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Il Sommelier film: la storia di un padre e figlio al profumo di vino

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Netflix lo ha annunciato a marzo infondendo grande attesa e aspettative e in molti, tra appassionati “vinofili” ed esperti, si sono ritagliati una serata di quarantena per gustarsi questo film che prometteva di immergerci nei profumi di mosto e nella poesia di vigneti e grandi bottiglie.
Il Sommelier racconta la storia di Elijah (Mamoudou Athie) un ragazzo che vive a Menphis, dividendosi tra il ristorante di famiglia e la sua passione per i vini.

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Decisivo è per lui l’incontro con Tanya (Sasha Compère), che lo spinge a seguire la sua passione e a iscriversi all’accademia per sommelier. A rendere le cose difficili, però, è il forte contrasto con suo padre Louis (Courtney B. Vance), che aveva progettato di lasciare in eredità al figlio il locale di famiglia.
Al centro di tutta la storia è proprio il rapporto burrascoso e con un’impossibilità di dialogo tra padre e figlio, mentre i personaggi femminili, non solo quello della giovane Tanya, ma anche della mamma di Elijah, Sylvia (Niecy Nash), rappresentano la capacità che hanno le donne di mediare, di sostenere e di guardare oltre.
A parte questo, però, il film scritto, diretto e co-prodotto da Prentice Penny, al suo esordio dietro la macchina da presa, pur scorrendo abbastanza bene, riuscendo anche a coniugare in modo gradevole momenti più leggeri ed altri più struggenti, resta un po’ in superficie, soprattutto per quel che riguarda l’aspetto del vino.
Il film racconta la difficoltà e il coraggio che ci vogliono per fare delle scelte di vita e per inseguire i propri sogni, racconta i sacrifici e le rinunce che necessariamente bisogna compiere per spiccare il volo, racconta anche le sconfitte che insegnano a ripartire con maggiore consapevolezza e l’importanza degli affetti come bagaglio imprescindibile per affrontare tutto. Se le musiche hip hop e R&B di Hit-Boy rendono godibile la visione, svecchiando l’immaginario comune che vuole che al vino si leghino solo musica classica o jazz, manca il profumo del vino, che resta una cornice delle vicende senza però dare allo spettatore quello che forse si aspettava e quello che il
titolo annunciava fortemente.
La sommelieritudine è solo un affascinante pretesto e la capatina in Francia una parentesi breve e anche un po’ ruffiana. Forse il regista è un appassionato di vino o forse ha voluto toccare una corda assai cara, oggi, a tanti winelover sparsi per il mondo, ma che si espone, pur non volendolo, agli inflessibili giudizi di chi è abituato a “vivisezionare” già i vini con fare saccente, e quindi a un inevitabile autogol.
Fatto sta che quello di Prentice Penny, è un film da vedere, e neanche rivedere, in una serata senza troppe aspettative. A volerla dire col linguaggio del vino, è un film abbastanza limpido nella trama, intenso nei sentimenti, poco complesso nella struttura, poco consistente e poco persistente, debole, immaturo, amabile e leggero, fresco e poco tannico, abbastanza armonico…di facile beva

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