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Verbania tra le candidate a Capitale della Cultura 2022: l’intervista allo chef Marco Sacco

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Verbania è una delle 44 città italiane candidate a diventare «Capitale Italiana della Cultura 2022», unica candidata del territorio piemontese, ora tra le 10 finaliste a concorrere per il prestigioso titolo.
Per l’occasione abbiamo incontrato lo chef Marco Sacco, che proprio in questa città non solo è nato e cresciuto, ma ne ha così preso l’anima, da diventarne ambasciatore, narratore delle sue straordinarie bellezze, anche grazie alla sua attività di cuoco.

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Cosa significa per lei essere ambasciatore per la città di Verbania, tra le candidate italiane a capitale della cultura 2022?
Sicuramente è un piacere grandissimo. Sono orgoglioso di poter sostenere la candidatura di Verbania per il titolo di capitale della cultura italiana 2022 in qualità di ambasciatore delle sue eccellenze enogastronomiche. La cucina è una delle espressioni più alte della cultura, delle tradizioni e della biodiversità che rendono unico il nostro territorio.

Cosa comporta questa candidatura ai fini di un rilancio per la ristorazione?
Un’opportunità decisiva per promuovere un turismo di qualità, che incentivi l’accoglienza diffusa e che impatti il meno possibile sull’ambiente. Noi imprenditori della ristorazione dobbiamo farci fautori di questo cambiamento, promuovendo le materie prime che utilizziamo ogni giorno come punto di inizio di un vero e proprio itinerario culturale, dobbiamo valorizzare le tipicità del luogo attraverso i colori, i profumi e i sapori dei prodotti locali. Il verbanese, a metà fra montagna e pianura, è un paradiso di biodiversità con infiniti percorsi di scoperta, molti dei quali iniziano proprio a tavola.

Se potesse racchiudere in poche parole il senso di questa città…
Non tutti sanno che il Duomo di Milano è stato costruito con il marmo di Candoglia, una qualità molto pregiata estratta dalle cave all’imboccatura della Val d’Ossola. Il senso di Verbania è proprio questo: sinergia perfetta fra un territorio ricco di materie prime d’eccellenza e uomini in grado di utilizzarle e valorizzarle al meglio.

Il suo personale parere su come sta cambiando il volto della ristorazione in Italia e se c’è più timore o fiducia nel futuro.
L’anno appena concluso è stato il più difficile nella storia recente, ma non perderò mai la voglia di stare dietro ai fornelli. Ogni crisi provoca cambiamenti profondi e rapidi: anche la ristorazione dovrà affrontare le proprie trasformazioni. Quello che mi auguro per il prossimo futuro è che si modifichi l’approccio. Chef, clienti, aziende, distributori, tutti noi dobbiamo assumere un comportamento sinceramente etico e rispettoso dell’ambiente, perché l’emergenza che ci ha investito nel 2020 – e l’annessa crisi economica e climatica – è nostra responsabilità.

Qual è il suo piatto che, più di ogni altro, racchiude i sapori, i colori e i profumi di Verbania?
Il piatto del Piccolo Lago che più rappresenta Verbania è il Gardon, un pesce d’acqua dolce invasivo e che, da quando è stato introdotto, ha iniziato a conquistare il lago minando la presenza delle arborelle. Un pesce difficile da cucinare e da vendere. Con i miei ragazzi abbiamo deciso di affrontare questa sfida ragionando sulla tipologia della sua carne. Il risultato è un piatto che contamina la polpetta di lago con un riso artemide e un limone nero dell’Oman, il tutto immerso in un brodo aromatizzato alla thailandese ricavato dalla bollitura delle lische e della testa. Un piatto che racchiude l’essenza di questa città: la valorizzazione di un pesce di lago e allo stesso tempo un omaggio alle contaminazioni che da sempre caratterizzano Verbania, città di confine.

Qual è il prodotto di questo territorio che lei adora utilizzare nella sua cucina e che secondo lei racconta al meglio questa terra?
Difficile trovarne solo uno, perché ogni ingrediente racchiude un viaggio che attraversa il verbanese, partendo nella piana del Toce e proseguendo lungo le Prealpi. Sulle vette della Val Formazza a 1800 metri d’altitudine, nell’ultimo lembo di terra prima del confine svizzero, si trova un luogo particolarmente magico. Qui infatti gli alpigiani producono il Bettelmatt, uno straordinario formaggio d’alpeggio – soprannominato la Rolls Royce del formaggio perché la sua produzione è limitata a poche migliaia di forme all’anno – che rappresenta perfettamente la tenacia e la passione che si respirano in questo territorio.

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