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Monsieur Gianduiotto: la mano dei Francesi alla base dell’invenzione di uno dei cioccolatini più iconici d’Italia

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a cura di Giulia Cestari

Non allarmatevi, il Gianduiotto è un prodotto tutto Italiano, anzi tutto Torinese, ma nella storia della nascita di questa perla della cioccolateria del Belpaese c’è anche lo zampino dei Francesi. E non di un francese qualunque, ma di Napoleone in persona.

Nella città di Torino, il consumo di cacao era ormai una consuetudine già dalla seconda metà del ‘500, quando Emanuele Filiberto I di Savoia portò in città per la prima volta i semi di cacao e presto si diffuse il consumo di una bevanda a base di questi.

Con il passare del tempo, la moda del cacao e il consumo di bevande al cioccolato crebbe in maniera esponenziale. All’inizio dell’800 il cacao veniva impiegato dai cioccolatieri delle più grandi città del Nord Italia per produrre ben 350 tonnellate di cioccolato al giorno.
Ma fu proprio in questo periodo e precisamente nel 1806 che Napoleone Bonaparte decise di imporre un blocco commerciale tra le navi mercantili Inglesi (che importavano zucchero, tabacco e cacao) e i paesi controllati dalla Francia, come appunto il Nord Italia. Il prezzo del cacao salì subito alle stelle.
I cioccolatieri Piemontesi non si lasciarono impaurire, ma fecero di necessità virtù.

Innanzitutto inventarono un macchinario per la lavorazione del cioccolato in modo da abbattere i costi della manodopera e potersi permettere il poco e costosissimo cacao circolante. Il brevetto di questa macchina si deve all’imprenditore Giovanni Martino Bianchini, che nel 1819 chiese al re Carlo Felice “l’uso privativo d’una macchina da esso inventata pel tritolamento del cacao, zuccheri e droghe, e per tutte le operazioni ad un tempo della fabbricazione del ciocollato” (dal libro “Le Fabbriche da Cioccolata: Nascita e sviluppo di un’Industria lungo i canali di Torino”). Bianchini riuscì infatti a sfruttare l’energia generata da una ruota idraulica alimentata ad acqua per far funzionare un macchinario che produceva grandi volumi di cioccolato.

I chocolatier Piemontesi iniziarono inoltre a produrre cioccolatini e praline solide invece delle classiche bevande al cioccolato in modo da stuzzicare in altri modi gli esigenti palati dell’aristocrazia Torinese. I primi cioccolatini erano prodotti miscelando cacao, acqua, zucchero e vaniglia.

Ma l’idea geniale alla base dell’invenzione del gianduiotto fu quella di sostituire parte del cacao, sempre più scarso, con il macinato di Nocciole Gentili delle Langhe, di cui il territorio era invece particolarmente ricco.

La Nocciola Tonda Gentile, detta anche Nocciola Piemonte e oggi riconosciuta IGP, non era solo presente in abbondanza, ma presentava anche delle caratteristiche ottime per la sua lavorazione. La forma sferoidale e le dimensioni uniformi del frutto la rendono infatti molto facile da sgusciare meccanicamente; la polpa compatta e croccante e il ridotto apporto di grassi le donano una buona conservabilità; il rivestimento del seme è sottile e si stacca facilmente dopo la tostatura; infine l’inimitabile aroma è delicato, ma avvolgente e persistente.

L’unione di questi tre avvenimenti portò la famiglia Caffarel, proprietaria dell’omonima cioccolateria, a brevettare nel 1865 la ricetta del Gianduiotto che ancora oggi manda in estasi tutti i nostri sensi. L’incartamento dorato conquista la nostra vista, il rumore dato dall’alluminio attiva le nostre papille gustative, il suo profumo inebria l’olfatto, la sua scioglievolezza conquista il tatto, il sapore rotondo riempie ogni angolo della bocca e della mente facendoci gioire.

Non è certo un caso se venne scelta la maschera Piemontese di Gianduja per fare da testimonial a questo prodotto e all’unione del cacao e delle Nocciole delle Langhe in genere. Il personaggio di Gianduja è infatti allegro e godereccio, con il boccale sempre pieno di vino, il volto rubicondo e il sorriso benevolo.

La Caffarel decise quindi di plasmare i suoi cioccolatini con una sagoma a barchetta rovesciata, per imitare l’ala del tricorno indossata come cappello dalla celebre maschera di Gianduja. Mentre la decisione di utilizzare un incarto di alluminio aveva invece lo scopo di preservare la morbida pasta del “lingotto di cioccolato” dal calore, facendo in modo che si conservasse in condizioni ottimali.
Ancora una volta gli Italiani hanno dimostrato di poter trovare un’ottima soluzione ad un grande impiccio.

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