Antonia Klugmann

“Erbacce” e sorrisi, una giornata con Antonia Klugmann

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Per arrivare all’Argine a Vencò attraversi i meravigliosi luoghi e paesaggi del Collio. Boschi e corsi d’acqua; i vigneti che si rincorrono uno dopo l’altro e quel verde che ti porta piano piano in una dimensione di pace, un po’ fuori dal mondo, dalla routine quotidiana, con la voglia di respirare il profumo della natura e di rubarle un po’ di forza generatrice.

Il verde poi domina assoluto più che mai all’Argine; quello stesso verde e quegli stessi profumi di erbe e fiori che Antonia Klugmann ti fa ritrovare nei piatti. Lei è semplicemente meravigliosa dietro il vetro della cucina a vista; una donna piccola ma gigantesca, con quel sorriso che regala a se stessa e alle sue opere culinarie.

Perché il suo sguardo è lì, fisso sul suo lavoro, ma poi il suo sorriso te lo ritrovi nel risotto che ti serve e dalle sue labbra passa magicamente alle tue. Arredamenti minimali e un intenso e caldo profumo di legno; grandi vetrate che dominano il prato e le colline. Ancora una volta il verde. E poco più in là l’orto, quello di Antonia, ricco di quei sapori di cui il menù è impreziosito.
Sedute a un tavolino sotto un avvolgente e frondoso albero, proprio nei pressi dell’orto, Antonia Klugmann, chiuso il servizio del pranzo, mi svela il mondo custodito dietro il suo sorriso.

Ph. Credits: Francesco Orini

Viso pulito, jeans e scarpe da ginnastica sotto la giacca da chef. Si siede e accavalla le gambe, avvicina lo sguardo al mio, mi ascolta e poi inizia il suo racconto. Pochi minuti, anzi, direi secondi, e vengo letteralmente travolta nel suo mondo: lei così spontaneamente serena ed io con già la voglia di assomigliarle un po’, sinceramente ammirata.

Antonia, come si fa a raggiungere la serenità che hai negli occhi e nel tuo sorriso, e che trasmetti con i tuoi piatti?
Sono contenta che ci sia questa sensazione di serenità. Non lo so, io sono un po’ sempre alla ricerca della felicità, e anche alla ricerca di un equilibrio. Credo che il mio lavoro mi aiuti; sai, il fatto di avere sempre un obiettivo ben chiaro. Vedo che le persone più agitate sono quelle alla ricerca della direzione. Io invece in questo momento la direzione ce l’ho. Credimi, mi sono prefissata tutta una serie di obiettivi pazzeschi per i miei 40 anni che festeggerò a settembre. Sono segreti, però sono lì… avere obiettivi aiuta.

Ma è stato per la cucina o grazie alla cucina che sei diventata la persona che sei adesso?
Io sono grata alla cucina. La cucina non mente mai. Hai presente quando pensi “questa persona è in sintonia con me”? Ecco, io l’ho sempre pensato di alcuni colleghi che ammiravo per quello che avevano raggiunto, per il loro stile di cucina, il loro rapporto con gli ingredienti, col territorio. La cucina è sempre stata il mezzo con cui li ho conosciuti e ho sempre trovato una coerenza: qualcuno mi appassiona per ciò che trasmette coi suoi piatti e alla fine quello che comunica è esattamente la persona che è. Spero che questa cosa riguardi anche me, che ci sia una coerenza di messaggio e di vita che viene fuori nei miei piatti. Però sai, non è banale, non lo è assolutamente.

A un certo punto della tua vita, dopo un incidente, hai dovuto staccarti dai fornelli e ti sei dedicata all’orto. E oggi i tuoi piatti parlano di questo: dell’orto, della natura, del territorio…
Sì lo spero. La parte principale della mia ispirazione è la bellezza. E la bellezza può essere ovunque. Io la cerco in ciò che mi circonda. Credo sia davvero importante che ognuno di noi viva dove vuole, dove si sente di vivere, se possibile. Mi ricordo che incontravo chef che mi dicevano “quando andrò in pensione io vorrei vivere lì”, oppure “io tra trent’anni andrò là”. E io dentro di me dicevo “ma scusa, devo aspettare così tanto? Devo fare tutta questa fatica per riuscire finalmente a stare dove mi piace? Non è possibile!”. In questo senso ho pensato egoisticamente a me stessa, perché davvero credo che bisogna vivere dove si desidera,
fare quello che si vuole, ovviamente essendo responsabili per se stessi e senza pesare sugli altri, anche economicamente. Non è che sono una Biancaneve. Arrivare fino a qui è stato molto difficile. E comunque vivo come se il percorso fosse ancora da compiere: penso a tutte le cose che ancora non ho fatto e mai a quello che ho fatto. È la mia caratteristica, mi sento sempre in qualche modo insoddisfatta e mi chiedo “mi merito tutto questo”?

Ph. Credits: Francesco Orini

Sei una perfezionista?
Sì, nel lavoro sì. In tutto il resto sono abbastanza approssimativa. Però ormai ho fatto del mio lavoro la mia vita, per cui penso al lavoro quasi sempre e il mio miglioramento personale è anche miglioramento lavorativo. Tutto è diventato in qualche modo parte del lavoro. Che ne so, vai a vedere un film e lo fai perché ti rilassi e così il giorno dopo avrai la mente libera per pensare ai nuovi piatti.

