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Montebòre: il formaggio dei Colli Tortonesi

Tra torri medievali, latte crudo e giovani sognatori: la rinascita dell’eccellenza casearia nei Colli Tortonesi.

a cura di Camilla Mignone

Nel cuore incontaminato dei Colli Tortonesi, tra i pascoli dolci e le curve di strade che odorano di erba e vento, si nasconde una delle storie più affascinanti del panorama caseario italiano. È la storia del Montebòre, un formaggio dalla forma inconfondibile, simile a una torre medievale, che sembrava destinato a scomparire per sempre. A riportarlo in vita ci ha pensato il caseificio Terre del Giarolo, nato nel 2021 con un obiettivo tanto ambizioso quanto romantico: salvare una tradizione millenaria, restituire dignità a un prodotto unico e al tempo stesso rilanciare il territorio attraverso il latte, il lavoro e la passione.
Il Montebòre non è solo un formaggio.

È una dichiarazione d’amore alla memoria e all’identità. Le sue origini risalgono ai monaci benedettini che, tra l’anno 800 e il 1000, iniziarono a produrre queste piccole “torri di latte” presso l’Abbazia di Santa Maria di Vendersi, sul monte Giarolo. Il primo documento ufficiale che ne attesta l’esistenza risale al 1153, quando in un cartario medievale si legge che “quelli di Montèbore giurarono di dare alla vicina Ramoliva, proprietà del Marchese Malaspina, cento robioline”. Ma la vera consacrazione arrivò nel 1489, durante le nozze tra Isabella d’Aragona e Gian Galeazzo Sforza: al banchetto nuziale, il Montebòre fu l’unico formaggio servito. A presentarlo fu un cerimoniere d’eccezione: Leonardo da Vinci.
Oggi, grazie a Terre del Giarolo, questa eccellenza è tornata a brillare. La produzione segue fedelmente la tradizione. Il Montebòre è un formaggio a latte crudo misto, ottenuto da una miscela calibrata di latte vaccino in prevalenza, a cui si aggiungono un terzo di latte ovino e una piccola percentuale di latte caprino. I latti vengono raccolti freschissimi al mattino dagli allevamenti locali e trasformati in giornata. Dopo la coagulazione con caglio naturale di vitello, la cagliata viene rotta a mano con la “lira” in due momenti diversi. Una volta pronta, si procede al riempimento delle fuscelle, che hanno diametri decrescenti per dare la classica forma a torre. Durante il pomeriggio le forme vengono rivoltate più volte, alla sera salate a secco. Il giorno dopo, vengono impilate l’una sull’altra, come a ricreare in miniatura le torri del castello di Montebòre.
Il risultato è un formaggio delicato ma complesso, che cambia volto e profumo con il passare dei giorni e delle stagioni. Quando è giovane, nei primi 20-45 giorni, si presenta fresco, dalla pasta morbida e con un profilo aromatico dolce e floreale, ideale in purezza oppure abbinato a frutta fresca, confetture leggere o mieli delicati. Con la stagionatura, già dai 60 giorni in poi, il Montebòre evolve in un formaggio più intenso, dalla consistenza compatta, con note animali più pronunciate e una sapidità che lo rende perfetto per accostamenti più audaci, come mostarde, frutta secca o vini strutturati.
Il Montebòre è anche un formaggio curioso, che viaggia e conquista in tutto il mondo. Dal 1999, anno della sua riscoperta, ha toccato le tavole di Hong Kong, si è fatto apprezzare nei Paesi nordici e ha persino vinto una medaglia d’argento all’Expo Queijo 2024 in Brasile, tra centinaia di formaggi provenienti da tutto il mondo. Ed è proprio questa sua capacità di raccontare le Colline Tortonesi e al tempo stesso di dialogare con il che lo rende così speciale.
Gli abbinamenti che si possono osare con il Montebòre sono molteplici. Oltre ai classici vini bianchi piemontesi come il Derthona Timorasso o a una giovane Barbera, funziona sorprendentemente bene anche con birre chiare, kombucha o addirittura sakè. Per chi vuole spingersi oltre, può essere servito su una bruschetta croccante con crema di aglio nero fermentato: un match che fa esplodere il palato.
Il caseificio Terre del Giarolo, però, non si limita a produrre Montebòre. Raccoglie tutto il latte crudo fresco del territorio e lo trasforma in una varietà di formaggi che raccontano le sfumature di questo angolo di Piemonte. Nascono così prodotti come la “Ricotta” di siero di Montebòre, la robiola cremosa “La Capra”, la toma stagionata di vacca ”Grattone” e la tenera caciotta “Mongiardina”, disponibile sia in versione vaccina che ovina. Tutti lavorati in purezza, tutti figli della stessa filosofia: valorizzare senza snaturare.
Negli ultimi anni, la risposta del pubblico è stata sorprendente. Terre del Giarolo ha ricevuto numerosi riconoscimenti non solo per la qualità, ma anche per la costanza e l’affidabilità della produzione. E oggi, con un team giovane e motivato, l’obiettivo si fa ancora più ambizioso: coinvolgere altri giovani imprenditori, allevatori o semplici appassionati per dare continuità a questa rinascita. L’idea è quella di creare una rete diffusa di microallevamenti e appassionati di caseificazione, capaci di dare nuova linfa a un mestiere antico, ma più vivo che mai.
Fino a qualche anno fa i produttori di Montebòre erano appena tre, ad oggi diventati sei, e insieme stanno lavorando per ricostruire il Consorzio di Tutela del formaggio Montebòre. Grazie ad eventi e fiere raccontano il formaggio, la sua storia e le sue mille sfumature. Perché il Montebòre, come i colli che lo circondano, è in piena evoluzione.
E in un mondo dove l’omologazione minaccia la biodiversità, sapere che c’è ancora chi sceglie di difendere la propria identità attraverso un piccolo, grande formaggio, è forse storia bella da raccontare.

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