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Ciccio Sultano: chef senza confini

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Qualità e creatività. Sono i due tratti che delineano lo stile inconfondibile della cucina di Ciccio Sultano, uno spirito vulcanico come la sua terra che ama profondamente, soprattutto per le sue peculiarità derivanti da una stratificazione di culture millenarie fatte di scambi commerciali, dominazioni e usanze diverse tra loro che hanno però convissuto pacificamente o si sono avvicendate nei secoli.
La Sicilia, quindi, crocevia di contrasti, complessità, razze e umanità, è alla base dei suoi piatti che sposano le radici della tradizione ma con lo sguardo rivolto all’innovazione, in una continua ricerca di esplosione di sapori inediti. Autodidatta, con numerose esperienze nelle più diverse cucine nel mondo, dalla Germania a New York, da Los Angeles a Las Vegas, Ciccio Sultano è un ambasciatore entusiasta della cucina siciliana ricca di influenze arabe, normanne, saracene e spagnole di cui si serve per creare i suoi piatti inebrianti e gustosi ma al contempo sorprendentemente leggeri.
Far viaggiare nel tempo i suoi commensali partendo dal Mediterraneo, toccando il Medio Oriente, l’Europa e l’Africa per poi riportarli nel presente è quello che ama di più del suo lavoro, fatto anche di libri, nuovi format ristorativi, corsi di formazione, ma soprattutto ricerca, qualità ed ecosostenibilità delle materie prime, che sono la sua vera passione.

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Ph. Credits: Giuseppe Bornò

Perché si definisce una mente pratica?
Perché sono un cuoco e un imprenditore, trovo soluzioni.

Cosa vuol far risaltare il “menù Dominazioni siciliane”?
Le origini, la storia, l’antropologia dell’essere siciliani. La Sicilia, nel corso dei secoli, è diventata un continente enogastronomico, al centro del mondo, tra nord e sud come tra Oriente e Occidente. È vero che la sua carriera è iniziata come pasticcere? In realtà, come barman e pasticcione. Avevo tredici anni e mezzo!

La sua storia dove inizia?
Parte da Vittoria, passa dalla Germania, da New York per tornare in Sicilia fino a quando, a 29 anni, padre di una figlia, ho deciso di aprire un mio ristorante a Ragusa Ibla, dove sono anche adesso.

Come si rende un pranzo o una cena memorabile per un’ospite?
Occupandosi della felicità del cliente, facendo diventare i dettagli strategici, fondamentali. Dalla telefonata o mail di prenotazione alla pulizia, alla sommellerie, alla sala, al meeting con i collaboratori prima di ogni servizio.

È più importante innovare o preservare le tradizioni?
Io tradisco tutti i giorni la tradizione, la trasformo, la attualizzo. La tradizione è l’innovazione di ieri.

Chi sono i detentori dei segreti delle cucine?
I segreti si nascondono nelle menti povere di idee.

C’è un piatto che ripropone nei vari locali/format a suo nome?
Tra i piatti icona, citerei la pasta Taratatà, il maialino nero dei Nebrodi e Volevo essere fritto.

Al contrario di molti suoi colleghi, si definisce lo chef del mettere. Perché?
Perché sono siciliano e le nostre radici corrono profonde. Un siciliano consapevole anche quando leva, in realtà mette. (ride)

Si può definire barocca la sua cucina?
Si, nel senso che ha per palcoscenico la città di Ragusa Ibla; no, perché è una cucina contemporanea, contadina, monastica, aristocratica e borghese, perfettamente allocata tra passato e futuro.

Si può perdere l’ispirazione di continuare a creare?
Certo, tutti i giorni. È il cruccio di ogni spirito creativo. A me, per fortuna, non è mai successo.

Quando sceglie un collaboratore, qual è la prima cosa che guarda e le salta subito agli occhi?
Per giudicare, e quindi scegliere, devo averlo sott’occhio per almeno due settimane. In ogni caso, dovrà essere provvisto di un autentico spirito da gladiatore. (Ride)

Il piatto che preferiva da bambino e quello di oggi.
La pasta, senza ombra di dubbio.

Due stelle Michelin. Le piacerebbe conquistare la terza? Quanto impegno e cosa occorre per arrivarci?
Lavoro, tanto sacrificio e un’abnegazione continua. Per la terza stella ce la sentiamo già sul petto e, se proprio non dovesse arrivare, non ne faremo un dramma.

Il suo ingrediente preferito?
Olio, sale e grano.

Chi le ha insegnato l’imprenditorialità di questo mestiere?
Piero Selvaggio di Santa Monica, California.

Lo chef collega che ammira di più?
La famiglia Cerea, la famiglia Alajmo, Massimo Bottura, Mauro Uliassi, Enrico Crippa.

Oggi alla luce delle esperienze fatte, qual è il ruolo in cui si sente più soddisfatto e le piace di più?
Senza dubbio è fare il cuoco.

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