Antonino Cannavacciuolo fa “poker” di Stelle: l’intervista allo chef

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Il suo stile incarna il perfetto connubio tra due cucine molto diverse, quella napoletana e quella piemontese. Due tradizioni che si sono fuse grazie al genio di Antonino Cannavacciuolo, chef del ristorante a Villa Crespi, sul Lago d’Orta, maestro nelle cucine di uno dei programmi più seguiti in tv, Masterchef, e insignito di quattro Stelle Michelin. Le prime due le ha conquistate nell’arco di tre anni, e sono quelle che “illuminano” Villa Crespi. Le ultime, invece, le ha ottenute dal “Cannavacciuolo Bistrot” di Torino e dal “Cannavacciuolo Café & Bistrot” di Novara.

Simpatico ed estroverso, rigoroso ed estremamente competente, è entrato nel cuore degli italiani per la sua capacità di restare fedele a una tradizione culinaria invidiata in tutto il mondo, quella italiana. A 43 anni conduce una vita divisa tra la famiglia, i fornelli e gli impegni televisivi. Nonostante i ritmi sempre più intensi resta sempre al passo con i tempi, studiando e arricchendosi giorno dopo giorno, perché “se ti fermi tutto è perduto”, come sottolinea lo stesso Cannavacciuolo.

Chef, sono passati quasi vent’anni da quando mise piede in Villa Crespi. Qual è la formula vincente per essere sempre al top?
Non bisogna mai perdere la voglia di migliorarsi, la curiosità di imparare cose nuove. In questo lavoro se ti senti ‘arrivato’ allora significa che sei al capolinea”.

Quando ha intuito che il ristorante di Villa Crespi avrebbe avuto margini di crescita così ampi?

All’inizio è stata dura, mia moglie Cinzia ed io eravamo giovanissimi e ci siamo buttati in questa avventura insieme a pochi collaboratori. Non potevamo sapere, allora, come sarebbe andata, ma ci abbiamo sempre messo impegno, passione e sacrificio. Poi un giorno è arrivata una telefonata dal Gambero Rosso che mi chiedeva di cucinare per 600 persone. Un’emozione incredibile. Ed è lì che ho capito che eravamo sulla strada giusta”.

Cannavacciuolo
FOTO DI ALESSANDRO PIZZI E FABIO MAZZARELLA

C’è un piatto rimasto invariato dal 1999 e che serve ancora nel suo ristorante?

Il Tonno Vitellato. Per me la tradizione sta alla base della cucina, è il punto di partenza imprescindibile. Quando sono arrivato in Piemonte ho subito cercato di scoprire tutti i segreti della preparazione del Vitello Tonnato, uno dei piatti cardine di questa regione. E poi ho voluto farlo mio, unendo il Sud al Nord. Ecco come è nato questo piatto che ancora oggi trovate in carta a Villa Crespi”.

Esiste un ingrediente al quale è più affezionato o che usa frequentemente?

I profumi della mia terra, le erbe aromatiche, i limoni, i pomodori. Sono elementi che non possono mancare nei miei piatti”.

Quanto e cosa c’è di Napoli nei suoi piatti?

C’è tanto. In tutto quello che preparo la tradizione partenopea si fonde con quella piemontese. Mi piace giocare coi sapori negli abbinamenti. Ormai sono sul Lago d’Orta da molti anni, ma Napoli è sempre nel mio cuore”.

Lei ha iniziato a lavorare nelle cucine a 13 anni. Era già proiettato verso questo mestiere o da ragazzino aveva altri sogni nel cassetto?

Ho sempre saputo di voler fare questo lavoro. Ricordo che un giorno, avrò avuto 4 anni, mio padre mi portò a vedere la cucina dove lavorava e io rimasi a bocca aperta davanti a tutti quei cuochi con le giacche bianche, me ne innamorai. Non avrei potuto fare nient’altro nella vita”.

La sua gavetta è stata lunghissima. Quanto ritiene sia importante la formazione in questo settore?

È fondamentale ma non bisogna mai smettere di studiare, di informarsi, di crescere. Oggi tutto cambia velocemente e bisogna rimanere al passo, se ti fermi tutto è perduto. Ogni giorno dopo il servizio passo un paio d’ore a studiare per tenermi informato sulle novità”.

Preferisce una cucina semplice e tradizionale o uno stile gourmet?

La tradizione sta alla base di tutto per me. Nelle mie ricette ci sono ancora i segreti che ho imparato da mia nonna quando da bambino mi permetteva di aiutarla in cucina. Poi è chiaro che molte cose si possono rivisitare, ma il punto di partenza non va mai dimenticato”.

Cannavacciuolo

Quanto ha influito il supporto della famiglia nelle sue scelte, alla luce del fatto che è già difficile trovare del tempo per i propri cari?

Un grande sacrificio che questo lavoro richiede è il poter dedicare poco tempo alle persone che si amano. Fortunatamente mia moglie è cresciuta nell’ambiente della ristorazione e dell’hotellerie, quindi capisce benissimo la situazione e mi ha sempre supportato. Poi appena ho un attimo di tempo scappo a casa dai miei bambini e cerco di recuperare dedicandomi a loro al cento per cento. La famiglia viene sempre prima di tutto”.

Guardando al futuro, quale potrebbe essere un cambiamento significativo in termini di trend e innovazione?

Oggi c’è un’attenzione sempre maggiore verso le nuove tendenze alimentari. C’è chi ha scelto un’alimentazione vegetariana o vegana, ma anche le allergie e le intolleranze purtroppo sono in aumento. Bisogna offrire a tutti gli ospiti la possibilità di godere dei piaceri della tavola. Credo che in futuro si andrà sempre più in questa direzione, con un occhio attento per le materie prime biologiche e a chilometro zero”.

Uno dei suoi motti recita: “Chef non si nasce, ma si diventa”. Oggi c’è qualcuno che pensa il contrario?

Credo di no. Per diventare chef serve esperienza, dedizione, voglia di crescere e bisogna fare un percorso. Quando si inizia a lavorare in cucina bisogna tenere i piedi ben piantati per terra e avere l’umiltà di voler imparare. Ecco perché per me chef non si nasce, ma si diventa”.

Dove si vede da qui a trent’anni?

E chi lo sa? Magari ancora nella mia cucina, ma non mi dispiacerebbe nemmeno vedermi su una barca a pescare…”.

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