Oggi c’è di più. Oggi è arrivato il momento di aggiungere: nuove sfide e nuove prospettive sull’onda di quella coscienza che è come un fiore che sboccia, con petali che si aprono a nuove idee, conoscenze e connessioni. E così, Underground, che non a caso richiama le espressioni e sperimentazioni culturali o artistiche indipendenti, sta piantando il seme della volontà di far comprendere come la ristorazione possa essere un veicolo per il cambiamento sociale e ambientale. Perché in fondo, come la storia insegna, l’evoluzione si forma sulla non accettazione passiva di principi e dogmi, sulla critica, sulla consapevolezza che la vita si libera e si espande in nuovi territori.
Ma per ripercorrere il viaggio di Simone, dalle cucine del Santo Graal fino a Essenziale e poi allo sguardo rivoluzionario al futuro, occorre partire dall’inizio.

Simone, iniziamo dalla scelta del nome per il tuo progetto ristorativo. Cosa significa Essenziale?
Essenziale è un nomen omen ed è la risposta che diamo a tutte le cose che facciamo all’interno del ristorante. Quando lasciai le cucine del Santo Graal avevo un forte desiderio di dare vita a un progetto ristorativo diverso, creare un nuovo modo di intendere la cucina, il servizio, l’ambiente. Assieme ai miei soci abbiamo iniziato a porci molte domande, come ad esempio se fosse giusto proporre il servizio così come ce lo hanno sempre raccontato e imposto: è essenziale farlo in quel modo o ci sono delle cose più importanti e dunque più essenziali? Così, a Essenziale i tavoli hanno dei cassetti dove ciascun cliente trova le posate, non serve rifare la mise en place e i tempi si accorciano. Il pass in sala, dove i cuochi hanno modo di vivere gli ospiti, e viceversa. Abbiamo cercato di capire cosa fosse essenziale per noi, e anche per i nostri ospiti, per fare una ristorazione più a portata d’uomo.

Nella vostra filosofia di cucina, cosa vuol dire togliere per puntare all’essenza del gusto?
Vuol dire non fare parature inutili ad esempio. Preparare i piatti per un mero esercizio estetico, secondo me, non ha più senso. Bisogna fare i piatti per il gusto del gusto vero.
Spesso e volentieri nelle cucine, anche quelle che si ostentano attente allo spreco, l’attenzione finisce per essere snaturata da un taglio di carne, pesce o verdure con numerose parature che producono un sacco di scarto: materia prima inutilmente sprecata, buttata via. Qui la domanda di partenza è: cosa è superfluo oggi giorno? Le parature sono superflue, tutti i dogmi imposti dalla cucina fine dining sono superflui, come ad esempio il servizio super formale, e i ruoli imposti. Credo che dovremmo fermarci un attimo e ricominciare, utopicamente, a pensarci persone prima di ruoli. La creatività è importante certo, io stesso sono un creativo, uno che ha bisogno di innovazione, ma oggi più che mai cerco la semplicità nella creazione dei piatti. Questo significa appunto uscire dai ruoli; significa che l’elemento predominante nel creare un piatto non è la parte creativa, la parte che dimostra quanto sono bravo, ma la ricerca del gusto, cercare di farlo esprimere al meglio possibile.

La chiamo semplicità creativa, ed è uno dei valori di Essenziale.
Gli altri valori sono empatia, contributo sociale, prestazioni individuali, spirito di squadra, onestà, assertività. Ma c’è anche aggressività, intesa come “traguardi aggressivi a volte più grandi di noi che richiedono la ricerca di motivazione in se stessi per essere raggiunti e il fare un passo alla volta”. È quello che ti ha permesso di arrivare fino a qui?
Credo che questo sia un valore di cui tutti abbiamo sempre più bisogno. Viviamo in un’epoca in cui tutto sembra alla portata di mano ma in verità è effimero e siamo circondati da distrazioni. Abbiamo decisamente bisogno di fissare dei traguardi ben chiari e saldi e cercare di raggiungerli con aggressività. Aggressività è un termine che solitamente ha una valenza negativa; in questo caso significa invece essere realisti e avere il coraggio e la forza per riuscire a raggiungere i nostri obiettivi e sogni. È un valore assolutamente mio, ma anche, e soprattutto, un valore condiviso dall’intera squadra e che cerchiamo di diffondere come ristorante formativo.

