Giovane, appassionata e tutt’altro che convenzionale come ama definirsi lei insieme alla sua brigata tutta al femminile, Tina Marcelli, già da bambina sapeva che avrebbe fatto la cuoca. Figlia d’arte, guidata dallo spirito della nonna che porta nel cuore e nei ricordi d’infanzia, guida con passione la proposta di cucina del Feuerstein Nature Family Resort e del ristorante gourmet “Artifex”, all’interno dello stesso, proponendo piatti legati alla tradizione ma interpretata a “modo suo” con uno spiccato spirito di ricerca e sperimentazione. Conquistata la stella verde Michelin, dopo anni di duro lavoro, ora persegue l’obiettivo della stella Michelin rossa, continuando a trasmettere la sua identità in ogni piatto che crea col sogno che, un giorno non troppo lontano, diventi riconoscibile semplicemente guardando una foto, proprio come le grandi opere d’arte.
Quando hai iniziato a capire che la cucina era la tua passione? E quanto ha influenzato il fatto che tuo papà fosse uno chef?
A 8 anni, o forse anche prima, ho capito che la cucina era la mia strada grazie a mia nonna e a mio padre che mi hanno trasmesso l’amore per questo mestiere. Da bambina percepivo che il cibo metteva insieme le persone e creava quella magia che solo la tavola riesce a fare e quindi, per me, è stato subito chiaro che fare la cuoca sarebbe stato il mio destino.
Sul sito del ristorante si legge che hai una “stanza dei tesori”. Di cosa si tratta?
Tesori inestimabili (ride)…..sí, abbiamo creato una camera che mi piace anche chiamare caveau, dove abbiamo più di 300 barattoli in fermentazione con frutta e verdura,
sciroppi, composte di frutta, grappe e tante altre leccornie. Sono frutto della nostra sperimentazione e volontà di avere ingredienti particolari da proporre, e preservare quello che la terra qui ci regala solo in alcuni periodi dell’anno e con cui soddisfiamo i nostri ospiti per tutto l’inverno. Crediamo e abbiamo puntato sulla sostenibilità e sul km vero non zero, troppo blasonato e spesso poco veritiero.
Per te è più importante la tradizione o l’innovazione in cucina?
Entrambe, direi…cerco di riprendere la tradizione e portarla nei piatti di oggi, unendo a questo una grandissima ricerca. Mi piace misurarmi sempre con nuove sfide; così, ad esempio, abbiamo recuperato una pianta di ciliegio molto antica autoctona che non veniva più coltivata, tanto è vero che se la ricordavano solo gli anziani, e abbiamo provato a ri-piantarla; ad oggi abbiamo 4 alberi che ci regalano delle meravigliose ciliegie, ricchissime di vitamina C e con molti meno zuccheri, rispetto a quelle tradizionali, che poi abbiamo messo a fermentare nella nostra stanza dei tesori.
Illustraci meglio questa tua ricerca così spinta…
Cerchiamo di avere a disposizione anche qui in montagna quei prodotti che generalmente non si trovano, perché non appartengono al nostro territorio come ad esempio il tartufo. Quindi partendo da una rapa che in tempo di guerra davano da mangiare solo ai maiali, l’abbiamo avvolta in una crosta di pane e arricchita con i sapori tipici del nostro territorio e poi cotta nel forno: l’abbiamo poi messa a fermentare per un anno e alla fine, il risultato è una sorta di tartufo sorprendentemente simile sia nel gusto sia nel sapore a quello originale.
Tua nonna è stata fonte di grande ispirazione. Qual era il suo piatto che amavi di più?
Ovviamente i canederli allo speck, che come li faceva lei, non li sapeva fare nessuno. Cosa conta di più nella creazione di un piatto: ingredienti, creatività, originalità…
C’è tutto, e soprattutto c’è il sapore che per me è la parte più importante e conta molto di più dell’aspetto. Per cui negli anni, ho iniziato a togliere quello che secondo me non serviva, anche se magari lo rendeva più bello.
Quanti anni ci sono voluti per conquistare la stella verde Michelin? Su cosa hai puntato in cucina per raggiungere questo risultato?
La stella è sempre stato il mio sogno nel cassetto e ci lavoro da sempre. Negli ultimi 5 anni abbiamo lavorato per ottenere questo risultato, migliorandoci di anno in anno
e focalizzandoci sempre di più sul dettaglio, diminuendo progressivamente gli elementi sul piatto e arrivando a un risultato che direi perfetto adesso. Questo credo sia stata la nostra arma vincente.
Qual è il tuo prossimo obiettivo?
La stella rossa è rimasta nel cassetto, anche se sono molto felice del riconoscimento ottenuto con quella verde…
Sei in una terra di confine: quanto influisce nella tua cucina l’incontro così ravvicinato con culture simili ma diverse allo stesso tempo?
Sono decisamente nel luogo perfetto per la mia cucina: Austria, Germania e in particolare la Bavaria hanno una grossa influenza nella nostra cucina e poi siamo in Italia,
dove c’è il cibo migliore del mondo. Principalmente ci approvvigioniamo nella valle Aurina e dai contadini locali.
Sono molto trasparente sulla provenienza dei prodotti che utilizzo e i miei ospiti vengono sempre informati su tutto. Non ho segreti su questo (ride).
Cosa vuoi che i tuoi ospiti ricordino dell’esperienza all’ Artifex?
Il mio desiderio è di riuscire a trasmettere il mio amore per la cucina nei miei piatti, nei quali venga riconosciuta la mia identità, la mia firma. Ma il mio sogno più grande è che l’ospite possa uscire pensando che si è sentito coccolato e viziato come se fosse stato seduto al tavolo di sua nonna e avvolto dalle sue attenzioni. E poi mi piacerebbe che in un futuro, non troppo lontano, un mio piatto potesse essere riconosciuto semplicemente da una foto. Ci lavoro!
Cosa consiglieresti a un giovane appassionato di cucina per iniziare?
Di credere sempre nei sogni. Tutto quello che sogni, lo puoi realizzare. Se c’è la passione puoi raggiungere qualsiasi obiettivo. Ogni giorno quando vado a letto, sono felicissima di poter fare questo lavoro, perché mi regala moltissimo. E quando per qualche impedimento, anche di salute, non posso lavorare, ho nostalgia della mia cucina.
Ci racconti un episodio simpatico che ti è successo in questi anni con un cliente particolare o una situazione inusuale… Abbiamo avuto un ospite tedesco che voleva che mettessi la tartare sulla griglia e ha insistito così tanto, dicendo che avevo sbagliato il piatto. Dopo aver cercato di spiegargli che la tartare non si cuoce, gliela abbiamo grigliata e lui era
felicissimo…