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Risotto allo zafferano. Leggende e credenze dietro al piatto meneghino per eccellenza

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A cura di Marco Furmenti

Due sono le cose che risplendono di luce propria ogni giorno a Milano. Una è la Madonnina che capeggia sopra il Duomo e veglia sui milanesi, l’altra, invece, è il risotto allo zafferano, uno dei piatti più imitati in tutta Italia con decine e decine di variazioni… spesso di dubbio riuscita.
Dietro questo simbolo della gastronomia meneghina, si è creato un universo di storie e leggende sulla sua nascita, perché, per quanto l’utilizzo del riso sia abbastanza ovvio in questo territorio che abbonda di marcite, corsi d’acqua, risaie a perdita d’occhio, caseifici e allevamenti, lo zafferano non è quello che definiremmo, per ragioni storiche, a chilometro zero.
In un curioso intreccio storico culturale, che a volte resuscita leggende arabe e siciliane, i racconti che accompagnano il risotto allo zafferano si contano sulle dita di una mano.
Quella più in voga, che da un lato ci piace di più, inquadra l’origine del piatto in un’epoca in cui le spezie erano il pane quotidiano di una gastronomia d’èlite. È quella legata a
Mastro Valerio di Fiandra nell’anno 1574, o meglio, al suo abile garzone, che era solito miscelare ai classici colori per dipingere, anche lo zafferano che usava per le decorazioni dei vetri del duomo di Milano. La storia narra che per scherzo, il garzone (detto appunto zafferano), in accordo con il cuoco delle nozze della figlia di Mastro Valerio, fece aggiungere la nobile spezia al riso che sarebbe stato servito di lì a poco.
Questa aggiunta, nata appunto come una burla, ebbe in realtà un enorme successo sia grazie al colore che donò alla pietanza sia al sapore unico che gli conferì. Questo racconto è contenuto in un manoscritto che si trova alla Biblioteca Trivulziana di Milano, che rappresenta una prova scritta di questa storia…ma rimane sempre un racconto storicamente non avvalorabile.
Un’altra credenza, al contrario, vuole un’origine kosher della pietanza, legata quindi alla presenza di una comunità ebraica nel milanese piuttosto consistente già a partire dal 1300 se non prima. Vero è che alle persone di religione ebraica non era concesso risiedere Milano se non per motivi d’affari e per brevi periodi.
E se il piatto simbolo del Nord Italia fosse in realtà una derivazione proveniente dalla assolata Sicilia? Il riso, come ben si sa ha poco a che fare con l’Italia, almeno fino al XIII secolo. Saranno gli Arabi ad importarlo nella nostra penisola, cominciando ovviamente dal Sud Italia: solo successivamente entrerà a far parte del paniere gastronomico della Pianura Padana. La stessa parola zafferano ha un’origine araba (za’faran), che deriva dal persiano (zaafara) che indica appunto il fiore da cui si estraggono gli stimmi. Se è vero che il riso con zafran è sempre stata una ricetta cara a ebrei e islamici, nulla vieta di pensare che nel corso dei secoli questa ricetta si sia modificata, attraversando la penisola e sia diventata il nostro risotto allo zafferano.
Fino a qua è tutto molto complesso, senza grosse prove che ci permettono di datare l’invenzione del risotto meneghino per eccellenza. Per avere degli spunti più chiari è necessario fare un grosso passo avanti nel tempo, almeno a fine ‘700 quando, nel ricettario di Antonio Nebbia (Il cuoco maceratese), troviamo la ricetta di un fantomatico risotto ancestrale: “dipoi passarete al fornello un’altra cazzaruola con entro altrettanto butiro, e vi porrete il Riso bene scolato, ed osservate che il Riso non si attacchi, mentre attaccandosi, conviene esser diligente col mescolarlo con la mestola di legno; poi rinfrescatelo con il sugo fino a tanto che diviene lungo e grosso, ma che non sia passato di cottura”. E il risotto, come lo conosciamo noi ce lo abbiamo! Ma lo zafferano?
Purtroppo per avere una ricetta abbastanza codificata e vicina a quella che conosciamo oggi, dovremmo aspettare almeno il 1830, quando compare una preparazione di risotto alla milanese giallo di Felice Luraschi, arricchita di midollo di bue, noce moscata e formaggio e poi il 1868 con Giovanni Nelli, che nel suo “Il re dei cuochi” descrive in questo modo il Risotto alla milanese (130):
Tritate una cipolla che farete soffriggere con un pezzo di burro e della midolla di manzo. Diluite con poco brodo, passate allo staccio e mettetevi circa un litro di riso e un po’ di zafferano, tramenatelo alquanto, indi fatelo cuocere in un buon brodo rimettendone man mano che si asciuga. A mezza cottura, unitevi una mezza cervellata, lasciate cuocere, mettete del formaggio grattugiato e servite. Potrete anche versarvi ad un tratto il brodo cioè circa due litri e mezzo con che gli imprimerete una maggior morbidezza. Ad alcuni va a genio di mettervi un mezzo bicchiere di vino bianco, altri al momento di ritirarlo dal fuoco vi aggiungono un pezzetto di burro fresco che dovrà essere diligentemente risolto”.
L’importanza poi è che la bollitura sia spinta a fuoco ardente.

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