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Renato Bosco e il suo DNA eterno

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L’incontro con il “pizzaricercatore” del Saporè.

Se nella mitologia greca il Monte Olimpo era abitato da esseri soprannaturali e immortali che governavano sulla vita degli uomini, anche il mondo della gastronomia ha i suoi Olimpi, abitanti un po’ sovrumani che in qualche modo guidano ed influenzano le tendenze e le scelte delle persone.
Renato Bosco è uno degli abitanti dell’Olimpo della pizza, l’unico e solo pizzaricercatore. Pizza italiana, ovviamente, ma soprattutto pizza gastronomica.

Studia impasti, farciture, usa solo prodotti di stagione, farine selezionate e lunghe lievitazioni. La sua pizza romana è “doppio crunch”, una croccantezza senza eguali. Tonde, alla teglia o al metro, la sua proposta a Saporè è un percorso di consistenze e sapori, appunto; quasi un menù, dall’antipasto al dessert, tutto nel mondo dei lievitati.
È bello, forse finanche romantico, pensare che le cose accadano per caso.

Di lui si dice che imbracciò la pala, giovane cameriere in una pizzeria di salernitani, e che quel momento fu la folgorazione. Ma no, io credo che nulla accada per caso.
“La pizza è la mia insaziabile energia, il pane è la semplicità dei ricordi, la passione è la mia parte migliore”. Mi è bastato chiedere a Renato Bosco di quella semplicità dei ricordi per sfatare la casualità.

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“Mia madre mi mandava la mattina presto a comprare il pane – racconta -, e quando entravo nel panificio, a San Martino Buon Albergo, in provincia di Verona, ero colpito dal profumo. La semplicità dei ricordi è questo profumo di pane, qualcosa che colpisce tutti i sensi: l’olfatto, la vista, il tatto di quando spezzavo il panino con le mani, e poi il gusto. Questo coinvolgimento a 360 gradi mi ha sempre affascinato, le sensazioni sono diventate sempre più forti negli anni e ancora oggi, nella mia ricerca, riscopro ogni giorno quel profumo di quando ero bambino”.

Renato Bosco non nasce panificatore o pizzaiolo, qualcosa lo ha spinto a diventarlo, quell’energia che lui chiama passione, che muove una forza ancora più importante, la curiosità.
“La curiosità – spiega – è quella sensazione che si sente nella pancia, nello stomaco e che ti spinge a lavorare di più, a cercare, capire, sperimentare. La curiosità è quella che mi fa essere sempre irrequieto, che non mi fa fermare mai e che ha portato i miei colleghi a definirmi pizzaricercatore. La curiosità, infine, è anche quella forza che ti muove alla studio, sempre e tanto. Perché studiare è fondamentale, i pizzaioli oggi non sono più ragazzi alla ricerca di un lavoro di ripiego. È un mestiere che richiede conoscenza e consapevolezza”.

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Sì, il pizzaiolo oggi è più consapevole, ha un progetto e una formazione da chef. Addio alle pizze farcite “fantasiosamente a caso”. Oggi, anche grazie a Renato Bosco, la pizza segue i colori e i sapori delle stagioni, nel rispetto e nella rivalutazione di una corretta dieta al ritmo della natura.
Anche i cuochi si stanno avvicinando al mondo dei panificati, basti pensare a Gennaro Esposito, Massimiliano Alaimo o Niko Romito, il cui pane è stato il simbolo di Identità Golose Milano 2019.

“Penso che la pizza nei prossimi anni avrà un ruolo molto forte – conferma Bosco -, un ruolo importante anche nella ripresa e riorganizzazione della cucina italiana a cui stiamo assistendo. Sono convinto che troveremo la cucina italiana ai vertici del mondo nel prossimo futuro, assieme alla pizza”.

Ma una pizza fatta come si deve, quella i cui segreti, parola del pizzaricercatore, stanno “nella giusta selezione delle farine, in base al tipo di pizza che si vuole fare, nella scelta del lievito e del tipo di lievitazione e nel tipo e tempi di cottura”.

E se parlando di farine, oggi, la ricerca è anche recupero della tradizione, con il grande ritorno dei grani antichi, quello dei lieviti è un sapere tutto da scoprire. Panificatori, pizzaioli e pasticceri: ad ognuno il suo lievito. Ma niente limiti per Renato Bosco, che da Ambasciatore del Gusto dell’arte bianca, interscambia i lieviti e contamina: tecnica del panettone anche per la pizza, tecnica della pizza per la panificazione.

È così che l’esperienza a Saporè diventa unica: pizze da condividere (perché sono tagliate in pezzi per quello), così da assaggiare mille equilibri, delicati, decisi o quasi dolci. Il gioco viene da sé e chiedo a Renato Bosco di regalarci degli identikit di amanti della pizza.

“Ci sono i golosi – ride -, quelli che vogliono tantissime aggiunte sulla pizza, che vorrebbero sempre il “paese dei balocchi” nel piatto. Poi arrivano gli schizzinosi che ti fanno togliere l’origano perché non gli piace, che tendono sempre un po’ a tirare via, sfiduciati. Ma quelli che adoro sono i goduriosi, che si affidano alle mie sensazioni, sono pronti a farsi guidare da me in un’esperienza affidata alle mie mani e alle mia curiosità”.
E tante pizze sfornando, non stupitevi se Renato ama la margherita: “Io sono una pizza margherita sì, mangio sempre margherita, perché è la base, il punto di partenza. Farina, acqua, sale e lievito: da una margherita capisco se i prodotti usati sono di qualità, se c’è olio extravergine, che tipo di pomodoro è stato messo. Quelli della pizza margherita sono i sapori base di qualsiasi altra pizza”.

Eccoci tornati alle cose importanti, a quella semplicità del pane che ha dato il “la” a questo racconto e alla carriera di Renato Bosco.

Un’ultima cosa. Non pensate che gli Olimpi, gli dei gastronomici di oggi, influenzino ma non siano immortali. Il DNA di Renato Bosco è oramai eternato: il suo lievito è depositato alla Biblioteca Mondiale del Lievito Madre di Saint-Vith, in Belgio e, rinfrescato con costanza e da mani esperte, sarà la memoria perpetua di quel pizzaricercatore che un giorno, per caso ma forse no, imbracciò la pala.

Ph. Credits: Carlo Fico

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