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Urgenza o moda? L’antispreco della cucina circolare

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A cura di Federica Fois

Se fino a qualche anno fa la cosiddetta cucina circolare era solo un fiore all’occhiello per distinguersi in un mercato variegato ma completo, oggi è diventata una scelta consapevole e ben definita. Se ne parla tanto e con grande entusiasmo ma più che una moda momentanea è una vera e propria necessità dettata da uno stile di vita collettivo sempre meno sostenibile. Mentre in alcuni Paesi del mondo la sopravvivenza alimentare è ancora un problema quotidiano, in quelli sviluppati lo spreco del cibo è una prassi giornaliera.
Se in un’epoca precedente, non ancora green, sprecare poteva essere sfortunatamente considerato sinonimo di opulenza, ai giorni nostri non sprecare è diventato un dovere oltre che una virtù. Il web pullula di consigli e ricette su come riutilizzare ogni singola parte di ortaggi e frutta: foglie di carciofo per decotti depurativi, semi delle mele per liquori dal gusto intenso, foglie di broccolo per quiche saporite, bucce di patate e carote per chips sfiziose.
Anche le coltivazioni BIO tornano alla ribalta dopo periodi di oscurantismo e incertezze, affiancate e sostenute anche da quelle bio dinamiche e idroponiche.
Comprare meglio per mangiare sano e sprecare meno è il nuovo leitmotiv che aleggia nelle nostre coscienze. Banditi i discount, si riscoprono i mercati contadini e gli orti in città.
Quest’attenzione partita dalle grandi cucine è ritornata anche in quelle delle nostre case. Sono riemersi da polverosi bauli dimenticati in soffitta vecchi quaderni ricchi di buone prassi dettate in un tempo poco lontano, ma da noi volontariamente dimenticato. Abilissime antenate casalinghe sapevano trasformare ogni singolo elemento di un unico ingrediente in una fantasia gastronomica sfiziosa e invitante. Così le bucce d’arancia diventavano ottimi canditi, i petali di fiori gustosi sciroppi, le foglie di ortaggi scartate nutrienti zuppe contadine. Un ciclo di vita che non s’interrompeva mai creando quella circolarità oggi fortemente invocata e riscoperta.

E quando il ciclo di vita terminava in cucina, proseguiva nella cosmetica fai da te –acqua di rose per profumarsi, camomilla per decongestionarsi, albume d’uovo per capelli lucenti – o nei campi e giardini sotto forma di concime organico. In un tempo successivo, queste prassi sono finite nel dimenticatoio sostituite dal consumismo sfrenato e dalla necessità di continua novità, che si è tradotta nel tempo in problemi ambientali e socio economici di sempre più grave entità.
Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) ogni anno si spreca circa un terzo dl cibo prodotto nel mondo per consumo umano pari a circa 1,3 miliardi di tonnellate.
Recentemente, start up pluripremiate e sovvenzionate producono macchinari per trasformare i rifiuti organici in compost, realizzano fattorie urbane indoor grazie alla tecnologia aeroponica, producono birra con il pane fresco avanzato e tessuti tessili partendo dalle bucce delle arance.

Se nelle cucine di casa è il buonsenso tramandato dai nostri avi quello di non sprecare, nelle cucine dei grandi hotel, mense, catering arrivano nuove tecnologie per misurare, monitorare e ridurre lo spreco di cibo. Grazie a queste, catene di grandi alberghi e ristoranti ben noti sono riusciti letteralmente a dimezzare le quantità di cibo sprecato ogni singolo giorno avendo un notevole impatto sulla vita di ognuno di noi. Spesso si scarica solo sui big players del mercato globale la responsabilità di fronteggiare le grandi problematiche del nostro millennio legate all’indiscusso benessere di tutti noi. Invece quest’aspettativa dovrebbe tramutarsi in azione e obiettivo comune. Ognuno di noi, nel quotidiano, dovrebbe investire sulla diminuzione del proprio impatto ambientale.
Dobbiamo essere sempre più diligenti nelle nostre pratiche quotidiane se vogliamo preservare il nostro amato pianeta: attenzione all’acqua, al clima, all’inquinamento, alle risorse non in ultimo alle buone prassi.

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