Che cosa racconta l’Argine di te?
Sono rimasta incantata da questo luogo. Quando sono arrivata qua era mezzo distrutto, ma ho visto questo paesaggio incontaminato. Di sera è ancor più straordinario: si sentono soltanto gli uccellini e ci sono pochissime luci. L’Argine racconta una coerenza, perché siamo su un confine (Italia-Slovenia) e io, da triestina, sul confine mi sento bene. Poi ho scelto di vivere in campagna per un sacco di motivi che riguardano gli ingredienti, ma anche per il tipo di vita che puoi fare: isolarti e poi connetterti con il mondo quando vuoi; poter raggiungere l’aeroporto in un quarto d’ora e andare ovunque; vivere sempre connessi con la testa, essere attuali, studiare costantemente, però al contempo riuscire a stare fuori quando vuoi, quando ne hai bisogno. Questo per me è l’Argine, e il nome non è un caso.

Essere donna nel mondo della cucina è più difficile?
Credo sia così per ogni mestiere. E penso sia solo una questione di tempo. Pensa alle donne avvocato: fino a 20 anni fa era impensabile che ci fossero lo stesso numero di uomini e donne iscritti all’università. Le aspettative che si fanno sulla vita delle donne sono certo ancora molto diverse da quelle che si fanno sulla vita degli uomini. Il fatto che una donna dedichi 14 ore al giorno al suo mestiere, qualunque esso sia, è ancora qualcosa di complesso, difficile da bilanciare nella sua vita privata: marito, figli… Ma vale per tutti i mestieri.

Raccontami la tua giornata tipo.
Tre mattine alla settimana vado a correre, poi vado a fare la spesa ed entro al ristorante verso le 10.30 -11.00 e non stacco più fino all’una di notte. Il resto della settimana mi sveglio, vengo qui verso le 8.30 e poi finisco verso le 16.30, vado a casa, ci rimango un’ora, torno e poi non esco più di nuovo fino all’una. È un grande sacrificio, ma tu mi hai detto che hai fatto del tuo mestiere la tua vita… In questo mestiere nessuno ti può assicurare, come nello sport, che tutto l’impegno che tu metti ti ritorni. Tu ce la metti tutta e devi sfruttare al massimo il talento, il dono che hai. Le ore che dedichi sono fondamentali. Alcuni miei colleghi lavorano ancora più di me, io sono una fan dei miei colleghi, amo i cuochi, amo il mio mestiere, amo le persone che riescono grazie al lavoro e al talento.

Ph. Credits: Francesco Orini

Quale è il maggior pregio e il maggior difetto di Antonia?
Sono sicuramente egocentrica, nel senso che credo che tutte le forze che in qualche modo perdo nel corso della giornata sono forze che non uso poi in cucina. Ho imparato a pensare molto a me stessa in chiave di forza lavoro. Ho capito che noi cuochi dobbiamo avere una vita sana. Perché la carriera deve durare 40 anni e devi essere in salute mentale e fisica. Non è una banalità e io ho dovuto imparare a pensare molto a me stessa.

Dopo l’esperienza televisiva di Masterchef hai recuperato maggiormente questo pensare a te stessa.
Sì, il mio punto di vista è cambiato. La televisione è una violenza che subisci, se non hai pensato a te stessa in chiave estetica ma sempre e solo in chiave lavorativa. Il fatto di vedersi in un’immagine è una cosa impegnativa e io ho trasformato questa esperienza in un’occasione per migliorare me stessa. Mi sono guardata da fuori, ho pensato a come ero, mi sono messa a dieta, ho iniziato a correre. Ho proprio cambiato il mio stile di vita, non perché qualcuno mi ha chiesto di farlo, ma perchè sono più consapevole di me stessa e della mia età.

Che colore sei?
Verde, sicuramente. Infatti Vencò è verde. Verde erbacce, come il risotto piselli e erbacce che hai ora in carta…
Credo che i cuochi debbano lavorare molto con le erbe, che sono molto diffuse ma che vengono percepite come fuori contesto e per questo sono concepite come erbacce. C’è un bellissimo libro, “L’elogio delle erbacce”, che racconta di come la storia dell’uomo e la storia delle erbacce siano sempre collegate. È una questione culturale: un’erba viene considerata per lungo tempo fuori posto, poi culturalmente viene accettata: si decide non solo che è commestibile ma anche che è interessante e se ne inizia la coltivazione. Il modo con cui noi lottiamo con le erbacce ha modificato la storia agricola e io credo che la potrà cambiare ancora. Il come ci rapporteremo con lo spontaneo farà sì che in qualche modo si ritrovi un equilibrio”.

Guardo le sue “erbacce”, quel verde, che mi è entrato ormai nell’anima. Ad Antonia Klugmann farei ancora mille domande, con lei ci trascorreresti ore, ma tra poco la sua pausa cederà il passo alla linea per la cena. Almeno mezz’ora per se stessa. Si alza e si allontana, con il sorriso sempre sul viso, e nel cuore.

Ph. Credits: Francesco Orini

Foto di copertina: Mattia Mionetto

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