Secondo te oggi quali sono gli ingredienti veramente aggressivi per il successo di un progetto ristorativo?
Me lo sto chiedendo da un po’ di tempo. Non esiste un vaccino per la crisi economica e sociale che stiamo vivendo. La fascia media sta quasi scomparendo… Nel nostro piccolo quello che stiamo facendo è fortificare e rinnovare i nostri valori, quelli in cui abbiamo sempre creduto. E oggi i due valori in cui credo di più sono la creazione di una rete sociale e il fare del bene alle persone cercando di renderle coscienti che le loro scelte alimentari contano. Abbiamo fondato un nuovo progetto che si chiama Underground.
Volevamo portare le persone a vedere quello che le parole usate al ristorante durante la descrizione di un piatto non possono raccontare e allora abbiamo pianificato una serie di eventi nelle fattorie e aziende agricole dalle quali ci siamo sempre riforniti. Le persone possono vedere i gesti veri della raccolta di un prodotto e noi cuciniamo in tempo reale gli stessi ingredienti, appena colti. È l’evoluzione di una scelta di approvvigionamento dei prodotti che abbiamo sempre fatto. Perché oggi avere successo non significa più fare il piatto dell’anno; oggi le persone cercano verità e coerenza. Ora più che mai è fondamentale essere coerenti e mantenere credibilità e parità per un rapporto sano e duraturo con i
clienti.

I produttori devono star accanto al cuoco quindi?
No, prima del cuoco. Le rock star del futuro non sono i cuochi, ma i produttori. Perché a parlare di sostenibilità sono bravi tutti, ma il futuro di questo mondo sono coloro che fanno un’agricoltura sostenibile davvero, quindi rigenerativa, attenta soprattutto alle persone e di conseguenza al pianeta.

Underground è un modo per toccare le coscienze quindi?
Il primo atto agricolo che noi abbiamo è l’ingestione del cibo. Se scegliamo di mangiare un cibo sano, quella scelta fa sì che l’agricoltore che produce cibo sano abbia più solidità economica e possa quindi continuare a produrlo. Le scelte alimentari creano un circolo virtuoso: fanno bene alle persone e fanno bene anche al pianeta. Abbiamo parlato di semplicità creativa, di scelte alimentari, di essenza del gusto, di credibilità e coerenza…

Secondo te le persone quando entrano in un ristorante cosa cercano?
Credo che tutti siano diventati più consapevoli. Prima del Covid molti erano ossessionati dagli chef, tutti volevano diventare cuochi; dopo il Covid ci si è resi conto che lavorare in cucina non è una passeggiata e la mania del voler fare questo mestiere è scemata. Anche i clienti sono cambiati in questi ultimi anni. Prima cercavano a tutti i costi il ludico, il divertente, il creativo. Oggi invece cercano la realtà ed è una giusta involuzione. Non importa che tu faccia tradizione o che tu sia creativo, l’importante è che al centro ci sia qualcosa di reale. E torniamo al discorso della coerenza e credibilità.

Tu proponi solo cucina toscana?
Assolutamente no. Il mio palato parla toscano, però ho viaggiato tanto e adoro contaminare la cucina con tante cose. Non credo che i piatti debbano avere per forza una lingua, anzi penso che debbano essere, nel rispetto dei valori di cui abbiamo parlato prima, contaminati il più possibile da tecniche e ingredienti del resto del mondo. Di base quindi certamente i miei piatti parlano toscano, ma poi ci sono le influenze di Paesi che mi hanno segnato, come ad esempio il Giappone… Un po’ di contaminazione è necessaria anche per combattere la noia!

Simone torniamo all’aggressività. Qual è il tuo prossimo traguardo aggressivo?
Il mio prossimo traguardo aggressivo è proprio Underground, che non sarà, almeno per ora, un nuovo progetto ristorativo. È l’evoluzione del concetto di Essenziale. Sono 23 anni che sto
in cucina e dopo tanti anni in cui hai fatto questo mestiere solo per dare un servizio e per appagare un tuo ego, a un certo punto devi spostare il focus. Il focus di Underground, e il mio, è quello di fare del bene alle persone, al pianeta, di far passare un messaggio, potenzialmente influenzando il mercato in maniera positiva.
Ho voglia di spostare i miei valori su cose più reali e importanti, cercando di lasciare il segno, facendo in modo che le persone, dopo aver mangiato ciò che cucino, possano portarsi a casa oltre all’esperienza, anche un pensiero. Sì, il mio obiettivo molto aggressivo e molto utopico è quello di riuscire a fare qualcosa, con Underground, che possa essere d’esempio per le prossime generazioni di cuochi, che possa ispirare i clienti, le persone, a cercare di renderli più attenti al modo che hanno di alimentarsi.

Underground è l’evoluzione della ricerca dell’essenziale ma anche l’evoluzione di Simone Cipriani quindi?
Sì, credo sia proprio così. Underground è un progetto di vita.

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